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Genova. Il G8 dieci anni dopo: paura, strane coincidenze, Black Bloc

di fmanzitti |5 Luglio 2011 11:58

GENOVA – Che distanza c’è tra i boschi della Val di Susa, tra i cantieri recintati della guerriglia anti Tav e la piazza genovese, nel decimo anniversario dello sciagurato G8 del 20-21-22 luglio 2001? Che distanza tra la guerriglia con trecento poliziotti e carabinieri scelti feriti e i duecento anti Tav andati a farsi medicare, dopo gli scontri nel triangolo Chiomonte-Exilles- Avigliana, la patria di Piero Fassino, neo sindaco di Torino e le piazze e le strade di Genova, pronte a accogliere cortei e manifestazioni nell’anniversario della morte di Carlo Giuliani, 24 anni, caduto con una pallottola sotto lo zigomo, nella piazza Alimonda della giornata più nera del G8 nero di Genova?

Di colpo la distanza si riduce, il tempo dei dieci anni trascorsi da quei giorni della Superba a ferro e fuoco si comprime. E a Genova l’allarme suona forte, quasi come dieci anni fa, quando la lunga vigilia del G8 era stata scandita dalla sequenza di una attesa carica di tensione e di eventi premonitori.

Nei boschi della Val di Susa l’arrivo dei Black Bloc, il famigerato blocco nero, gli estremisti della non globalizzazione, tedeschi, svedesi, inglesi, belgi, francesi, danesi ma anche italiani, assomiglia troppo all’arrivo nella Genova 2001 della Zona rossa da violare e della Zona gialla da calpestare in mezzo ai cortei delle tute bianche, dei pacifisti in marcia verso quel “cuore” genovese, chiuso dalle grate di ferro, sbarrato dai container di traverso alle strade del centro città.

Stesso mese di luglio, stesso clima di paura strisciante, stesso brodo fumante di rivolta, pronto a bollire alla prima occasione. E quale migliore occasione per reincendiare tutto, che l’anniversario numero dieci, ora che i processi di quel G8 sono quasi tutti stati celebrati, che le condanne penali e le sentenze sono state emesse e spesso anche capovolte, con verdetti che inchiodano più la polizia, i suoi vertici, le sue catene di comando che i violenti del blocco nero?

In questa estate un po’ fasulla di clima incerto e tensioni sindacali forti, Genova appare di colpo strabica in questa attesa. Un occhio ha incominciato a guardare alla valle Susa e agli scontri duri nei boschi di Chiomonte, come se là ci fossero segnali chiari che possono rimbalzare dal terreno di scontro sulla costruzione della linea Torino-Lione a queste piazze piene di anniversari e di dibattiti da ri-sfoderare.

Dieci anni sono lunghi, ma sono passati in un lampo nella memoria di quel luglio 2001, tra un processo e l’altro, primo, secondo grado per tutti, meno che per la morte di Carlo Giuliani, archiviata rapidamente in istruttoria, mentre il carabiniere semplice e di leva Placanica ha smesso la divisa, laggiù in Calabria e ha rischiato anche di perdere la ragione per il dramma di quel colpo, partito dalla sua pistola,esploso dall’interno della camionetta Defender, assaltata dal corteo no global e “rimbalzato”, secondo le incredibili perizie passate in giudicato, sotto il passamontagna del ragazzo Giuliani che brandiva l’estintore contro la jeep dell’Arma.

E ora che il programma del luglio 2011 prevede cortei e manifestazioni a partire dalla metà del mese e il clou nel giorno della morte, di colpo sembra che quello srotolare del tempo, dei processi, dei dubbi, delle ricostruzioni, della stessa globalizzazione planetaria non sia mai avvenuto.

Genova è strabica perché guarda alla rivolta no Tav della val di Susa e scopre i trecento Black Bloc, spuntati nei boschi piemontesi come i funghi, snidati a fatica dai reparti antisommossa delle forze dell’Ordine, come se la sequenza fosse ripartita: allora ci fu Goteborg, Napoli e poi Genova. Oggi c’è la val di Susa e ci sarà Genova, ancora?

