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Ponzellini: il banchiere in camicia verde

di admin |4 Aprile 2011 15:05

Massimo Ponzellini (foto Lapresse)

Il suo nome è ricorso in continuazione in questi giorni per una poltrona di lusso, mentre si discuteva del rinnovo dei vertici di alcuni fra i maggiori gruppi a controllo pubblico, dall’Eni all’Enel, da Terna a Finmeccanica alle Poste. A nomine ormai date per sicuro, però, a Massimo Ponzellini è rimasto in mano solo un pugno di mosche. Gli sponsor del presidente di Bpm e di Impregilo sono comunque potenti e decisi: lui è ormai il “jolly” che la Lega e Giulio Tremonti tirano fuori a ogni pie’ sospinto, per qualsivoglia collocazione di prestigio. Tempo fa Umberto Bossi ha addirittura fatto capire che lo avrebbe visto bene come prossimo sindaco di Bologna, uno scranno a cui probabilmente Ponzellini non ambisce affatto (i politici passano, i top manager restano). Si può quindi tranquillamente scommettere che risentiremo presto parlare del banchiere bolognese, magari per la presidenza della tremontiana Banca del Sud.

Chi è dunque questo 60 enne che non passa inosservato con la sua presenza spesso chiassosa e spiritosa e i suoi occhialoni dalla pesante montatura nera? Con quali arti occulte ha trafitto il cuore del Senatur che ormai ne parla come del “nostro” banchiere? Tanti anni fa non era forse il Nostro il pupillo di Romano Prodi – di cui fu anche studente all’Università di Bologna ma, ahimé, fermandosi a due passi dalla laurea – che lo sospinse a una rapida carriera nell’Iri allora presieduta proprio dal Professore? Andiamo con ordine: Ponzellini nasce nel 1950 nella città felsinea da buonissima famiglia: il padre, imprenditore a capo di un gruppo che spazia dall’editoria alle materie plastiche al brokeraggio assicurativo, è stato per un quarantennio membro del Consiglio superiore della Banca d’Italia.

Ma l’ingegner Giulio, Cavaliere del lavoro, è stato anche uno dei fondatori del Mulino e tra i finanziatori di Nomisma, centro studi tanto caro all’ex presidente del Consiglio che ne fu la levatrice con l’attiva collaborazione proprio di Massimo. Non può stupire quindi che il giovane Ponzellini cominci proprio qui, a Nomisma, di cui nel 1981 sarà direttore generale. Già da allora lo segue una fama di bon vivant. I maligni gli appiccicano l’etichetta “donne e motori”. Che le esponenti del sesso cosiddetto debole gli piacciano non lo nasconde ma quelle che più contano sono senz’altro le donne di famiglia: la mamma, Marisa Castelli, erede dell’omonimo e importante mobilificio, e la moglie, Maria Segafredo, imprenditrice del caffè, da cui ha avuto tre figlie e il cui nome porta tauato sul braccio. Quanto ai motori, da giovane amava guidare Ferrari, poi passò alle Bentley con autista, quando in seguito andò a lavorare a Napoli, da ad della Sofin (gruppo Iri), cavalcava di gusto le centinaia di cavalli di un potente motoscafo per i suoi week-end capresi.

Eccessi giovanili: da parecchio preferisce i gessati e l’eloquio prudentissimo del banchiere di lungo corso. Ne ha dato di recente un preclaro esempio di scuola intervenendo in tv alle “Invasioni barbariche”. La povera Daria Bignardi ha cercato in ogni modo di fargli dire qualcosa di compromettente (su Berlusconi, su Gheddafi con cui Impregilo ha concluso buoni affari) ma lui non c’è cascato ed è sgusciato via come un’anguilla.

