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Siria, il giallo di Amina: e se la storia della blogger rapita non fosse vera?

di Elisa D'Alto |8 Giugno 2011 17:23

ROMA – Il dubbio l’ha avuto per primo un giornalista di National Public Radio, Andy Carvin, poi a seguire la notizia è rimbalzata sul New York Times, l’Huffington Post e via via anche in Europa. E se la storia di Amina Arraf, la blogger gay rapita a Damasco dalla polizia segreta siriana, fosse in realtà una bufala? Fosse anche solo parzialmente vera? Solo un’ipotesi per ora, perché lo stesso Carvin dice che in base alle notizie arrivate finora potrebbe darsi che Amina esista eccome e che in queste ore sia stata magari anche torturata dalla polizia per via delle sue opinioni da dissidente.

Ma Carvin snocciola anche i motivi per cui ha iniziato a dubitare. La ragazza è per metà americana e per metà siriana, si è trasferita a Damasco nel 2010 e da allora ha un suo blog piuttosto seguito: Gay Girl in Damascus, dove scrive opinioni personali, fatti inventati e veri, sulla vita in Siria. Anche racconti erotici ed espliciti. Amina è lesbica e questa condizione la mette ancora più in difficoltà in un Paese dove l’omosessualità è reato. Per questo mix di ragioni il blog di Amina è molto seguito in Occidente, proprio perché la ragazza parla una lingua e ha opinioni molto vicine alla sensibilità occidentale. Per questo motivo molti giornalisti l’hanno intervistata, ma sempre e solo via e-mail, dallo scoppio della primavera araba in poi.

Nel suo blog la ragazza ha raccontato di aver subito minacce dal regime e che solo l’intervento del padre l’avrebbe salvata. Ma sono passati pochi giorni e Amina è stata rapita sul serio, così almeno qualcuno ha scritto sul suo blog innescando una campagna internazionale a favore della sua liberazione. Camminava per strada con un’amica quando è stata avvicinata da due uomini e fatta entrare su un’auto rossa. Niente targa, l’amica non l’ha vista. In compenso ha notato un adesivo che campeggiava sulla macchina e che ritraeva il fratello defunto del presidente siriano Al Assad.

Inoltre, nessuno dei giornalisti che ha cercato di contattate la famiglia di Amina ha avuto successo, nessuno sembra conoscerla in città, nemmeno la comunità gay locale. E poi c’è anche il giallo delle foto. Dopo la notizia della scomparsa, soprattutto su Facebook, sono circolate le presunte foto che identificherebbero la blogger. Peccato che una lettrice inglese del Guardian ha sostenuto di essere lei la donna in foto, una certa Jelena Lecic.

Insomma resta il dubbio che Amina sia solo un nome d’arte o una finzione letteraria. E allora chi c’è dietro questo pseudonimo, e perché inventare la storia del rapimento, che tra l’altro danneggerebbe l’opposizione siriana e quanti sul serio sono stati rapiti dalla polizia?

Carvin comunque lascia aperta ogni ipotesi: : “Nonostante tutti gli interrogativi, sono molto preoccupato che le discussioni sulla sua identità possano distrarre la gente dalla possibilità che lei si trovi detenuta e forse brutalizzata, e che abbia bisogno del sostegno di amici ed estranei. Che abbia usato uno pseudonimo o che scriva occasionalmente fiction sul suo blog appaiono discussioni accademiche se paragonate a quel che le sta forse accadendo. Chiunque sia, e ovunque sia, spero che stia bene di rivederla presto online”.

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