X

Sicurezza non è di destra, sotto il razzismo c’è disagio. Minniti: errori da sinistra, Conte disastro…

di Sergio Carli |8 Aprile 2019 14:58

Sicurezza non è di destra, sotto il razzismo c'è disagio. Minniti: errori da sinistra, Conte disastro...

Sicurezza non è di destra, sotto il razzismo c’è disagio. Minniti: errori da sinistra, Conte disastro…

ROMA – Sicurezza: è di  destra o di sinistra? La sicurezza, avverte Marco Minniti, “non è né di destra né di sinistra. La sicurezza è un bene comune”. Il razzismo delle periferie? Demonizzarlo, non capirlo e contrapporlo ai buoni dei quartieri alti può essere un tragico errore politico. Anzi, alla luce dei risultati elettorali del Pd è un tragico errore politico, non il solo, purtroppo ma certamente quello di natura più semplice e potenzialmente di più facile comprensione.

Una intervista di Marco Minniti a Salvatore Merlo del Foglio chiarisce il concetto molto bene: “Accomunare le periferie al razzismo è una follia. Fare un’equazione tra periferie e xenofobi, tra periferie e nazionalpopulisti, è un favore fatto ai nostri avversari. Non può passare. E’ una svista catastrofica”.

E ancora: “L’immigrazione è una di quelle poche questioni per le quali l’abusato termine ‘epocale’ è invece appropriato. E di fronte a un fenomeno del genere, rimanere incollati alla polarità semplicistica di ‘accogliamoli tutti’ contrapposto a ‘non accogliamo nessuno’ è il più grande errore che una democrazia come la nostra possa fare”. 
Sono parole che confermano Minniti come una delle migliori e forse poche teste pensanti della sinistra italiana. Comunista fin da bambino, sottosegretario della Presidenza del Consiglio quando primo ministro era Massimo D’Alema, un lungo percorso nel comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ha le carte in regola per dire quello che dice. Questo è Togliatti puro, quel Togliatti che nel 1935 ebbe la forza di criticare l’errore, anch’esso tragico, del partito comunista italiano nel non capire le motivazioni della piccola borghesia nel dopoguerra, spalancando le porte dell’Italia al fascismo (Palmiro Togliatti, Corso sugli avversari, Einaudi, pag. 8).

Che poi Marco Minniti non sia un parolaio, come i tanti che hanno infestato la sinistra dal ’68 in poi, lo conferma un dato concreto: il calo degli sbarchi di profughi e clandestini di cui oggi si fa bello Matteo Salvini, senza merito alcuno se non qualche azzeccato tweet. Anzi, a carico di Salvini va messo, nella partita doppia della storia, il clamoroso fallimento della politica italiana, quasi da operetta o opera buffa, in Libia nell’ultimo anno.
Che poi il Pd abbia preferito Nicola Zingaretti a Marco Minniti per la carica di segretario conferma i timori di chi prevede il Pd ridotto a un ruolo marginale nella politica italiana, possibilmente un po’ meticciato con il Movimento 5 stelle.

Sulla Libia Minniti dice: “Qualche mese fa, dopo la Conferenza di Palermo, manifestai la mia preoccupazione dicendo che temevo che stessimo per perdere la Libia. Ed eccoci, sta accadendo. Il fatto è che ce ne siamo completamente disinteressati. L’Italia ha dato un messaggio sbagliato, ovvero ha fatto capire che il nostro paese non era interessato a parlare con il nord Africa, ma soltanto a trasformare la questione dell’immigrazione in un argomento di conflitto in Europa. Infatti abbiamo chiuso i porti, e continuiamo ancora adesso ad alimentare un conflitto da ‘pizzicagnoli’ delle vite umane. Abbiamo dato l’impressione che governare la questione libica non fosse più una nostra priorità. Non abbiamo nemmeno speso una sola parola nel momento in cui il Fezzan, cioè il sud della Libia, che era al centro del nostro impegno, diventava oggetto di una iniziativa militare”.