Prima di diventare banchiere, comunque, Massimo crebbe all’ombra di Prodi: suo “assistente personale” al ministero dell’Industria, poi dirigente all’Iri e responsabile del dipartimento strategie e studi (proprio lui, laureato mancato), quindi ad della Sofin (una carta che ora può essere importante nella corsa alla Banca del Sud), consigliere di Finmeccanica e Alitalia. Esaurita la spinta propulsiva prodiana, quando il Professore lasciò l’Iri, Paraponzellini (copyright Dagospia) se ne andò in dorato esilio alla Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, creata nel ‘91 per “ricostruire” le disastrate economie dei paesi dell’ex blocco comunista), con sede a Londra (si dice che colà il Nostro divenne amico anche del principe Carlo). Una sorta di periodo in “terra di nessuno”, politicamente intendendo, terminato tre anni dopo con la nomina a vicepresidente della Bei (Banca europea degli investimenti).

Una poltrona d’oro cui Ponzellini fu destinato dal governo Berlusconi, per la precisione dal ministro Lamberto Dini, amico di famiglia (ricordiamo che il padre era consigliere superiore in Bankitalia). Poi Lambertow partì per altri lidi. Massimuccio, invece, trovò confortevole l’appoggio del centrodestra e se lo tenne stretto, in particolare coltivando il rapporto con Giulio Tremonti (qualcuno ricorda che anche Giulio iniziò la sua carriera parlamentare in antitesi a Berlusconi?). Ma il banchiere bolognese non è uomo da scelte di campo nette e irreversibili: è un compagnone, un amicone di tutti. Non sappiamo se sia vera o apocrifa la sintetica descrizione che del Nostro è stata data da un anonimo conoscente: “Ponzellini non è bipartisan, ma tripartisan o quadripartisan”. Un blogger a suo tempo infierì: “Tutti sanno che Ponzellini non cambia mai idea, al massimo l’affitta”.

Vero è che, anche dopo essere approdato nel protettivo golfo tremontiano, ancora agli inizi del nuovo millennio Ponzellini cercava di mantenere buoni rapporti con l’altra sponda: tramite la Editing srl, la Gm 762 e la Chiara srl il banchiere pigliatutto nel 2001 è stato socio di Nuova Iniziativa, editrice dell’Unità; quando poi nello stesso anno vi fu lo scontro Rutelli-Berlusconi, non potendo ovviamente finanziare il secondo, contribuì con una cinquantina di milioni di lire alla campagna elettorale del primo. Un assegno che gli costò caro: l’amico Tremonti lo voleva alla direzione generale del Tesoro ma pare che Gianfranco Fini si sia opposto per via del suo appoggio a Francesco Rutelli (altri dicono che la strada gli fu sbarrata dalla mancanza di una laurea: quella comparsa a un certo punto sul suo curriculum, della American University (?) quale “Doctor of International Law”, evidentemente lasciava perplessi i più).

Comunque sia, l’amico Giulio lo piazza dapprima a capo di Patrimonio spa – società creata per valorizzare il patrimonio pubblico che dopo qualche anno chiuse avendo valorizzato solo i conti correnti dei suoi dirigenti – e quindi della Zecca dello Stato, riportandolo a Roma dalle foschie lussemburghesi (Bei).

Dopo un biennio berlusconiano torna però al governo Prodi che, evidentemente, con Ponzellini non vuole più avere a che fare. Tant’è che il posto alla Zecca salta. E qualche tempo dopo, quando un quotidiano etichetta P. come “vicino a Prodi”, l’addetto stampa del Professore invia una piccata missiva: “Mi sembra opportuno precisare che, da oltre dieci anni, terminati i rapporti di collaborazione professionale, il rapporto di vicinanza tutt’ora esistente tra Ponzellini e il professor Prodi riguarda le rispettive abitazioni bolognesi, in effetti non molto distanti l’una dall’altra. Sarebbe quindi più opportuno parlare di vicinato più che di vicinanza”.

Freddato dal killer del Professore, Ponzellini comunque recupera altrove: alcuni imprenditori (Ligresti, Gavio, Benetton) che apprezzano la sua vasta rete di amicizie, estesa da Agnelli a Yunus, da Attali a Comunione e liberazione, dal Vaticano ai Rothschild ai Kennedy, lo ripescano per affidargli un ruolo di punta nella loro società, Impregilo, attiva nel campo delle grandi opere. Come presidente conta poco ma intanto è entrato nel giro che conta: la Impregilo ha per le mani business come la tangenziale est di Milano, la Pedemontana Lombarda, la galleria del Gottardo. Tutta roba guardata a vista dalla Lega.

