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L’altro schiaffo di Gheddafi: pallottole sugli italiani da una motovedetta regalo dell’Italia. E a bordo c’erano 6 militari italiani…

di admin |13 Settembre 2010 21:51

A pochi giorni di distanza dalla sua visita in pompa magna a Roma, arriva per l’Italia l’altro schiaffo di Gheddafi. In che altro modo, se non con l’immagine di uno “schiaffo” si può definire ciò che è successo nelle acque internazionali domenica, quando un innoquo peschereccio italiano, di Mazara del Vallo, è stato mitragliato da una motovedetta libica? Una motovedetta che, è proprio il caso di ricordarlo, è una di quelle sei inbarcazioni, appartenenti alle Fiamme Gialle, che il governo italiano ha regalato alla Libia affinché il paese nordafricano intensificasse il controllo delle coste. Tanto è vero che proprio su quella motovedetta, come da accordo, c’erano anche sei militari italiani della Guardia di Finanza in qualità di “osservatori”. Insomma, ironia della sorte, domenica a sparare contro un peschereccio italiano è stata un’imbarcazione pagata dalla stessa Italia e donata con tante e grazie alla Libia dell’ “amico” Gheddafi. Certo nessuno avrebbe pensato che sarebbero servite per spararci contro. E di fatti subito il ministro dell’Interno Maroni ha aperto un’inchiesta per accertare le cause della vicenda. Allo stesso modo, anche se con qualche ora di “lentezza, anche in Libia è stata aperta un’inchiesta analoga: ”Le autorità libiche hanno nominato un comitato d’inchiesta sui motivi dell’incidente –  annuncia in serata l’ambasciatore libico in Italia Abdulhafed Gaddurun – comitato aperto anche agli italiani che vi potranno partecipare”.

D’apprima si era diffusa la notizia che a bordo della motovedetta libica ci fosse un ufficiale italiano della Guardia di Finanza. Notizia confermata d’apprima dal Comando generale del Corpo e dal ministro degli Esteri Franco Frattini. “Certamente vi era un militare della Guardia di Finanza e del personale tecnico delle Fiamme Gialle – aveva spiegato in un primo tempo il titolare della Farnesina – come è stabilito dall’accordo originario italo-libico firmato nel 2007 dal governo Prodi e integrato da Maroni nel 2009. Ma il comando è degli ufficiali libici, i nostri uomini non hanno ovviamente preso parte all’operazione. Il comandante libico – ha aggiunto Frattini – ha ordinato di sparare in aria, poi invece è stata colpita l’imbarcazione. Oggi a seguito dell’azione della nostra ambasciata il comandante generale della guardia costiera libica ha espresso le sue scuse alle autorità italiane per l’accaduto”. Successivamente si è invece appreso che sulla motovedetta che ha sparato c’erano sei militari italiani. Lo hanno fatto sapere in tarda serata fonti della Guardia di Finanza specificando che tra loro, contrariamente a quanto si era appreso in un primo momento, non vi erano ufficiali. Dei sei militari due sono osservatori e quattro consulenti tecnici.

Ma Frattini allo stesso tempo invita a “rivedere” e “chiarire” le ”regole d’ingaggio” previste dall’accordo tra Italia e Libia sui pattugliamenti congiunti anti-immigrazione clandestina. ”Ho sentito il ministro Maroni, che è responsabile del coordinamento, il quale ha avviato oggi stesso un’inchiesta sui fatti – ha spiegato Frattini – e mi ha detto di aver convocato per domani una riunione proprio sul funzionamento delle regole di ingaggio che certamente vanno chiarite e integrate”.

Il racconto del comandante: “E’ stato un inferno”. ”E’ stato un inferno: i proiettili rimbalzavano dal ponte fino alla sala macchine. Ci siamo distesi tutti a terra pregando che nessuno di noi venisse colpito”. Il capitano Gaspare Marrone va in mare da oltre trent’anni, con la sua barca ha affrontato molte volte la burrasca e ha salvato la vita a decine e decine di migranti che avevano fatto naufragio nel Canale di Sicilia. Ma i momenti terribili vissuti domenica sera, insieme con i suoi dieci uomini d’equipaggio, difficilmente potrà dimenticarli. ”Ha ragione il comandante, siamo vivi per miracolo”, continuano a ripetere i marinai dell’ ”Ariete”, il peschereccio della flotta di Mazara del Vallo mitragliato da una motovedetta libica perchè non si era fermato all’alt.

Il tentativo di abbordaggio è avvenuto intorno alle 22, quando il motopesca si trovava a circa 30 miglia dalle coste libiche, in acque internazionali: ”Ci hanno intimato di fermarci – racconta il comandante – ma io, sapendo quello che ci aspettava, ho preferito proseguire spingendo i motori al massimo. A questo punto hanno aperto il fuoco, continuando a sparare a intervalli di circa un quarto d’ora-venti minuti”. Il capitano ha ancora negli occhi il terrore provocato da quei colpi di mitraglia: ”Ci hanno inseguito fin quasi dentro le nostre acque territoriali. Solo all’alba, quando eravamo in vista di Lampedusa, ci siamo sentiti in salvo”.

Da anni le autorità libiche rivendicano la loro giurisdizione sul Golfo della Sirte, sequestrando le imbarcazioni mazaresi sorprese a pescare in quel tratto di mare. Ma il capitano assicura che l’ ”Ariete”, al momento del tentativo di abbordaggio, stava navigando e non era impegnato in una battuta: ”Non avevano nessun diritto di fermarci”. E invece i militari libici, nonostante la presenza a bordo dei finanzieri italiani, hanno usato le maniere ”forti” per convincere i marinai a desistere dalla fuga, come testimoniano la fiancata sinistra e la cabina del motopesca sforacchiati dai proiettili: ”Hanno sparato all’impazzata. Solo per un caso non hanno provocato l’esplosione di alcune bombole di gas che erano in coperta”, sottolinea Alessandro Novara, uno dei componenti dell’equipaggio. Gli fa eco Tameur Chaabane, un altro marittimo tunisino imbarcato sull”’Ariete”: ”I libici sono degli incoscienti, perché sparare all’altezza della cabina di comando significa volere uccidere”.

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