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Filippine, spacciatori e tossicodipendenti uccisi da squadroni morte FOTO

di Lorenzo Briotti |26 Luglio 2016 11:37

Filippine, spacciatori e tossicodipendenti uccisi da squadroni morte

MANILA – Lo scorso maggio, Rodrigo Duterte ha giurato come presidente delle Filippine. Ex procuratore di 71 anni e a lungo sindaco della città meridionale di Davao, Duterte ha vinto le elezioni a maggio nella sua prima incursione nella politica nazionale.

Il nuovo presidente delle Filippine ha catturato l’attenzione con la promessa di ripulire la povera nazione del sudest asiatico da criminali e governati truffatori entro sei mesi: un impegno audace che ha attirato il sostegno dei filippini stanchi dei tanti crimini, ma ha anche allarmato le associazioni per i diritti umani e la dominante Chiesa cattolica romana. Uno dei primi obbiettivi di Duerte è la guerra ai narcos ed anche ai tossicodipendenti che da giugno fino ad oggi vengono uccisi.  A testimoniarlo anche delle recenti foto pubblicate dall’agenzia Epa e riproposte dal Daily Mail. Vista la durezza delle foto, la visione è sconsigliata ad un pubblico sensibile. In tutto, fino ad ora i morti sono 300. Sono invece 60mila invece i tossicodipendenti che si sono consegnati alle autorità per paura di essere uccisi.

“Chi distrugge le vite del mio popolo sarà ucciso. Chi distrugge le vite dei miei bambini sarà distrutto. Nessun compromesso, nessuna scusa” aveva detto Duterte in una conferenza stampa a Davao, la città di cui è stato sindaco per oltre vent’anni, subito dopo l’elezione.

“Ho promesso di salvare le prossime generazioni dal male rappresentato dalle droghe”  aveva aggiunto specificando di voler istituire delle milizie armate da dislocare sul territorio provincia per provincia. Si tratta di veri e propri squadroni della morte che uccidono spacciatori ed anche consumatori.

La scelta della mano dura piace al suo elettorato ma fa tornare in mente le squadre di vigilantes responsabili di almeno 1.700 esecuzioni sommarie di criminali nei suoi due decenni alla guida di Davao. Il risultato di ripulire la città dalle gang fu ottenuto – e valse a Duterte il soprannome “il castigatore” – ma secondo le organizzazioni per i diritti umani al prezzo di un’interminabile lista di abusi. Già a metà luglio erano state pubblicate le prime foto di questo vera e propria caccia all’uomo.

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