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Licenziamenti per motivi economici più facili: così cambia l’articolo 18

di Maria Elena Perrero |15 Marzo 2012 11:59

ROMA – Reintegro nel proprio posto di lavoro solo nel caso di licenziamenti discriminatori: è l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori secondo il ministro del Lavoro Elsa Fornero. Nessun reintegro, quindi, in caso di licenziamento per motivi economici. In questo caso il lavoratore riceverebbe solo un indennizzo. Nel caso di licenziamento per motivi disciplinari spetterebbe invece al giudice decidere se il lavoratore debba essere reintegrato oppure indennizzato, come in Germania.

La versione firmata Fornero prevede un tetto al risarcimento in caso di reintegro, che dovrebbe essere di 24 mesi. Per cui il lavoratore ha diritto al massimo a due anni di stipendi arretrati a prescindere da quando arriva la sentenza, ma l’azienda dovrà pagare i contributi per la pensione relativi a tutto il periodo.

La proposta Fornero non piace ai sindacati, che vogliono mantenere l’articolo 18 invariato, quindi con il diritto al reintegro anche nel caso di licenziamenti disciplinari, casi in cui invece sia Confindustria sia il Pdl sono d’accordo con il ministro del Lavoro. Con i sindacati si schiera invece il Pd, d’accordo al limite sulla cancellazione del diritto al reintegro nei casi di licenziamenti per motivi economici oggettivi.

A preoccupare Confindustria sono anche le proposte sul riassetto dei contratti, che porterebbero ad un irrigidimento delle norme e ad un aumento dei costi, giudicati insostenibili da artigiani e commercianti. Ma per il ministro l’accordo è più vicino e si potrebbe raggiungerel’accordo sulla riforma entro una settimana. Si parla persino di una convocazione delle parti sociali a Palazzo Chigi il prossimo 20 marzo, in modo da riuscire a varare la riforma entro marzo, come vorrebbe il governo.

Secondo il documento mandato da Fornero alle parti sociali, ci vuole più flessibilità in entrata e in uscita , e un adeguamento della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, “in particolare di quelli per motivi economici”.

Dall’incontro con il ministro i sindacati avrebbero ottenuto la disponibilità ad allungare la fase transitoria degli ammortizzatori dal 2015 al 2016-17, prima dell’andata a regime del nuovo sistema, e il mantenimento dell‘indennità di mobilità, che sussidierebbe il lavoratore terminata l’Aspi, cioè la nuova indennità di disoccupazione, per accompagnare alla pensione i lavoratori espulsi dalle aziende. Sarebbe prevista comunque per i lavoratori anziani la possibilità di costituire fondi di solidarietà a carico delle aziende per permettere il prepensionamento con quattro anni di anticipo rispetto alle regole generali.

In base al documento accanto al contratto a tempo indeterminato, che resta la forma normale di lavoro, il canale principale di ingresso al lavoro sarebbe il contratto di apprendistato. Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato ne resterebbero sette tipi, ma sarebbero più difficili da utilizzare.

Le aziende che assumeranno apprendisti beneficeranno di agevolazioni sui contributi solo se dimostreranno di avere stabilizzato a tempo indeterminato una parte di quelli assunti in precedenza. La formazione, poi, dovrà essere certificata dalla “presenza obbligatoria del tutore”.

Ci sarà una “maggiorazione contributiva”, con aliquota all’1,4 per cento, anche sui contratti a termine che l’azienda potrà recuperare nel caso assuma a tempo indeterminato il lavoratore, sotto forma di “premio di stabilizzazione”.

Per evitare che si succedano ininterrottamente (e abusivamente) i contratti a termine verrà aumentato l’intervallo temporale tra un contratto e l’altro, e verrà eliminato l’obbligo di “impugnare il contratto a termine davanti al giudice entro 60 giorni dalla cessazione dello stesso e si ridurrà a 9 mesi il termine entro il quale proporre l’azione in giudizio”.

Sui contratti a progetto, i cosiddetti co.co.pro., verrà introdotto un incremento dell’aliquota contributiva all’Inps, in modo da avvicinare l’aliquota di questo tipo di contratti a quelle previste per il lavoro dipendente (al 33 per cento). Dovrebbe poi essere eliminata la possibilità del recesso del committente prima della scadenza del termine anche in mancanza di una giusta causa. Fornero vorrebbe anche introdurre una definizione più stringente del “progetto” (cioè quello per cui sarebbe chiamato a lavorare il soggetto del contratto a progetto, appunto) e l’abolizione del “fuorviante concetto di programma”.

Fornero pensa anche a norme per contrastare l’abuso delle partite Iva, in modo da “far presumere, salvo prova contraria, il carattere coordinato e continuativo della collaborazione” tutte le volte che questa duri in tutto più di sei mesi nell’arco di un anno e da essa il lavoratore ricavi “più del 75 per cento dei corrispettivi” e comporti “una postazione di lavoro presso il committente”.

Sui contratti di associazione in partecipazione la proposta Fornero prevede che possano ricorrere a questa forma di lavoro solo le “piccole attività” con non più di cinque persone, fatta eccezione per le associazioni in ambito familiare. Fornero chiede poi che sia provata “l’effettività della partecipazione agli utili”, altrimenti il rapporto di lavoro si trasforma in subordinato.

Per i contratti part time, job on call e voucher, per ogni variazione di orario in attuazione delle “clausole elastiche del part-time” scatterà un “obbligo di comunicazione amministrativa”. Stesso obbligo sul job on call ogni volta che l’azienda chiama il lavoratore. Fornero prevede poi di “restringere il campo di operatività” dei voucher.

 

 

 

 

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