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Salvini fascista o…peggio? Libro di Claudio Gatti: ombra di Putin; Lega, nazisti infiltrati

di Sergio Carli |27 Luglio 2019 10:17

ROMA – Salvini è nazista o fascista? Chiederselo, scrive Claudio Gatti, “è un esercizio inutile”. Anzi “è un grave errore”.  Il problema va ben oltre le apparenti appartenenze ideologiche del capo della Lega Matteo Salvini, ci porta nei territori inesplorati del Grande Gioco internazionale, fra le Grandi Potenze della Terra.

Gatti ci accompagna al confine di questa selva oscura. Salvini “è un uomo pronto a tutto. Incluso ad allearsi con i nemici della democrazia. Sia in Italia che all’estero. In Italia lo ha fatto sposando “l’essenza del fascismo”, all’estero alleandosi a Vladimir Putin per il quale ha operato come “agente d’influenza”, scrive Claudio Gatti nel suo libro I demoni di Salvini. I postnazisti e la Lega, editore Chiarelettere.

Gatti non elabora sul rapporto fra Salvini e Putin. Lui è un cronista, espone i fatti. Il suo tema è l’infiltrazione neonazista nella Lega. Non si può però non notare che il termine “agente d’influenza” non è acqua di rose. Agente d’influenza nazista fu ad esempio Wally Simpson, la duchessa di Windsor, per amore della quale Edoardo VIII rinunciò a essere re d’Inghilterra. I servizi inglesi spiavano lei e anche il marito, li seguirono nelle tappe del loro esilio, arrivarono a tentare di assassinare un agente delle SS che si era aggregato alla loro corte.

Noi italiani, gente senza memoria e incapace di farsi domande che non siano originate dai verbali delle Procure, siamo portati a pensare che dopo la fine dell’Unione Sovietica i metodi sovietici siano stati abbandonati. Ingenui. Il Kgb nacque nel solco dello spionaggio zarista, rafforzato dallo spirito rivoluzionario di Lenin e Dzeržinskij, shakerato ai tempi di Stalin da Beria. Il presidente russo Vladimir Putin era uno dei loro, arrivò al posto di capo della stazione di Berlino, un ruolo chiave negli anni della guerra fredda. I più furbi degli agenti del Kgb, nel momento in cui l’Urss si disfaceva, si impadronirono dei fondi neri del servizio e si trasformarono in oligarchi, parlamentari e sostenitori di Putin.

La recente vicenda del vice primo ministro austriaco Hans Christian Strache deve fare riflettere. La registrazione degli incontri dei due uomini politici con la donna d’affari russa non può essere opera di giornalisti.

Quello è lavoro di professionisti. Ed è nella tradizione professionale dei servizi russi, quale che ne sia il nome, uno scherzetto del genere. Gli annali della guerra fredda sono pieni di storie di omosessuali inglesi intrappolati e ricattati. E la storia di Trump filmato mentre faceva pipì sul letto in cui aveva dormito Obama, attorniato da una mezza dozzina di ragazze di facili costumi, non è una invenzione elettorale del Partito democratico ma lo scoop di un agente del MI6 britannico, Christopher Steele, reputato persona seria e affidabile, con accesso ai vertici politici del suo Paese.

Se avete letto un po’ di romanzi di spionaggio  (John Le Carré, Mickey Spillane, Ken Follett) o seguito le cronache degli anni della guerra fredda (Kim Philby e i 5 di Cambridge, lo scandalo Profumo, i vari casi di omosessuali incastrati e ricattati dal Kgb) non avete difficoltà a credere che i metodi sono sempre quelli: spietati e anche diabolicamente e tecnologicamente perfetti).

Nel caso di Strache, è tanto folle il sospetto che non si tratti di una indagine giornalistica ma di un regolamento di conti in cui l’austriaco paga la colpa di non avere fatto quello che aveva promesso? Un po’ come certe esecuzioni criminali (e terroristiche): colpirne uno per educarne cento.

Il libro di Claudio Gatti, ha scritto Tomaso Montanari, è “la ricostruzione agghiacciante della (riuscitissima) infiltrazione politica che spiega come sia possibile che un partito autonomista abbia abbracciato i più sanguinari centralisti, da Milosevic a Putin, attuale idolo di questa galassia nera”.

Claudio Gatti, giornalista del Sole 24 Ore, è autore di inchieste e articoli molto fastidiosi per i potenti. Vive e lavora da New York. Scrivendo da là di cose italiane, sostiene, si sente meno condizionato. Alcuni dei suoi scoop sono elencati da Wikipedia. Né mancano interventi in materia macroeconomica.

Nel suo ultimo libro, quello sulla i filtrazione nazista nella Lega, Gatti esamina “l’influenza che hanno esercitato – ed esercitano tuttora – i postnazisti nell’ entourage [di Salvini] e nel suo partito”, la Lega. Essenziale, aggiunge, “è stato il contributo di una gola profonda che mi ha aiutato a ricomporre i tasselli di un complotto ordito da un manipolo di ex neofascisti e neonazisti, che dopo aver metabolizzato fascismo e nazismo, sono divenuti “postnazisti””. 

