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Marea nera, Golfo del Messico in fiamme per salvare gamberi e pellicani

di admin |28 Aprile 2010 21:09

Il Golfo del Messico brucia: per salvare ostriche, gamberi, pellicani del Delta del Mississippi dalla “morte nera” l’amministrazione Obama ha dato il via a una serie di incendi controllati nell’area invasa dalla macchia di petrolio fuoriuscita da un pozzo di petrolio offshore.

Da “Drill Baby Drill”, lo slogan dei repubblicani favorevoli alle trivellazioni nel’oceano, a “Burn Baby Burn”: è una mossa dettata dalla disperazione di fronte a quello che rischia di essere “il peggior disastro ambientale della storia”, come lo ha definito la responsabile della Guardia Costiera in Louisiana, contrammiraglio Mary Landry.

I primi test sono cominciati a metà giornata in un’area delimitata della macchia killer ormai vasta quanto due volte il comune di Roma. Sabato, se i venti e le correnti non cambieranno intensità e direzione, la marea bituminosa oggi a 30 chilometri dalle spiagge, arriverà a lambire le coste ecologicamente fragili della Louisiana con danni potenzialmente irreparabili per innumerevoli specie di pesci e di uccelli che lì vengono a riprodursi.

Per il primo test il petrolio è stato “consolidato” all’interno di un gigantesco salvagente di materiali resistenti alle fiamme: è stato quindi “rimorchiato” in una zona più lontana dalla costa dove è stato incendiato in maniera controllata per un’ora circa. “Dobbiamo stare attenti alle condizioni del mare. Il petrolio non ha le stesse capacità di bruciare della benzina”, ha detto il portavoce della Guardia Costiera Steven Carleton.

Tante le controindicazioni, a partire dal pennacchio di fumo nero che potrebbe diffondere in aria ceneri e altri veleni. Ma a mali estremi estremi rimedi, e poi, come ha spiegato la National and Oceanic Atmospheric Administration, “per uccelli e mammiferi il rischio del fumo è molto minore a quello di venir esposti alla marea nera”.

Uno dei problemi posti ai guardiacoste è che la marea nera é una pellicola sottilissima sulla superficie dell’oceano: come un velo rosso-Gatorade che si staglia sul mare blu cobalto. “E’ una pellicola delle dimensioni di un capello”, ha detto Tony Hayward, l’amministratore delegato di Bp accorso in Louisiana per fronteggiare un disastro di immagine direttamente proporzionale ai guasti ambientali dell’incidente provocato dall’affondamento della Deepwater Horizon, la piattaforma che il gruppo aveva in leasing.

“Saremo giudicati dalla efficacia della nostra risposta”, ha detto Hayward dando la massima disponibilità alle commissioni di inchiesta del governo americano e del Congresso sule cause dell’incidente. Ne hanno ordinata una il ministero della Homeland Security e dell’Interno (che ha competenze ambientali), un’altra le Commissioni Energia e Commercio della Camera.

Le inchieste devono valutare negligenze e responsabilità, anche penali. Intanto Bp si sta accollando il cartellino del prezzo: sei milioni di dollari al giorno per ripulire il mare. Gli ingegneri petroliferi stanno cercando ancora, ma con sempre minori speranze, di chiudere con l’ausilio di quattro robot sottomarini la valvola di contenimento del pozzo all’origine della perdita.

Si sta passando al piano B, la maxi-cupola per raccogliere il petrolio, ma ci vorrà fino a un mese prima che questa struttura possa essere operativa.

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