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Il comandante Francesco Schettino, ovvero Lord Jim rivisto da Dino Risi

di admin |24 Gennaio 2013 17:47

Il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino accompagnato in carcere (Lapresse)

ISOLA DEL GIGLIO (GROSSETO) – Francesco Schettino è Lord Jim e Lord Jim siamo tutti noi. Quindi tutti noi avremmo potuto essere Francesco Schettino. È il disastro avvenuto a 150 metri dagli scogli dell’Isola del Giglio visto con la lente di Joseph Conrad. Mentre la Costa Concordia si incrinava lentamente nel Tirreno, chi fra il “pubblico a casa” non aveva parenti a bordo della nave si consolava pensando di non avere parenti a bordo della nave, di non essere a bordo di quella nave e soprattutto di non essere il comandante di quella nave.

Difficile immedesimarsi nel ruolo di un comandante di un transatlantico di 115 mila tonnellate, 300 metri di lunghezza e quasi 60 di altezza. Non è un lavoro qualunque. E’ un lavoro eccezionale sul quale, se capitano incidenti, sono incidenti eccezionali. Schettino non è un “common man” e il “common man”, non riconoscendosi affatto in lui, può dire senza esitazione agli amici del bar di sotto che “lui non avrebbe portato una nave così a pochi metri dalla costa di una piccola isola, manovrandola come fosse un vaporetto”. E dopo l’urto con gli scogli, lo stesso “common man” è pronto a giurare che al posto di Schettino avrebbe dato subito l’allarme e non sarebbe mai sceso dalla nave abbandonando quasi 5 mila persone a bordo, fra passeggeri ed equipaggio.

Ma poi arriva Joseph Conrad a colmare lo spread fra Schettino e noi “common”: lo fa con il suo Lord Jim, il personaggio di un giovane che ha voglia di sfide, di mettersi alla prova, cercando l’avventura nella vita del marinaio. Sembra che abbia tutte le carte in regola: la bellezza, la forza, la cultura, doti umane che lo fanno arrivare presto al grado di primo ufficiale, che nella gerarchia di bordo viene subito dopo il comandante. Ma la sua imbarcazione, la Patna, carica di pellegrini diretti a La Mecca, viene sorpresa da una tempesta. Lui di fronte all’imprevisto va nel panico e scappa su una scialuppa insieme a comandante e macchinisti, lasciando i passeggeri in balìa delle onde: “Abbandonate la nave, affonderà da un momento all’altro”.

Ma il Patna non affonda, Jim e il comandante vengono processati e il giovane marinaio sconterà l’onta di questo episodio in tutto il resto della sua vita. Cercherà di rifarsi una vita spingendosi fino ad un isole in Estremo Oriente, Patusan, dove verrà ribattezzato dagli indigeni “Lord Jim” non perché nobile ma perché considerato una specie di eroe dopo essersi distinto in vari atti di coraggio. E anche perché per la vergogna del suo passato l’uomo non svela a nessuno il proprio cognome. La sua nuova vita dura fino a quando i pirati non attaccano l’isola e per colpa di una scelta di Lord Jim il figlio del monarca viene ucciso dal capo dei corsari. Allora il re di Patusan gli offre di andarsene con i pirati per salvare la pelle o di restare sull’isola ed essere giustiziato. Lord Jim preferisce la morte a un nuovo marchio d’infamia e solo così placa i démoni che lo hanno accompagnato per tutta la vita.

“Lord Jim siamo tutti noi”, il primo ad avvertirci è Conrad: Lord Jim è solo un giovane uomo che vuole capire chi è. La sua domanda la fa al mare. Lui vorrebbe sentirsi dire: “Sei un eroe”, invece le onde gli rispondono: “Sei un codardo”. Ma Conrad aveva già dato un qualche avvertimento nelle prime pagine del romanzo:

Diventò ancora molto giovane primo ufficiale senza che fosse stato messo una volta alla prova da quegli eventi del mare
che mostrano in piena luce il vero valore di un uomo, lo spessore del suo carattere, la solidità della sua tempra. Che rivelano la sua capacità di resistenza e la segreta verità oltre le apparenze non solo agli altri, ma anche a lui stesso.

