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Mada Kabobo: clandestino “fantasma”, non dà un perché alle 5 aggressioni

di Elisa D'Alto |12 Maggio 2013 15:35

Mada Kabobo

MILANO – Mada Kabobo non lo conosce nessuno a Milano. Non dice dove dorme, dove abita, se e dove lavora. Nel quartiere Niguarda, dove ha preso a picconate 5 persone sabato, uccidendone una, non lo conosce nemmeno la folta comunità ghanese. Mada Kobobo, 31 anni, per questi motivi è diventato “l’uomo fantasma”, imperscrutabile anche davanti agli inquirenti che lo hanno interrogato per sapere perché, sabato mattina, si è accanito su alcuni passanti senza un senso.

La storia di Kabobo è quella di tanti immigrati irregolari, ricostruita dai documenti in mano alle Questure: arrivato chissà come sulle coste del Sud Italia, era presente nel centro d’accoglienza di Bari messo sotto sopra nel 2011 dagli immigrati per via delle lungaggini burocratiche italiane. Aveva chiesto un permesso come rifugiato, prassi uguale a tanti altri arrivati illegalmente sul nostro territorio. Gli era stato negato e aveva fatto ricorso: sabato era in attesa di questa seconda pronuncia. Nel frattempo, in questi mesi passati in Italia, ha vagato nessuno sa dove. Doveva essere espulso, Kabobo, ma l'”uomo fantasma” ha vagato senza una meta.

Fino a sabato, quando una miscela forse di odio e rabbia repressa, qualcuno direbbe follia, è esplosa portando questo 30enne ghanese fuori dalla rassicurante trasparenza sociale alla quale si era aggrappato per mesi, da quando era arrivato in Italia. Un mistero, prima di tutto umano, riassunto dal breve stralcio dell’interrogatorio riportato dal Corriere della Sera:

«Ascolta, dove hai dormito stanotte?». «Io non dormo». «E la scorsa notte eh? Forza, dove hai dormito?». «Io non dormo». Eppure una prima volta, e subito dopo, e poi ancora, socchiude gli occhi, dondola sulla panca, ondeggia, si accascia contro il muro, il mento che picchia sul petto, la testa incassata, le mani giunte, la bocca semiaperta, un rantolo, un goccio di saliva all’angolo, un rigurgito, e in mezzo ai carabinieri che vorrebbero sapere il perché della mattanza, lui non soltanto tace: si appisola come un qualunque pendolare sul treno la mattina presto che va a sbattere contro i finestrini appannati. Mada Kabobo, nei fotogrammi sfocati e spaventosi delle telecamere fisse, sembra un lavoratore diretto al cantiere, il piccone sulle spalle, un’altra giornata a faticare.

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