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Sanità: 30mila “sbagli” l’anno. Ma c’è troppa voglia di “colpevoli”

di admin |12 Gennaio 2010 15:41

I casi di malasanità si consumano soprattutto in ospedale

Quando il medico sbaglia. Quasi trentamila volte ogni anno i cittadini italiani denunciano i medici e gli ospedali per errori. Per loro è sempre “reato” da punire e da farsi risarcire, ma i dati dimostrano che spesso i cittadini hanno torto: l’80% dei procedimenti giudiziari vengono infatti archiviati.

Secondo l’Ania, l’associazione nazionale imprese assicuratrici, negli ultimi anni c’è stata un’impennata di richieste danni. Si è passati dalle circa 17mila segnalazioni del 1996 alle 29.500 del 2007.

Errori, di questo si tratta. Ma c’è errore ed errore… Errori di diagnostica, errori di incuria, errori di disorganizzazione. Quando è davvero malasanità? Quando invece è normale, ineliminabile, sbaglio umano? Siamo di fronte ad un effettivo aumento degli errori o ad una maggiore tendenza dei danneggiati a chiedere risarcimenti?

Il 2010 è cominciato nel peggiore dei modi per la sanità italiana. Agli Ospedali riuniti di Foggia sono morti due neonati a distanza di pochi giorni e nello stesso reparto. Si sospetta un’infezione in terapia intensiva, probabilmente setticemia. Trenta medici sono attualmente indagati. Anche la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari, presieduta da Leoluca Orlando, ha aperto un’indagine sul caso. I magistrati di Pisa stanno invece indagando sulla scomparsa di Giovanni D’Angelo, 29 anni, padre di un bambino di 4 mesi: si era presentato al pronto soccorso dell’ospedale Santa Chiara con un dolore al petto. Era un codice rosso, ma dopo le analisi i sanitari lo hanno dimesso diagnosticando uno strappo muscolare e prescrivendogli un antidolorifico. L’uomo, tornato a casa, ha avuto un altro malore e poco dopo è morto. Il 4 gennaio scorso una donna di 26 anni alla 33esima settimana di gravidanza è morta con le due gemelline che portava in grembo al S. Matteo di Pavia. Per capire l’accaduto, il marito ha presentato un esposto alla Procura che per il momento ha iscritto nel registro degli indagati, per il reato di omicidio colposo, tre medici e due infermieri. Da Trento arriva invece una richiesta di risarcimento danni per un milione di euro: una donna di 50 anni è morta di tumore nel 2008 dopo essersi sottoposta l’anno precedente ad un pap-test presso l’ospedale San Camillo. Non ricevendo comunicazioni, la donna aveva ipotizzato un risultato negativo ma si sbagliava. Sei mesi dopo ha ritirato il referto e ha scoperto di avere un carcinoma. Purtroppo era troppo tardi per guarire. È del 22 dicembre, invece, un’altra storia accaduta a Bari. Un uomo di 80 anni è morto dopo essere caduto dall’ambulanza che lo trasportava, all’interno del Policlinico, dal Pronto soccorso al reparto di degenza.

«Il ripetersi di tutti questi errori crea nel cittadino uno stato di grande incertezza e preoccupazione», ha commentato Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva, l’organizzazione civica che ha tra le sue reti il Tribunale per i diritti del malato. «I nemici dei cittadini continuano ad essere la mancanza di una cultura della sicurezza, disorganizzazione, manutenzione troppo spesso dimenticata, assenza di qualsiasi sistema serio di valutazione degli operatori».

Il senatore del Pd Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario Nazionale (Ssn), ha sottolineato che «è giunto nel nostro paese il momento di istituire una struttura al di sopra delle parti con funzioni di Garante della salute» con l’obiettivo di verificare la qualità delle cure e dei servizi prestati dal Servizio sanitario nazionale.

