“Reiterazione” di quelle aggressioni che hanno deturpato il viso del suo ex Pietro Barbini (per il quale la studentessa della Bocconi è già stata condannata a 14 anni con il suo amante Alexander Boettcher) e quella, per cui è in corso il processo, ai danni del fotografo Giuliano Carparelli (forse uno scambio di persona) e la tentata evirazione di un altro giovane da parte di Martina Levato. Il pm Marcello Musso, risoluto fino alla durezza nell’opporsi ai domiciliari, ha invece teso una mano alla soluzione dell’Icam e due Tribunali del Riesame e un gip gli hanno dato ragione (nell’ultimo caso il giudice ha ritenuto “integralmente da condividersi” le sue argomentazioni). A carico della Levato, per i giudici, permangono “esigenze cautelari di eccezionali rilevanza” e le aggressioni non sono state “frutto di determinazione estemporanea, ma di una lucida scelta criminale” in cui la ragazza ha dimostrato una “programmazione tanto accurata quanto professionale”.
“Poco rilevante” se, quando fu aggredito Barbini, il 28 dicembre del 2014, Martina Levato fosse a conoscenza di essere incinta, dal momento che, proprio secondo la ragazza, fu lo stretto legame con Boettcher “l’origine di quell’esigenza di ‘purificazione'” da rapporti con altri uomini “il principale movente” che la spingeva. Dopo la nascita del suo bambino, quindi, Martina andrà all’Icam di via Melloni. Potrebbe rimanerci per tre anni, se il Tribunale dei minori non dovesse decidere per l’adozione presso una famiglia. Ipotesi che vede pronti a intervenire di comune accordo i nonni della ‘coppia diabolica’. “Faremo tutto il possibile perchè sia affidato a loro – spiega Valeria Barbanti, legale della madre di Boettcher, Patrizia Ravasi -. Perchè riteniamo che quello che più conta è il bene del bambino e i nonni vogliono e sono assolutamente in grado di accudirlo”.