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Coronavirus a Bergamo e provincia, la denuncia: “Creare subito una zona rossa avrebbe intaccato il fatturato”

di redazione Blitz |20 Marzo 2020 10:52

Coronavirus a Bergamo e provincia, la denuncia: "Creare subito una zona rossa avrebbe intaccato il fatturato" (Foto Ansa)

BERGAMO – Perché Bergamo e la sua provincia sono diventate la zona più colpita dal coronavirus di tutta Europa? Perché Nembro e Alzano Lombardo, due piccoli paesi della Val Seriana, sono i centri con la più alta incidenza di contagi? Francesca Nava su Tpi ha cercato la risposta e scrive: “Per capire per quale motivo non si sia sigillata subito (come approvato anche dall’Istituto Superiore di Sanità) una zona infetta di soli 25mila abitanti – evitando magari di chiuderne una da 11 milioni prima e da 60 milioni dopo – dovremmo considerare anche l’altro aspetto centrale di tutta questa storia, quello economico – scrive Nava – . Creare subito una zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro avrebbe significato bloccare quasi quattromila lavoratori, 376 aziende, con un fatturato da 700 milioni l’anno”.

Nava ha ripercorso l’inizio dei contagi nella bergamasca, oggi epicentro della pandemia con oltre 4mila casi positivi, centinaia di contagi ogni giorno e quasi 400 morti. 

Domenica 23 febbraio, due giorni dopo lo scoppio del primo focolaio di Codogno, vengono accertati due casi positivi di Covid-19 all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, almeno uno di loro passa dal pronto soccorso affollato. L’ospedale viene chiuso ma riaperto alcune ore dopo senza che nel frattempo sia stata fatta alcuna sanificazione o che siano stati predisposti triage differenziati per i sospetti positivi al coronavirus, hanno denunciato due operatori sanitari sotto anonimato a Avvenire. 

Nei giorni seguenti molti medici ed infermieri risultano contagiati. Ma pochi giorni dopo “i contatti stretti delle persone positive non vengono più sottoposti a tampone se asintomatici”. Eppure non sono pochi, considerato che la maggior parte di chi è passato dal pronto soccorso e dall’ospedale quella domenica ha poi ripreso la sua vita normale e tutti i suoi soliti contatti: lavoro, spesa, palestra, locali, e qualcuno è andato anche a sciare, come dimostra il fatto che a Valbondione (località sciistica in provincia di Bergamo) si sono registrate impennate di contagi da coronavirus nei giorni successivi.  

Nel frattempo all’ospedale di Alzano Lombardo si ammalano il primario, i medici, gli infermieri, i portantini. Un’infermiera ha denunciato al quotidiano locale Valseriana News: “Noi stasera siamo di guardia al pronto soccorso con un medico positivo al tampone e nessuno lo allontana, gli hanno dato ordine di rimanere qui fino a domani mattina, indossando la mascherina. Rischio il posto di lavoro a dire queste cose, ma sono stanca di essere presa per i fondelli, ci sono mille raccomandazioni e poi mi metti di guardia un medico che sai che è positivo!”.

Così il contagio si allarga a tutta la provincia. La gravità della situazione, però, emerge solo una settimana dopo, quando aumentano moltissimo i contagi anche a Nembro. 

“Abbiamo capito da subito che la situazione era seria – ha spiegato a Tpi il sindaco di Alzano Lombardo, Camillo Bertocchi – e infatti insieme ad altri sindaci abbiamo emesso immediatamente delle ordinanze urgenti per stringere le maglie di quella ministeriale. Non so se si ricorda ma nella stessa città di Bergamo si invitava la gente a tornare nelle strade a sostenere le attività, a prendere i mezzi pubblici, mentre noi consapevoli della criticità avevamo preteso fermezza. È stato un momento non semplice, perché i nostri operatori e commercianti si chiedevano perché la gente a Bergamo potesse fare ciò che voleva, mentre il sindaco di Alzano li costringeva a chiudere a una determinata ora. Per il semplice motivo che noi avevamo inteso la gravità e il principio era: regole rigide subito per uscirne il prima possibile”. 

E invece oggi Alzano Lombardo conta oltre 50 morti in tre settimane, sette volte la media. “Più che le fabbriche bisognava fermare tutto quello che succedeva intorno alle fabbriche, penso ai locali, ai ristoranti, la vita è continuata in maniera normale, supermercati pieni, assembramenti in piazza, questo tra il 23 febbraio e l’8 marzo. In Val Seriana la gente continuava a viver come prima”. 

Nonostante le parole del sindaco, però, il problema è stato anche non chiudere le fabbriche, ovvero bloccare quattromila persone, prima che lavoratori. Ma si sarebbe bloccato anche il fatturato. E così si è andati avanti.  Il resto è cronaca di questi giorni. (Fonte: Tpi)

 

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