Di colpo le ferite si riaprono, come se i punti di sutura del tempo, di quei processi celebrati e anche di quelli che la Giustizia non ha potuto o voluto celebrare ( che dire delle violenze di strada con 1500 denunce con referto medico, finite al macero, più botte e violenze contro i manifestanti che mai nella storia d’Italia, Bava Beccaris compreso), di una globalizzazione che è andata avanti, dei G8 successivi, tutti sigillati e scoperchiati solo dagli scandali, come quello della Maddalena, non esistessero.

Genova è strabica perché le tensioni sociali che fanno ribollire questa città, come il resto del paese, immerso in una crisi dura, esaltano l’allarme che suona indipendentemente dai casus belli come la Tav o come gli anniversari pesanti dei dieci anni trascorsi. Il mondo è così cambiato. Due mesi dopo quel G8 di Genova a ferro e fuoco ci fu l’11 settembre che spazzò via come fossero fuscelli le macerie fumanti dello scontro genovese intorno agli 8 Grandi del mondo, riuniti nell’ombelico della zona rossa e i trecentomila occupanti dei cortei in una città svuotata dal terrore degli scontri, con l’esodo di almeno un terzo della sua popolazione.

Ma guardare alla Val di Susa, e al mondo capovolto di oggi rispetto a quello di ieri, non fa che aumentare il suono delle sirene: i rapporti riservati del Ministero dell’Interno, i sondaggi segreti delle Prefetture e della Questura hanno già messo un cerchietto rosso intorno agli appuntamenti genovesi dei prossimi giorni. E’ come se una sensibilità sopita si fosse riaccesa. Genova sembra già presidiata, ogni fiammata di disordine pubblico viene già monitorata e scortata, come non avveniva da anni. Il corteo del 23 luglio ha già subito un taglio di percorso per “ragioni di sicurezza”. Doveva partire dai cantieri della Fincantieri, Sestri Ponente, la ex Stalingrado genovese, sede della fabbrica che era nel programma delle chiusure con 800 operai a casa e doveva arrivare fino a Caricamento, area retroportuale, a tre passi dal centro, a valle di quella che era la Zona rossa di dieci anni fa, in tutto otto chilometri di strada dalla periferia operaia ai quartieri portuali.

Ma il taglio del percorso, operato per impedire contestazioni al sindacato da parte delle ali più radicali del movimento operaio contrarie alla firma su contratti e rappresentanza, lo ha ridimensionato di almeno quattro chilometri: solo da Sampierdarena alla stessa piazza di Caricamento. Con il rischio che i chilometri precedenti, tutti calanderizzati in “piazze tematiche” e dibattiti non si incendino per conto loro, magari accese dalle scorribande dei più violenti, in cerca di fiamme da appiccare in un terreno fertile.

Il corteo nelle intenzioni degli organizzatori del Decennale, che hanno battezzato le manifestazioni in memoria con il titolo “Voi la crisi , noi la speranza”, deve ripercorrere lo spirito di quello violato del 2001 che insanguinò il dopo Giuliani e precedette la notte della scuola Diaz, con l’irruzione del famoso reparto della Celere in quello che la polizia aveva individuato come il covo dei Blak Bloc e, quindi, l’arena dove vendicare lo scacco in cui i manifestanti bianchi e neri avevano tenuto le forze dell’ordine.

Il filo nero è proprio il collegamento che tiene insieme fatti che i processi non hanno consumato per niente e la valle di Susa degli scontri recenti. Dieci anni non hanno mutato nulla dei Blak Bloc, cui la magistratura genovese ha dato una caccia investigativa, tanto massiccia quanto scarsa di risultati. Se si pensa che il processo per le distruzioni e i vandalismi è finito con poche decine di condanne, per altro dure, ma così sporadiche, si spiega come le apparizioni del blocco nero nei boschi di Chiomonte e Exilles diventino un incubo. E muovano il comitato organizzatore e le istituzioni a correre ai ripari, cercando di ridurre la esposizione al rischio di una città che non ha dimenticato e dove l’anniversario numero dieci brucia come una miccia a lenta combustione.

