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Oro rubato in case, dai campi rom alle gioiellerie: il crimine multietnico

di Alessandro Avico |10 Agosto 2017 12:06

Oro rubato in case, dai campi rom alle gioiellerie: il crimine multietnico

Oro rubato in case, dai campi rom alle gioiellerie: il crimine multietnico

MILANO – Dalle case in cui viene rubato alle vetrine delle gioiellerie passando per i campi rom. E’ il crimine multietnico che mette insieme la manodopera slava, la logistica dei campi eternamente provvisori e la furbizia dei commercianti che hanno così accesso a materie prime a ‘basso costo’. Succede a Milano, da dove l’oro proviene e dove arriva per essere lavorato, e alimenta i laboratori – alcuni – di Valenza, il paese in provincia di Alessandria rinomato per le gioiellerie.

Il percorso del prezioso metallo che mette d’accordo italiani e stranieri, zingari e artigiani è quello che un’inchiesta del Corriere della Sera racconta essere realtà ormai da anni nel campo di via Bonfandini, periferia est di Milano non lontano dall’aeroporto di Linate. Una realtà perfettamente oliata in questo e che potrebbe essere replicata un po’ ovunque, visti i margini di profitto che garantisce ad una moltitudine di soggetti.

Il crimine multietnico dicevamo, perché a collaborare e a lucrare è davvero un melting pot che l’Italia in pochi settori vanta. Si va dalla manodopera base, chi materialmente entra nelle case e nelle ville per uscirne con preziosi vari oltre a tutto quello che può essere rivenduto, fatta in questo periodo storico per lo più da slavi, agli italianissimi gioiellieri passando per gli altrettanto italiani portavalori e soprattutto per i campi rom.

Lo schema, racconta Andrea Galli sul Corriere, funziona più o meno così. L’oro rubato in tutto il Nord Italia viene portato nelle baracche del campo di via Bonfandini dove viene sciolto. Da lì, a bordo di furgoni portavalori di società pagate per i viaggi, raggiunge i laboratori di Valenza, il paese in provincia di Alessandria. L’oro, una volta trattato, torna in parte indietro pulito e in parte finisce nei lavori dei gioiellieri disonesti e da questi sulle mani e ai polsi degli ignari acquirenti di domani. Un vero e proprio ciclo ‘virtuoso’ perché potenzialmente replicabile all’infinito. Un po’ come quello dell’acqua che va dagli oceani alle montagne per tornare agli oceani. Ma meno nobile.

Una simile sinergia, ipotizzata spesso e leggenda metropolitana che avvolge tutti o quasi gli insediamenti rom del nostro Paese, è nel caso di Milano documentata. Una sinergia che mette insieme delinquenza conclamata, come quella di chi per vivere si dedica ai furti, con quella che potrebbe senza troppo timore di smentita essere annoverata nella categoria ‘furbizia italiana’. La furbizia dei gioiellieri che arrotondano, visti i prezzi altissimi della materia prima oro, come quella di chi con i furgoni portavalori punta ad aumentare un po’ il giro d’affari, e poco importa di chi siano i valori trasportati.

“Discorso collaterale – scrive Andrea Galli -, ma non meno importante, è quello della responsabilità delle società di sicurezza. I malaffari con i rom per garantire il trasporto dell’oro sembrano piuttosto un’idea di singoli lavoratori, per arrotondare, per smania di ricchezza e per collaudate frequentazioni con i malavitosi; eppure nessuno può escludere un coinvolgimento maggiore, che toccherebbe da dentro le aziende nascondendo l’esistenza di un sistema profondo e collaudato”.

Su questo aspetto, come sul resto della filiera, sarà compito della magistratura far luce. Intanto possiamo dire che nel nostro Paese, almeno in questo campo, l’integrazione funziona eccome.

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