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Grande orrore, piccola galera. E’ giusta la legge con le arpie dell’asilo Cip e Ciop?

di luiss_smorgana |7 Dicembre 2009 16:57

La pena, cosiddetta “edittale”, va da uno a cinque anni e può crescere da quattro a quindici anni in caso di riconosciute aggravanti. Questo è quanto “spetta”, se condannate, alle due maestre aguzzine. Anna Laura Scuderi ed Elena Pesce, rispettivamente dirigente e collaboratrice dell’asilo nido di Pistoia Cip e Ciop, hanno costretto i bambini a mangiare il loro stesso vomito, li hanno picchiati, li hanno tenuti al buio per punizione. Sono attese da un processo che quasi certamente finirà in condanna. Già, ma quale condanna su carta di Tribunale e quale condanna nella realtà? E’ possibile, anzi probabile che dopo il rinvio a giudizio saranno come si dice ammesse alla detenzione domiciliare. Ma poi, a condanna emessa, torneranno in carcere e per quanto? Nel peggiore dei casi per loro le attende un destino dietro le sbarre pari ad un terzo effettivo della pena comminata: pochi mesi e non più di due anni. E’ la legge, ma stavolta la legge è davvero giusta?

I loro “metodi educativi” sono finiti sulle prime pagine dei giornali, la Procura ha diffuso un filmato che ritrae tutto e le ha inchiodate. Le due maestre sono state arrestate mercoledì scorso e 48 ore dopo il giudice per le indagini preliminari, Alessandro Buzzevoli, ha convalidato la custodia cautelare, accogliendo la richiesta del pm Ornella Galeotti. Prima manche persa per i legali delle donne: l’avvocato Stefano Panconesi, legale di Anna Laura Scuderi, aveva chiesto gli arresti domiciliari per la sua assistita, mentre il suo collega Giovanni Dini aveva avanzato la richiesta di scarcerazione per Elena Pesce.

Da cinque giorni però le protagoniste di quello che è stato ribattezzato “l’inferno di Pistoia” sono rinchiuse nel carcere fiorentino di Sollicciano, si trovano nella sezione di isolamento, condividono la stessa cella e sono controllate a vista, 24 ore su 24. I vertici del penitenziario temono che possano verificarsi episodi di violenza e ritorsione da parte delle altre detenute. Non si sentono protette, sono già state accolte da urla, offese e sputi dalle altre donne del carcere. Intorno a loro adesso regna solo il disprezzo: hanno chiesto di essere trasferite in un’altra sezione.

Anna Laura Scuderi è distrutta, «non mangia e non vuole lavarsi. Si sta abbandonando», racconta il suo avvocato Stefano Panconesi. Il legale che seguiva Elena Pesce invece non ce l’ha fatta a continuare a difenderla, ha un figlio piccolo e curare il caso di una donna che le immagini hanno già decretato colpevole di schiaffi e vessazioni nei confronti dei piccoli alunni dell’asilo lo ha spinto a mollare: «Ho rimesso il mandato difensivo. Considero concluso il mio impegno professionale nella fase dell’urgenza – ha detto Giacomo Dini – Sono padre di un bambino di 18 mesi e preferisco, adesso che è arrivato il momento di sporcarsi le mani di lasciare l’incarico. Lo faccio in scienza e coscienza. Mio figlio solo per un caso non è stato iscritto a quell’asilo». Le lacrime della sua assistita, che non è nemmeno una maestra, ma una semplice collaboratrice, non sono bastate a convincerlo a conservare l’incarico.

Nella prossima udienza preliminare i magistrati dovranno decidere se rinviare a giudizio le due maestre o se archiviare un caso che ha scosso non solo i genitori dei piccoli coinvolti, ma le coscienze di un intero Paese che in materia di violenza sui bambini non ammette il perdono. «Adesso, cosa vuoi star lì a fare il processo? C’è il video che parla più e meglio di qualsiasi avvocato. L’affare è chiuso. Niente parole e soldi per chiarire o confondere il panorama. Credo che tutte le madri e tutti i padri e tutti gli esseri umani degni di questo nome abbiano pensato la stessa cosa che ho pensato io. Datele in mano alle mamme di quei bambini. Datele in mano alle mamme di quei bambini», ha scritto Mina in un editoriale di domenica 6 dicembre sul quotidiano “La Stampa”. Ma la giustizia italiana prevede un dibattimento, un processo, una possibilità in tribunale agli imputati per potersi difendere.

Il rinvio a giudizio per Anna Laura Scuderi ed Elena Pesce potrebbe significare non solo l’assalto mediatico e la conseguente e dura prova psicologica, ma soprattutto lo scontro con il codice penale che prevede la galera da uno a cinque anni per chi maltratta un minore sotto i quattordici anni. Toccherà ai magistrati, se il caso Cip e Ciop approderà in aula, stabilire le eventuali aggravanti che potrebbero costringere in carcere le maestre da 4 fino a 15 anni in caso di lesioni, più o meno gravi.

Mentre lo shock per quegli schiaffi accertati ha coinvolto in prima linea anche il Comune di Pistoia, che ha deciso di costituirsi parte civile, si levano le voci di altri genitori. Sono quelli che cinque anni fa hanno denunciato cosa accadeva fra le mura di quell’asilo colorato e apparentemente festoso: «Ci mandavo la mia bimba, racconta una di queste mamme, e l’ho tolta perché lei tornando a casa mi diceva che non voleva più andare all’asilo, perché la maestra le dava da mangiare prendendole le mascelle con le mani e la obbligava con il cucchiaino ad ingoiare. Questo è successo cinque anni fa io e altre mamme abbiamo sporto denuncia e non so perché nessuno ha mosso un dito».

Alle due maestre non resta che rimettersi alle motivazioni del gip e aspettare. Il disagio, lo stress lavorativo, le difficoltà con cui hanno cercato di difendersi non sono bastate a salvarle dal carcere. «La Scuderi ha visto le immagini girate dalle microcamere della polizia — conferma l’avvocato Stefano Panconesi. Nel rispondere alle domande del giudice ha detto di trovarsi in una situazione di grande stress e di confusione e che addirittura, proprio per questa condizione di disagio, voleva evitare i contatti con i bambini». «Elena Pesce alla fine dell’interrogatorio è scoppiata in un gran pianto. Si è liberata, come se si fosse resa conto, tutto insieme, della situazione. Lavorava dieci ore al giorno e con il suo stipendio manteneva tutta la famiglia», ha riferito Dini.

I loro pianti di ostentato pentimento non hanno intenerito né il giudice né l’opinione pubblica. Potranno tornare a contatto con dei bambini, nonostante la Legge preveda l’interdizione dai pubblici uffici – e da pubblico servizio, come in un asilo anche se privato? La condanna dovrebbe far giustizia di questo pericolo.

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