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Nomadland: recensione (senza spoiler e poco entusiasta) del film premiato agli Oscar

di Giuseppe Avico |16 Maggio 2021 11:12

Nomadland: recensione (senza spoiler e poco entusiasta) del film premiato agli Oscar

La recensione di Nomadland, celebrato, glorificato sull’altare del cinema mondiale, incensato dalla critica e dal pubblico. Decantato come un rosso d’annata e premiato un po’ ovunque Nomadland, di Chloé Zhao con Frances McDormand, è senza dubbio il film del momento. Ma è davvero così bello?

Recensione Nomadland: la trama

Una donna di sessant’anni, Fern, perde il marito e il lavoro durante la Grande Recessione che ha colpito gli Stati Uniti tra il 2007 e il 2013. Decide così di lasciare la città di Empire, Nevada, dove viveva col marito per intraprendere un lungo viaggio con il suo furgone. Attraversa gli Stati Uniti occidentali incontrando sul suo cammino altre persone che come lei hanno deciso, per necessità più che altro, di vivere una vita da nomadi, completamente estranea alla convenzioni.

Nomadland: la recensione del film

La strada come concetto, una linea retta sulla quale far viaggiare le emozioni, i turbamenti, le contraddizioni e le antinomie di un personaggio o di un sistema sociale, talvolta di un intero paese. Dalla storia vera di Christopher McCandless, dapprima nel libro di Jon Krakauer e poi nel film di Sean Penn, al romanzo autobiografico Sulla Strada di Jack Kerouac, passando per territori cinematografici come quelli di Easy Rider, Little Miss Sunshine, Furore o Nebraska; la strada assume un senso nuovo, il più delle volte simbolico, altre ancora diventando significante in modo concreto e definito.

Nomadland viaggia su un binario differente? Assolutamente no. La pellicola rientra in questa speciale tipologia filmica e letteraria, al di fuori di ogni cieco giudizio che la vede come l’unicum di genere. Nomadland ha caratteristiche collaudate nel tempo, aspetti più che mai ricalcati e riprodotti, esplorati e sondati. Eppure, il suo essere volutamente iperrealistico, adottando talvolta tecniche vicine al documentario, fa sì che il film si abbandoni al concetto di “far vedere” senza però sviscerare quello ben più efficace (e difficile) del “far emozionare”.

Il film si focalizza sull’esperienza, ossia quella della vita dei nomadi, orientando lo spettatore all’interno di essa e mostrandogli l’oggettiva difficoltà e i problemi, ma anche la bontà e la naturalezza intrinsechi all’esperienza stessa. È un’esperienza di vita assolutamente non convenzionale, eppure il film, forse ingenuamente, lascia che sia la cinepresa a rendere il tutto più realistico e verosimile a discapito di ogni qualsivoglia forma di drammaturgia, che poi non è altro che il principio basilare alla base del processo empatico.

Più di un problema

Il voler mostrare tutto, ma proprio tutto, è appesantito da una regia che vive un discutibile bipolarismo filmico: la camera a mano, quindi l’esperienza del movimento e la poca fluidità, e il virtuosismo da carrello lasciato ai paesaggi selvaggi. Se da una parte si avverte l’effetto espressivo del realismo, dall’altra, al contrario, si percepisce la sensazione (talvolta sgradevole) del voler farsi guardare con condiscendenza inquadrando paesaggi meravigliosi un tanto al chilo. 

Questo è ancora più evidente nel montaggio, che sa tanto di metronomo. Ad un primo piano segue un campo medio, spesso a inquadrare un tramonto, poi sicuramente un altro primo piano e poi ancora un campo medio e un altro paesaggio. Questo rende l’esperienza visiva cadenzata (poco artisticamente) come il tocco costante di una bacchetta su un tamburo, lasciando purtroppo che quei bellissimi paesaggi rimangano impressi come semplici cartoline, piuttosto che come scorci fugaci e per questo ancor più affascinanti. Parliamo in fin dei conti di una regia mediocre. 

Tematiche interessanti e tanta superficialità

Nomadland non è un brutto film, e affermare questo significa non coglierne gli aspetti positivi, ma non è neanche il film che rimbalza da recensione a recensione come un capolavoro, da premio a premio come autoaffermazione di qualcosa che vuole essere e che non è.

Il tema alla base, quel viaggio che la protagonista intraprende come esplorazione più che come fuga, è forte e assolutamente carico di significati: dal volersi estraniare al bisogno primordiale del contatto e del dialogo, dalla voglia di una libertà autentica e separata dalle convenzioni all’identificazione del proprio essere in comunione con l’ambiente. Temi caldi, interessanti e da sempre coinvolgenti, qui però indagati con superficialità tecnica e soprattutto narrativa.

La protagonista

La protagonista, una Frances McDormand che sembra proprio l’ideale per il film, si ritrova intrappolata in un vita che imprime il tempo sul suo volto con enorme crudeltà. L’abbandonarsi, con coscienzioso riguardo, diventa allora una necessità, più che una scelta involontaria. L’assorbire ogni singola particella dello spazio circostante diventa un’emozione, più che una semplice visione. Il non adeguarsi, il camminare sempre appesa ad un filo, sembra essere davvero l’unica maniera di orientarsi senza bussola, lasciando agli altri le fondamenta di una vita immobile e immutabile. L’incontro con gli altri, quei viaggiatori sorridenti ai quali la società ha voltato le spalle, acuisce la sua sempre più insaziabile voglia di passare, di viaggiare senza far rumore con ostinata caparbietà. Tutto questo emerge lentamente senza però colpire davvero.

Parliamo di un personaggio intorno al quale si sarebbe potuto costruire un disegno narrativo più incisivo, sicuramente più drammaturgico. L’assenza di ciò fa sì che, per quanto riguarda la protagonista, non vi siano punti di contatto efficaci con il pubblico. Il film, al contrario, ricerca una fallace (ri)costruzione iperrealistica che compromette l’effetto empatia. Ciò non lascia scampo neanche ai personaggi secondari, granelli di sabbia privi di caratterizzazione. 

Costruito su una disposizione documentaristica, il film decide di parlare attraverso i suoi mezzi più classicamente tecnici, senza però arricchirsi narrativamente. È una scelta? Può darsi, seppur sbagliata.

Frutto dei tempi, con annessa cerimonia hollywoodiana, Nomadland trova i suoi punti di forza nell’attrice. Meno nel suo personaggio e ancora meno nella sua regista, per non parlare della sceneggiatura. Perché vederlo allora? Di certo non per le statuette, e neanche per il chiacchiericcio celebrativo e sbrodolone che ne ha aumentato la fama. Nomadland va visto con occhio critico, il vostro, se non altro per trarre beneficio da un film normale che qualche guizzo ce l’ha, ma che rende fin troppo visibili i suoi difetti.

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Nomadland: la scheda del film

  • Anno: 2020
  • Genere: drammatico
  • Regia: Chloé Zhao
  • Soggetto: dal libro di Jessica Bruder
  • Sceneggiatura: Chloé Zhao
  • Fotografia e scenografia: Joshua James Richards
  • Montaggio: Chloé Zhao
  • Musiche: Ludovico Einaudi
  • Cast: Frances McDormand, David Strathairn

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