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Napoli: quindicenne accusa un killer, la camorra lo costringe a ritrattare

di Sandro |15 Giugno 2010 11:35

Lo hanno costretto a ritrattare la sua testimonianza al processo. Un tredicenne è stato vittima di pesanti intimidazioni da parte della camorra perché si era ritrovato davanti ai killer che sparavano a volto scoperto. Il ragazzino aveva inizialmente detto agli investigatori chi era stato a sparare, ma poi, in aula, aveva ritrattato tutto.

I fatti risalgono al 2007. Il bambino e la madre erano al parco acquatico “Magic World” di Licola, in provincia di Napoli, quando i killer entrano in azione per uccidere Nunzio Cangiano. Le indagini avevano chiarito che l’omicidio era stato commissionato dal clan Di Lauro. E il tredicenne disse ai magistrati: «Quello che ha sparato si chiama ’o topo, è di Secondigliano, me lo ricordo, stava spesso in sella a un’honda Sh o in una Audi». E così Mario Buono viene arrestato come esecutore dell’omicidio. La mamma e il bambino sono però nel frattempo spariti nel nulla. E infatti al processo l’imputato, difeso dal penalista Diego Abate, si è dichiarato innocente.

Ma sette mesi fa, al processo si sono presentati la mamma e il ragazzino, diventato quindicenne. In tribunale, a sorpresa, ha detto: «Non so nulla di quell’omicidio, so solo che mi stavate cercando. Eccomi, faccio il garzone in un bar, vorrei ”stare quieto”, se ho dichiarato qualcosa ho sbagliato». I giudici non hanno però creduto a una sola delle parole dette da lui dette in aula. Hanno infatti stabilito che il ragazzino è stato costretto a ritrattare in seguito a una «eccezionale forza intimidatrice esterna». Tanto forte, dicono i giudici, da essere in grado di «piegare l’aspirazione alla punizione del colpevole».

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