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Fiabe “gender”: “La principessa salva il principe”…

di Warsamé Dini Casali |30 Ottobre 2015 13:47

Fiabe “gender”: “La principessa salva il principe”…

ROMA – La principessa Elisabeth, nonostante il presuntuoso e cattivello principe Ronald non si curi troppo di lei, attraversa foreste incendiate, affronta ogni pericolo e, pur di salvarlo, sconfigge perfino il drago sputa-fuoco che l’ha rapito. Alla fine delle peripezie, Roland, invece di ringraziare Elisabeth come si conviene, la rimprovera per come è vestita.

Robert Munsch, l’autore della fiaba “La principessa e il drago”, così conclude: “Ronald – disse Elizabeth – i tuoi abiti sono molto eleganti e hai una magnifica pettinatura. Sembri proprio un vero principe, ma penso che in realtà tu sia solo un poveraccio. E fu così che quei due non si sposarono, dopo tutto”.

Alberto è un bambino che sogna di possedere una bambola, l’ha sempre sognata da quando ha visto quella della cuginetta. Il fratello lo prende in giro, l’amichetto vicino di casa gli grida “femminuccia”, il padre non lo accontenta e si ostina a regalargli giochi da maschio. Alberto si intristisce perché si convince che il suo sogno è sbagliato. Ma, giunge inaspettato il dono di una bambola. E’ la nonna che gliela regala nonostante il divieto del papà, cui offre infine una lezione di vita: “Ne ha bisogno – dice la nonna  -per poterla abbracciare, cullare e per accompagnarla al parco. Così quando sarà un papà come te, saprà come prendersi cura del suo bambino”.

La prima come la seconda (“Una bambola per Alberto”, scritta da Charlotte Zolotow) sono le due fiabe prese a pretesto da una famiglia cattolica per ritirare il figlio da una scuola di Massa. Il loro convincimento è che il progetto educativo della scuola, e le fiabe ne sono la dimostrazione, sia ispirato alla teoria gender, qualsiasi cosa voglia dire. Cioè una teoria che incoraggierebbe la diversità e l’ambiguità sessuale.

Il progetto educativo si chiama, significativamente, Liber* Tutt*, laddove gli asterischi sostituiscono le vocali finali per non attribuire virtù o qualità di genere. La morale della prima fiaba è che per essere principi non basta l’occhio azzurro e il vestito da paggio, ma serve coraggio e altruismo, virtù che non appartengono solo agli uomini. La morale della seconda è che la cura, la dimostrazione dell’affetto, non sono qualità esclusivamente femminili.

 

 

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