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Scuola, spendiamo pochi soldi? Non è vero

di Daniela Lauria |10 Ottobre 2013 11:16

Scuola, spendiamo pochi soldi? Non è vero

ROMA – Chi l’ha detto che destiniamo troppe poche risorse alla scuola? I dati Ocse rivelano tutt’altro: investiamo molto, ma spendiamo male. Gli stessi dati che si nascondono dietro alle parole del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, tanto da meritarci l’etichetta di “inoccupabili”, dati che rivelano l’infamante verità per cui non sappiamo più né leggere, né far di conto, dicono anche che non è colpa delle poche risorse a disposizione.

Eppure, il ministro Giovannini si era affrettato a precisare che non ha mai parlato di “italiani inoccupabili”, bensì che “i dati della rilevazione Ocse mostrano come ci sia bisogno in Italia di investimenti in capitale umano, in formazione”. Obiettivo per il quale il governo ha già stanziato 500 milioni di euro.

Già ma a quanto pare non è colpa neppure dei tagli della Gelmini che sì, hanno colpito alla cieca, punendo nel peggiore dei modi anche chi non meritava la penalizzazione  ma che comunque sono stati tali da farci rientrare nella media Ocse.

A snocciolare i numeri dell’Ocse è Andrea Ichino sul Corriere della Sera:

Nel 1999-2000 la spesa annua per studente era maggiore in Italia rispetto alla media dei Paesi Ocse in tutti e tre i livelli di istruzione: pre-scolare, primaria e secondaria. Ad esempio nel caso della secondaria, lo Stato italiano spendeva 7218 dollari per studente mentre la media Ocse era 5957 dollari (e il confronto è in termini reali, ossia a parità di potere d’acquisto della moneta).

Il governo Berlusconi ci ha dato un taglio netto: riducendo pesantemente e indiscriminatamente la spesa per l’istruzione ma, osserva Ichino,

nel 2008-2009 la spesa per studente secondario italiano era comunque di 9112 dollari, di poco inferiore alla media Ocse di 9312. E in ogni caso, non sono certo questi tagli la causa della pessima performance dei quarantenni e cinquantenni nella indagine Piaac.

In sostanza l’Italia spende poco per la scuola in proporzione al Pil e alla spesa pubblica ma andando a guardare la spesa per studente, le risorse non sono affatto scarse e la ragione risiede nel forte calo demografico degli ultimi anni. Con meno cervelli da “sfamare” i tagli non sono poi così penalizzanti. Per questo, osserva Ichino

la decisione recente del governo Letta di aumentare i finanziamenti alla scuola, non è affatto rassicurante. Se prima non impariamo a spendere bene, è inutile versare più risorse nella scuola: sarebbe come trasportare acqua con un secchio bucato.

C’è poi chi dà la colpa al numero esiguo di docenti o alle troppe poche ore di insegnamento. Ma anche questa leggenda è presto smentita dai numeri dell’Ocse

Nella scuola secondaria c’erano in media 10,3 studenti per insegnante in Italia nel 1999-2000 contro una media Ocse di 14,3. Le cifre corrispondenti per il 2009-2010 erano 12 e 13,8. Le ore obbligatorie di insegnamento erano 1020 in Italia nel primo periodo contro una media Ocse di 935 (1023 e 899 nel secondo periodo). I dati sono simili per gli altri livelli di istruzione.

E allora, la domanda sorge spontanea: se i soldi ci sono e il numero di insegnanti e ore per la formazione è sufficiente a garantire il medesimo grado di preparazione degli altri paesi Ocse, perché siamo gli ultimi della classe?

Secondo Ichino forse è colpa di una cattiva selezione di chi è deputato alla trasmissione del sapere: gli insegnanti. E’ proprio qui che i dati italiani si discostano dalla media dei Paesi Ocse

Gli insegnanti italiani sono pagati poco in rapporto al Pil pro capite, rispetto a quanto sono pagati in media gli insegnanti nei Paesi Ocse. E a questo si aggiunge una lunga gavetta di precariato in cui conta soprattutto l’anzianità e non il merito, per diventare docenti.[…] Eppure, ad ogni concorso per la scuola il numero di candidati è sempre largamente superiore al numero di posti disponibili. È un fatto per certi versi sorprendente, ma è facile ipotizzare che non siano i migliori laureati a essere attratti da questa professione, che paga poco ma chiede anche poco (l’orario di lavoro di un insegnante italiano è inferiore alla media Ocse) e assicura il posto fisso.

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