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Burqa vietato negli uffici pubblici: la decisione della Regione Liguria

di Maria Elena Perrero |8 Marzo 2017 14:35

Burqa vietato negli uffici pubblici: la decisione della Regione Liguria (Il cartello di divieto in Lombardia)

GENOVA – La Regione Liguria vieta l’ ingresso in tutti gli uffici pubblici regionali a chi indossa il burqa. E le opposizioni insorgono.

La misura è stata annunciata martedì 7 marzo dal presidente della Regione, Giovanni Toti, dopo che in giornata la vicepresidente della giunta e assessore alla Sanità, Sonia Viale (Lega Nord), aveva reso noto che a misura si sarebbe applicata agli ospedali e alle altre strutture sanitarie.

Una decisione che ha scatenato un fiume di polemiche da parte delle opposizioni. “Il burqa è il peggior simbolo della sottomissione della donna all’uomo e la vigilia dell’8 marzo ci sembrava un buon giorno per dire che chi vive in Italia almeno le minime regole di uguaglianza tra uomo e donna le deve saper cogliere e rispettare”, ha detto Toti, ritenendo che il provvedimento non abbia profili di incostituzionalità e sottolineando: “Chi afferma che si neghino le prestazioni sanitarie dice una grande idiozia”.

“Ritengo corretto che la Regione assuma una misura fortemente anti-discriminatoria a difesa della libertà delle donne, ovvero disponga il divieto di ingresso nelle strutture sanitarie di persone che indossino il burqa. Questo anche nel rispetto delle normative di sicurezza”, aveva dichiarato Viale, scatenando le critiche di Pd, M5S e Rete a Sinistra, che hanno definito l’iniziativa “atto inaccettabile”, “proposta incostituzionale” e accusato la giunta guidata da Toti di “volere ridurre i diritti delle donne”.

La misura, già adottata dalla Regione Lombardia, sarà oggetto di un’apposita delibera di Giunta. Ma in realtà non è una vera e propria novità, come spiega Il Secolo XIX:

Al di là del numero ridottissimo di donne che si coprono completamente il viso con burqa o niqab, il travisamento in luogo pubblico è già vietato dalla legge Reale del 1975. In Lombardia, regione dalla quale la Liguria sta traendo ispirazione per molti dei suoi provvedimenti, la delibera, anche per evitare rischi di incostituzionalità, non cita il velo islamico, che compare invece nel cartello apposto all’ingresso di alcuni edifici con casco e passamontagna.

Inoltre una sentenza del 2012 ha stabilito che va tutelato il diritto costituzionalmente garantito di esprimere la propria tradizione religiosa e ha imposto alle donne con il velo integrale solo di scoprire il viso quando richiesto da un’autorità preposta a un interesse pubblico.

Ma le opposizioni non l’hanno presa bene. Per Raffaella Paita, capogruppo Pd, “la prima obiezione è che tutti hanno diritto ad essere curati, indipendentemente dalla religione che professano e da come si vestono. Se si vuole aprire una discussione sul burqa, iniziare dagli ospedali è la cosa più sbagliata che ci sia. Anzi, così si rischia di esasperare gli animi e creare tensioni”.

Per Alice Salvatore, portavoce del M5S, si tratta di “una delibera discriminatoria e incostituzionale che, invece di estendere i diritti delle donne, li riduce ulteriormente. Un pessimo segnale, alla vigilia dell’8 marzo, che offende tutte le donne. Inorridisce l’idea che nel 2017 si possa impedire alle donne l’accesso alle cure sanitarie essenziali solo ed esclusivamente per i vestiti che indossa. Questa delibera è l’ennesimo atto di propaganda demagogica”.

“Come Rete a Sinistra – ha detto Gianni Pastorino -, la giudichiamo una proposta inaccettabile: quello della sanità non può certo trasformarsi in un terreno di scontro fra religioni, in cui prevale l’elemento coercitivo o discriminatorio. Se passa questa idea si aprono scenari sconcertanti: perché oggi si parla di burqa, ma domani? L’idea stessa di negare le cure a qualcuno è crudelmente incostituzionale”.

A difesa della proposta è intervenuta la consigliere leghista Stefania Pucciarelli: “No ai diktat ed usanze islamiche, simboli di oppressione e sottomissione. La proposta della vicepresidente Viale rispetta tutte le donne e difende la loro libertà. La Giunta Toti adotti la delibera al più presto, come già accaduto in Lombardia e Veneto. Non vogliamo vivere in Ligurabia”.

 

 

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