Vestiti di nero, con la faccia coperta dai passamontagna, le imbottiture coperte e tutta la loro attrezzatura da guerriglia urbana, i Blak Bloc del 2001 erano spuntati improvvisamente in Piazza Paolo Da Novi, nella mattinata del 20 luglio, quasi Genova non fosse già una città blindata, svuotata, paralizzata come mai nella storia era capitato in Occidente: 25 mila poliziotti e carabinieri schierati per difendere pochi chilometri quadrati del suo ombelico centrale, i famosi caruggi chiusi in gabbie di ferro e chiavistelli, pochi abitanti che per entrare e uscire dovevano mostrare documenti e credenziali.

Da dove erano passati per arrivare al cuore di una città che il Governo Berlusconi II, insediato da meno di un mese, e il Ministero dell’Interno, affidato al ligure Claudio Scajola avevano trasformato in un fortilizio tanto spaventoso che un tipo duro come il sindaco di allora, l’avvocato amministrativista del Pd, Giuseppe Pericu aveva protestato con le lacrime agli occhi, per lo stravolgimento totale del vivere civile?

Non erano solo svedesi, tedeschi, francesi, inglesi quegli estremisti determinati a sfondare la zona rossa. Come Marco Imarisio, il noto giornalista del Corriere della Serra ha, appunto, raccontato, in uno dei più bei libri rievocativi di quei giorni, intitolato “La ferita”, si trattava sopratutto di italiani, pugliesi, calabresi, romani, veneti ed anche genovesi, “le staffette” delle operazioni-distruzioni incominciate in quella mattinata di calore rovente, che avrebbe introdotto un pomeriggio tragico, quello culminato con la morte di Carlo Giuliani.

“ Steso sul selciato della piazza, come un Cristo in croce, con una macchia di sangue allargata sotto la testa e sotto il passamontagna, con le braccia allargate” – aveva drammaticamente descritto, raccontando la tragica scena madre del G8 genovese, Fabrizio Ravelli, inviato di Repubblica. Da dove erano arrivati, in una città stretta tra il mare, le colline cementificate, pochi varchi autostradali, poche strade statali, tutte controllabili dal dispiegamento di forze della polizia del neogoverno, tanto deciso a offrire una prova di forza a Genova, da schierare personalmente nei quartieri generali della repressione l’allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini e il ministro della Giustizia il leghista Roberto Castelli.

Il primo acquartierato nel comando dei Carabinieri, il secondo in visita nella famigerata caserma di Bolzaneto, dove i medici aguzzini torturavano( le sentenze lo hanno certificato) i ragazzi fermati durante i cortei? Sembra impossibile, ma la stessa domanda di allora risuona oggi nella vigilia dell’anniversario, perché il blocco nero sembra ancora un’entità incontrollabile, ieri dalle coperture insospettabili, oggi, nel giorno delle condanne e delle censure firmate persino da Beppe Grillo, il genovese, ancora sigillo di una protesta che promette di trascendere a Genova come a Exilles e Chiomonte.

Genova sembra strabica e di nuovo indifendibile? La cecità della politica ha sempre impedito di scoprire quello che veramente accadde dieci anni fa, non lasciando indagare una commissione parlamentare e affidando la ricerca della verità solo alla magistratura inquirente e giudicante. Nessuna commissione d’inchiesta, nessuna ricerca del perché la polizia avesse adottato una tattica cilena o messicana nel gestire l’ordine pubblico, solo pugno di ferro e clamorosi errori come dirottare il battaglione Tuscania dei Carabinieri, punta di diamante della formazione antisommossa, a caricare i non violenti delle Tute Bianche, lasciando indenni i Black Bloc.

Nessun approfondimento per scoprire la vastità della sospensione dei diritti civili, la sua ragione tattico strategica. Perchè quelle cariche selvagge contro mamme, nonni, nonne, dopo le sfilate con il manganello che percuoteva gli scudi antisommossa?

Tutto questo e molto altro di quel G8 non ha mai avuto risposta, come la domanda precedente sulla inarrestabile calata del blocco nero. E sarà anche per questo che l’allarme risuona di nuovo forte. La verità nascosta e non sufficientemente investigata autorizza la paura e legittima che l’allarme continui anche se sono passati dieci anni.

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