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Uomini che maltrattano le mogli: nessuno sconto di pena

di Maria Elena Perrero |5 Luglio 2011 21:23

ROMA – Nessuna comprensione, alias 'sconto di pena', in Cassazione, per la ''subcultura maschilista e intollerante'' di quegli uomini che pensano di avere ''il controllo della situazione'' in famiglia, usando la prevaricazione nei confronti della moglie, senza accettare ''il principio dell'uguaglianza dei coniugi'' e senza rendersi conto che i tempi e i costumi sono cambiati da un pezzo. Lo hanno stabilito, con parole inequivocabili, i supremi giudici della Sesta sezione penale con un verdetto scritto dal consigliere Franco Ippolito, 'braccio destro' del Primo presidente Ernesto Lupo, e Segretario generale dell'alta corte.

Insomma, i magistrati di legittimità hanno archiviato per sempre l'attenuante culturale che consentiva di considerare con occhio mite i numerosi regimi domestici violenti diffusi nel Paese.

Così la Suprema Corte ha confermato la condanna per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate nei confronti di Nazareno C., un marito pugliese che per trent'anni, a partire dal secondo giorno di matrimonio, aveva vessato la moglie che solo dopo tanto tempo, supportata dalle testimonianze dei figli, ha deciso di denunciarlo.

Al marito violento, che chiedeva una condanna più mite, i supremi giudici hanno risposto che ''atteggiamenti derivanti da subculture in cui sopravvivono autorappresentazioni di superiorità di genere e pretese da padre/marito-padrone'' non possono essere assolutamente prese in considerazione per attenuare il dolo né, tantomeno, possono mettere in discussione ''l'imputabilità'' del despota familiare.

''Il fatto che tali atteggiamenti siano proseguiti per ben trent'anni'' – sottolinea la sentenza 26153 – non può essere considerato un elemento che porta alla concessione delle circostanze ''scriminanti o attenuanti'', in quanto costituisce ''il costume abituale di un anacronistico 'pater familias' maschilista e intollerante, refrattario alla modificazione del costume e alla vigenza delle leggi della Repubblica che hanno progressivamente dato attuazione al principio costituzionale di uguaglianza tra i coniugi''.

Per tre decenni, Nazareno C. aveva trattato la moglie ''come un oggetto di sua esclusiva proprietà''. Escono così convalidate la pronuncia emessa dalla Corte d'Appello di Bari il 18 maggio 2009, e quella che la aveva preceduta, siglata dal Tribunale di Foggia, il 17 ottobre 2005.

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