Uno dei problemi da risolvere è che soltanto poche Regioni inviano dati aggiornati e credibili sugli errori di malasanità. Gli unici numeri che consentono un’analisi sono quelli delle segnalazioni al Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. Il trend delle segnalazioni di errori medici o «malpractice», per dirla all’americana, dal 1996 al 2008 offre uno spaccato parziale ma interessante. Nel 2008 si è registrata una lieve flessione pari allo 0,2% rispetto al 2007. La percentuale si attesta sul valore del 18%, confermando i presunti errori medici al primo posto tra i diversi tipi di casi segnalati nel corso del 2008: prevalentemente errori durante lo svolgimento di interventi chirurgici (53%) piuttosto che di errata diagnosi (26%). Il 12% dei casi avviene per sbagli terapeutici. Gli errori riguardano le specialità di ortopedia nel 17,5% dei casi, di oncologia (13,9%), di ginecologia e ostetricia (7,7%), di chirurgia e oculistica (5,4%), odontoiatria (5,2%) e pronto soccorso (2,8%).

Dove avvengono gli sbagli? Prevalentemente nelle strutture di ricovero (61,8%) ma anche, per una percentuale pari all’11,8%, nel Pronto soccorso. La quasi totalità di quanto segnalato avviene in ambienti sanitari pubblici o accreditati (88%). La percentuale maggiore di segnalazioni di «malpractice» interessa le donne (57%). Per quanto riguarda l’età dei soggetti interessati, la fascia maggiormente colpita è quella che va dai 36 ai 56 anni (26%). Oltre la metà delle segnalazioni, ben il 58%, si concentra nella fascia di età lavorativa dei cittadini: 19-65 anni. Ma il maggior numero di decessi riguarda la fascia che va dai 77 agli 87 anni. La geografia degli errori: il 38% al Nord, il 21 al Sud, il 29 al Centro e il 12 nelle Isole. Ma il Nord è in flessione rispetto al 2007.

Le segnalazioni corrispondono a realtà? In 29 casi su 100 è stato accertato un errore diagnostico. Nel 21% dei casi l’errore accertato fa riferimento ad una inadeguata assistenza di tipo medico o infermieristico.

Comunque non tutte le segnalazioni diventano denunce e non tutte le denunce finiscono in un’aula di Tribunale. In fondo, c’è errore ed errore e la guarigione non fa parte del “contratto medico-paziente”. Nessun medico la può garantire. L’80 per cento dei procedimenti giudiziari vengono alla fine archiviati. Restano però quei 32mila casi ogni anno di morti in ospedale causati da errori medici: il 2,5% circa del totale dei decessi in Italia, secondo i dati Istat, più dei morti per incidenti stradali.

Inoltre, 1 su 6 di questi errori, circa 5.000, non è dovuto a negligenza, a incompetenza o a mancanza di conoscenze tecniche, bensì alla fallibilità del ragionamento umano: si chiamano errori cognitivi. Le possibili soluzioni comprendono la formazione, il lavoro in team e la simulazione delle emergenze. La lacuna più grave è però quella che metà degli ospedali non sa quanti e quali errori commettono. E che, quindi, non può lavorare per ridurli al minimo.

Tirando le somme: la “malasanità” c’è. Ma non è la regola e si riscontra nella minoranza dei casi che i pazienti e i familiari denunciano. Spesso pazienti e familiari denunciano il “fallimento sanitario” della diagnosi e delle cure. Ma una percentuale di “fallimenti” di questa genere è nella natura della medicina. Trasformare una fallita cura in una vicenda giudiziaria è solo la forma impropria della intollerabilità che il fallimento sia “toccato proprio a me”. Detratta la fallibilità di una scienza non esatta, detratta la mortalità ineliminabile della specie umana, fatta la tara all’assurda sensazione che dietro ogni fallimento sanitario ci sia una “verità nascosta e da scoprire”, resta la “malasanità”. Turni di servizio ridotti o mal coperti, faciloneria nell’approccio con il paziente, burocrazia, attrezzature inadeguate. Quanto basta per vigilare su ciò che fa il medico, quanto non giustifica il cercare sempre e comunque un medico colpevole.

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