Ponzellini, grazie al protettore Tremonti, a via Bellerio è bene introdotto. Ma per divenire il banchiere in camicia verde più benvoluto dal Senatur ci vuole altro. E Massimo ce l’ha. Il papà bolognese, emiliano non lo è affatto: il suo paese natale è Cazzago Brabbia, 800 anime scarse. Caso vuole che cittadino illustre e sindaco per due legislature del paesotto varesotto sia stato Giancarlo Giorgetti, leghista, ça va sans dire, ma soprattutto presidente della commissione Bilancio della Camera e segretario nazionale della Lega. Prima ancora Giorgetti, 45 enne, bocconiano, il più ascoltato consigliere di Bossi, specie in campo economico, è diventato commercialista facendo pratica in uno studio di cui uno dei soci principali era Gianluca Ponzellini, consigliere di molte società quotate e, naturalmente, parente di.

Dopo essere stato sindaco di Cassago due volte, Giorgetti, la discrezione fatta persona, ne fu anche consiliere assieme, guarda caso, a un certo Carlo Ponzellini… C’è chi sostiene che Giancarlo e Massimo siano cugini di primo grado: certo è che sono legati a doppio filo. E Giancarlo è l’uomo che dice al leader leghista chi nominare e dove, tant’è che viene soprannominato il “Gianni Letta” di Bossi.

Si apre così il capitolo Bpm. Siamo nel 2009: la popolare milanese è da anni gestita da Roberto Mazzotta, dc di lungo corso, della corrente dorotea, che quando si reinventò banchiere sollevò un polverone di critiche. Il popolo della Lega, dice Bossi, vuole che il Carroccio conquisti le banche padane. Detto fatto. La Bpm è un boccone ghiotto, basta allearsi con i sindacati che, in una situazione di totale anomalia, hanno il controllo dell’istituto e decidono persino chi debbano esserne i principali dirigenti. Ponzellini sale al vertice. Mazzotta, sconfitto perché aveva cominciato a dare fastidio ai sindacalisti, in una tardiva resipiscenza, ammonisce: “è inammissibile che il sindacato controlli il consiglio di amministrazione… (e che i manager siano lottizzati) in funzione della tessera sindacale”. Poi la mette sul personale: “Massimo ricordati che per scrollarsi di dosso un conflitto d’interesse non basta un parere legale”.

Di che si tratta? Ponzellini è presidente di Impregilo; alcuni soci di questa società sono anche debitori nei confronti di Bpm e delle sue controllate, in primis Ligresti: Ponza si è fatto fare un parere legale (il suo studio preferito è quello che fu di Tremonti) secondo cui, essendo il suo ruolo presidenziale senza deleghe, non vi sono possibilità di conflitto. Tesi non da tutti condivisa.

Passiamo all’oggi: i sindacalisti della Bpm sono entrati in conflitto con il nuovo presidente come ieri lo erano col “traditore” Mazzotta. Assieme al vicepresidente vicino a Cl e ai soci francesi della banca hanno bocciato l’aumento di capitale proposto da Ponzellini per adeguarsi a Basilea 3. In realtà sono soprattutto interessati a qualche nomina manageriale, a contrastare fusioni per ridurre i costi nonché all’assunzione di 250 nuovi impiegati per la rete: o Ponza si piega, rinunciando a qualsiasi scelta manageriale degna di questo nome, o rischia di fare la fine di Mazzotta. Tira aria brutta, dunque, per il Nostro. Meglio cambiare poltrona. La Lega e Tremonti hanno messo in campo le loro truppe. Per farlo rientrare in questa tornata di nomine non sono bastate. Ma Bossi l’ha detto: “ha una bella testa”. E l’ha anche invitato alla tradizionale, e per pochi intimi, “cena degli ossi” nel Cadore. Insomma, non ti preoccupare Massimo, sarà per la prossima poltrona.

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