Neanche Schettino probabilmente aveva mai pensato di ritrovarsi in stato confusionale sugli scogli del Giglio, con la sua nave che cola a picco e lui tremante al telefono con la madre ottantenne, alle 5 del mattino: “Stai tranquilla, ho cercato di salvare i passeggeri…”. Enorme e insopportabile il peso di quel mostro del mare che affonda per una manovra azzardata ma frequente: “l’inchino”, il saluto della sirena delle navi da crociera agli abitanti a terra. Un’usanza ben raccontata dalla scena del Rex in Amarcord di Federico Fellini. Una manovra che di solito si fa tenendosi a un miglio dalla costa, non a 150 metri.

Eppure il comandante Schettino, se non venissero confermate le voci dei passeggeri che lo davano in compagnia di una donna al bar, sarebbe anche riuscito a evitare un disastro peggiore: ancorando la “Concordia” ha evitato che affondasse dove il fondale era più profondo, e a pochi metri dal punto dove i soccorritori hanno trovato la nave c’era uno scalino di roccia che precipitava in un “burrone” di 70 metri.

Poi però, il panico e la fuga. Altri comandanti divennero famosi per scelte opposte, come Edward John Smith, al timone del Titanic, che preferì morire pur di non abbandonare il transatlantico andato a sbattere contro un iceberg (il suo corpo non fu mai ritrovato). O come Piero Calamai, alla guida dell’Andrea Doria, rotta Genova-New York, affondato il 26 luglio 1956 al largo delle coste americane dopo la collisione con la nave Stockholm (46 vittime). Cadde in piedi: furono i suoi uomini a costringerlo a lasciare l’imbarcazione, lui era rimasto da solo a bordo rifiutando di mettersi in salvo.

Amaro ricordare a Schettino, che ora si trova in carcere sorvegliato a vista dai secondini e assistito da uno psicologo, le sue parole in un’intervista di due anni fa a una rivista ceca: “Non vorrei essere nel ruolo del comandante del Titanic, obbligato a navigare nell’oceano tra gli iceberg”. “Penso però, che grazie alla preparazione si possa governare qualsiasi situazione e prevenire qualsiasi problema”. “La sicurezza dei passeggeri prima di tutto”. “Forse non considerata abbastanza prima della fatidica manovra”. “Per fortuna la gente dimentica presto le tragedie. È come per le catastrofi aeree. La gente pensa che a loro non potrà accadere”.  “Sulla nave deve regnare una disciplina quasi militare: se si crea una situazione difficile, il comandante dovrà avere tutto sotto controllo . Ed esser là dove necessario”.

Quasi oltraggioso ripescare il video datato settembre 2005, quello del varo della “Concordia”, in cui la bottiglia non si rompe, da sempre sintomo di jella marinara. Certo è la Costa Crociere lo ha quasi scaricato, nel comunicato ufficiale, salvo poi dire che “aveva fatto il suo”:

“Il comandante Schettino, che era al comando di Costa Concordia, è entrato in Costa nel 2002 come ufficiale responsabile della sicurezza e promosso comandante nel 2006, dopo essere stato comandante in seconda. Come tutti i comandanti della flotta egli ha partecipato ad un continuo programma di aggiornamento e addestramento ed ha superato positivamente tutte le verifiche di idoneità previste. Sembra che il comandante abbia commesso errori di giudizio che hanno avuto gravissime conseguenze: la rotta seguita dalla nave è risultata troppo vicina alla costa, e sembra che le sue decisioni nella gestione dell’emergenza non abbiano seguito le procedure di Costa che sono in linea e, in alcuni casi vanno oltre, gli standard internazionali”.

Ma insomma, prima che la magistratura di Grosseto ne decida le sue responsabilità penali, Twitter, il social network da 140 caratteri, ha già decretato che Schettino è Lord Jim. Lo scrittore Sandrone Dazieri ammonisce: ai misuratori del coraggio altrui consiglio la riscoperta di Lord Jim. “Egli era uno di noi”. Utenti spagnoli scrivono: Lord Jim, traducido al italiano? Gli fanno eco dalla Francia: Une histoire digne de Lord Jim de Conrad. Ma l’epitaffio sulla vicenda, il tweet definitivo è quello dell’autrice di satira, ex Cuore, Lia Celi: Il comandante della Concordia, ovvero Lord Jim rivisto da Dino Risi.

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