La gola profonda è l’ingegner Alberto Sciandra, nazista pentito che è stato il primo infiltrato nella Lega (organizzatore, tra l’altro, della sceneggiata celtica con Bossi alle fonti del Po, nel 1996), spiega Tomaso Montanari, recensendolo sul Fatto. In America, commenta Montanari, “un libro come questo avrebbe la forza del Watergate. E in un qualunque Paese europeo, un libro che dimostrasse come il vicepremier e ministro dell’Interno è circondato da postnazisti che ne conducono la politica estera (e forse i flussi di finanziamento) e ne modellano l’ideologia e la retorica porterebbe a una crisi di governo”. 

“Temo, aggiunge Montanari, che questo non succederà” con il libro di Claudio Gatti: “Ma mi domando cosa penseranno, dopo averlo letto, Sergio Mattarella (che fermò, a costo di lacerare la Costituzione, Paolo Savona ma non mosse ciglio contro la nomina di Salvini) o Luigi Di Maio e Matteo Renzi, che condividono la responsabilità (seppur in misura diversa) di aver inquinato, dandola in mano a un uomo di queste frequentazioni, la nostra sicurezza nazionale”.

Andrea Sciandra, spiega Gatti, è un ingegnere elettronico oggi manager di una multinazionale europea. Chi spinge Sciandra a muoversi – l’ideatore dell’operazione – si chiama invece Maurizio Murelli, un ex neofascista che nei primi anni 70 è stato condannato a 17 anni per l’uccisione di un agente di polizia.

“Negli anni trascorsi in carcere, Murelli conosce la crema della destra eversiva e neofascista italiana ma, essendosi reso conto che quello del neo-fascismo è un vicolo cieco, decide di abbandonare la “via del guerriero” per intraprendere quella “del sacerdote”. Apre così una casa editrice a Saluzzo (in provincia di Cuneo) e lancia la ” rivista militante” Orion.

Assieme a Sciandra, Murelli conclude che per dare continuità ai pilastri del pensiero fascio- nazista – quindi tradizionalismo, nazionalismo, autoritarismo e razzismo – occorre un “nuovo veicolo politico”. […] Lo trovano nel movimento autonomista che col tempo confluirà nella Lega Nord”.

Gatti cita Marco Battarra, “stretto collaboratore di Murelli, [che] ricorda bene quel periodo:  “Quando nel 1985 la Lega ha fatto la prima riunione a Milano, contando Bossi eravamo in nove, di cui due di Orion. Nove persone in tutto, intorno a un tavolo a casa del primo segretario della Lega della sezione di Milano. E i primi manifesti della Lega sono stati stampati nella tipografia di Murelli”.

Poi entra in scena Alberto Sciandra, allora giovane studente del Politecnico e, sostiene Gatti, nello stesso periodo “comincia il proprio lavoro di talpa politica anche Mario Borghezio, all’epoca legatissimo al mondo della destra radicale, che entra in rapporti con il gruppo di Saluzzo. Lo conferma Murelli, ma lo stesso Borghezio ammette di essere un esperto dell’arte dell’infiltrazione politica, da lui praticata inizialmente nei confronti della Dc”.

C’è anche, prosegue Gatti, “una terza figura classificabile come postnazista che, come Battarra, Sciandra e Borghezio, entra nel cuore leghista. È il giornalista Gianluca Savoini, da decenni amico di Maurizio Murelli e del gruppetto di Orion. “Di tendenze ” nazional- rivoluzionarie” sin dai giorni del liceo, frequentatore del mondo della destra radicale all’epoca dell’università, nel 1991 Savoini entra nella Lega e qualche anno dopo trova un lavoro a la Padania. Lì stringe un rapporto stretto sia con Bossi sia con Salvini, all’epoca parcheggiato dal Senatur nella redazione del quotidiano leghista”.

A fine 2013 Matteo Salvini diventa segretario della Lega e sceglie Savoini “non solo come portavoce ma anche come sherpa personale che apra la strada di Mosca. Insomma gli affida un ruolo centrale sia sul fronte interno sia su quello estero”.

L’interpretazione politica di Gatti è sottile e inquietante:

“Nel corso di tre decenni spregiudicatezza politica e mancanza di bussola etica hanno guidato i due leader della Lega Nord in un crescendo di artifici demagogici che li ha traghettati dalla xenofobia antimeridionale agli schemi culturali dei cospiratori postnazisti, oggi interamente assorbiti nella liturgia «metapolitica » della Lega.

“Questo non significa che Salvini oggi, come Bossi ieri, abbia sposato la causa postnazista. E neppure che sia un burattino eterodiretto. Vuol dire che, come il suo padre/padrino politico, è un uomo pronto a tutto. Incluso ad allearsi con i nemici della democrazia. Sia in Italia che all’estero. In Italia lo ha fatto sposando “l’essenza del fascismo”, all’estero alleandosi a Vladimir Putin per il quale, guidato da Savoini, ha operato come “agente d’influenza”.

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