L’analisi che Minniti fa della ribellione degli abitanti di Torre Maura a Roma contro l’arrivo di un gruppo di 27 rom nel rione, conferma la stoffa dell’ex ministro degli Interni. “Si decide l’invio di un gruppo di famiglie rom in una zona della periferia di Roma, e lo si fa senza costruire prima nessun rapporto con il territorio, senza comunicare, senza nemmeno capire, come se ci fosse per l’appunto in corso un’emergenza tale da giustificare quasi la segretezza con la quale ci si muove”. 

“E’ stato un pasticcio, un guaio pericoloso che ha consentito ad alcuni estremisti di destra di accendere i pregiudizi e le diffidenze della gente. Se tu un fenomeno non lo governi, finisce male”.

“A Reggio Calabria, da ragazzo, vidi la destra trasformarsi in un movimento di massa. Una rottura sociale può diventare facilmente il brodo di coltura per prospettive che comportano uno slittamento della democrazia. Per questo dico che noi, il centrosinistra riformista, dobbiamo cambiare il baricentro della nostra posizione. Dobbiamo subito riaprire i canali di comunicazione con gli arrabbiati e gli impauriti. Lo so che non è facile. Ma dobbiamo rendere evidente che coloro i quali pensano di essere irrilevanti, non lo sono”.

La critica si estende anche alla stampa di sinistra, che, nota Merlo, ha quasi costruito una coincidenza antropologica tra i romani delle periferie e la teppaglia dell’estremismo xenofobo: “E’ sbagliato. C’è un grande disagio in ampi segmenti del nostro territorio nazionale che negli ultimi anni hanno visto aggravarsi le condizioni di vita, con spinte sempre più forti verso la marginalità. Tutto questo si è intrecciato a una fortissima sensazione di insicurezza sociale e ‘fisico-individuale’.

“E’ una cosa che non è accaduta soltanto in Italia. Ma in gran parte del mondo occidentale. Tra i ceti più deboli della società si sono diffusi due profondissimi sentimenti, la paura e la rabbia. E qui siamo all’aspetto centrale della questione. Una forza di sinistra riformista dovrebbe sapersi rapportare con questi sentimenti. Dovrebbe saper interpretare. La verità è che abbiamo lasciato un vuoto. E in quel vuoto hanno preso contatto con la realtà gruppi di destra che coltivano parole e atti ispirati al razzismo. 

“L’immigrazione è maneggiata con un tono tutto lirico e retorico, un modo di condursi che sembra fatto apposta per aiutare e giustificare l’esistenza di Salvini. 

“Una democrazia deve sapere distinguere tra il cittadino impaurito e il razzista. Che non sono affatto la stessa cosa. Questo è il cuore del problema. Bisogna liberare i cittadini dalle loro ossessioni e paure. Questa è la differenza che c’è tra la destra e la sinistra. Tra noi e loro. Perché i nazionalpopulisti vogliono al contrario tenere queste persone legate, imprigionate alle loro paure dimostrando così che l’emergenza è permanente. E un’emergenza permanente giustifica tutto”.

Ed ecco la ricetta di Minniti: “Ci vuole una visione complessiva. Uscire dagli slogan e abbracciare una visione generale del tema immigrazione. In primo luogo devi contrastare il traffico di essere umani. Poi devi capire che da qui ai prossimi vent’anni i destini dell’Europa e della e dell’Africa saranno intrecciati. “Infine devi creare dei corridoi umanitari e dei percorsi legali per l’immigrazione. Ingressi regolati con una nostra presenza nei paesi di provenienza. L’immigrato si presenta al consolato, viene a sapere di che tipo di manodopera necessita l’Italia, e a quel punto entra all’interno di un meccanismo regolato.

“Chi arriva in Italia deve essere già dentro un percorso di lavoro e di integrazione. Guardi, la sicurezza della nostra democrazia nei prossimi anni si gioca sull’integrazione. Al contrario, con quello che io chiamo il ‘decreto insicurezza’, il governo ha scelto la strada della illegalità. Che non è nuova. In passato altri paesi si sono cimentati su questa stessa strada e hanno creato il brodo di coltura su cui poi è nato il terrorismo islamista: i quartieri ghetto come Molenbeek, a Bruxelles. La stragrande maggioranza degli attentati degli ultimi anni in Europa è figlia di un’integrazione sbagliata”. 

 

Scelti per te