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G8, caserma di Bolzaneto. “Sapevano quel che accadeva. Gli agenti violarono la Carta”

di Maria Elena Perrero |15 Aprile 2011 21:22

GENOVA – I pubblici ufficiali che si trovavano nella caserma di Bolzaneto, dove vennero perpetrate violenze e vessazioni nel luglio del 2001 in pieno G8, sapevano perfettamente quanto stava succedendo. Lo affermano i giudici della Corte d’Appello di Genova che stamani hanno depositato le motivazioni alla sentenza pronunziata il 5 marzo 2010 nei confronti di 32 imputati, per la maggior parte dei quali la corte ha stabilito il non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

Scrive il giudice: ”Non è logico né intellettivamente credibile, a meno che si decida di attribuire ai pubblici ufficiali impiegati a Bolzaneto, anche in posizioni apicali, una totale cieca stupidità e impermeabilità alla percezione e al giudizio, affermare che, transitati per il corridoio, cioè per quel luogo di dimensioni ridotte, nel momento in cui si fossero interrotte le condotte di tortura o i trattamenti inumani e degradanti, tutto fosse tornato come d’incanto tranquillo e silenzioso, e null’altro fosse percepibile”.

Dunque, i pubblici ufficiali sapevano quello che stava succedendo, con oltre duecento persone picchiate, insultate e derise, obbligate a stare in piedi per ore con le braccia alzate, denudate, private di tutto, lasciate senza mangiare e senza bere sdraiate sul pavimento in mezzo a urina, vomito e sangue.

Nelle motivazioni, oltre 700 pagine che ricordano tramite le testimonianze rese in primo grado ciò che successe in quei giorni, i giudici ricordano profili costituzionali incontrovertibili e necessari per definire la responsabilità degli imputati nonostante l’intervenuta prescrizione. Responsabilità che comunque resta da un punto di vista civile, cui gli imputati sono tutti chiamati.

Ma prima di affrontare la responsabilità civile, i giudici dell’Appello ribadiscono che quanto è successo si profila come una violazione del dettato costituzionale, soprattutto quando è perpetrato da un pubblico ufficiale. Scrive il giudice: ”Richiamarsi platealmente al nazismo e al fascismo, al programma sterminatore degli ebrei, alla sopraffazione dell’individuo e alla sua umiliazione, proprio mentre vengono commessi i reati contestati o nei momenti che li precedono e li seguono, esprime il massimo del disonore di cui puo’ macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale”.

Tutti ricordano le testimonianze delle vittime sugli inni a Hitler e al fascismo che furono intonati in quelle due notti a Bolzaneto. C’è un altro profilo giuridico sottolineato dai giudici della Corte che nelle motivazioni sostengono come anche le famiglie delle vittime dei soprusi e delle vessazioni hanno subito un danno dalla rottura del patto fiduciario con le istituzioni che devono garantire la cittadinanza.

”Se la famiglia è il luogo dove nasce e si sviluppano il concetto e la natura del rapporto di cittadinanza, che vive di quel patto di fiducia con le istituzioni che lo devono garantire, la distruzione di quel patto di fiducia operato attraverso l’arresto, la detenzione e la sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti di chi esercita il suo diritto costituzionalmente garantito lede profondamente il diritto sancito dall’ art 2 della Costituzione del quale la famiglia è destinataria”.

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