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Sardegna: “Quel bambino di 3 anni gridava aiutami, nessuno è venuto a salvarlo”

di Alberto Francavilla |20 Novembre 2013 18:16

Il picco Enrico Mazzoccu

OLBIA – Enrico Mazzoccu era un bambino di appena 3 anni. Francesco, suo padre, lo aveva chiuso nel giaccone per proteggerlo dalla furia dell’acqua che li ha uccisi entrambi. Colpa “dell’evento eccezionale”, e colpa anche della mancata cura del territorio. Ma non solo.

Padre e figlio sono morti anche per colpa dell’indifferenza. Nessuno ha voluto aiutarli. Francesco, un omone istruttore di kickboxing, è stato per un’ora appeso ad un muretto a lottare con l’acqua. Enrico era tra le sue braccia, protetto dalla giacca. Chiedevano aiuto ma né “le istituzioni” né le persone del posto hanno mosso un dito.

Eccezion fatta per un meccanico che ha raccontato il suo dolore, la sua frustrazione e il suo sdegno al Tg di Enrico Mentana. “Stavo portando in salvo una signora con la mia macchina – ha raccontato Pietro Mariano a La7 – quando ho sentito delle grida di aiuto. Ho visto una mano che spuntava dall’acqua, apparteneva ad un uomo che aveva con sè un bambino. Gli ho detto di stare calmi e sono andato all’Anas a chiedere soccorso, ma mi hanno detto che non potevano fare nulla. Allora sono tornato lì e con delle funi, e con il padre del ragazzo in acqua che nel frattempo era arrivato, abbiamo provato a fare qualcosa, ma non ci siamo riusciti. Ho buttato quindi giù un cancello con la mia macchina, per cercare di avvicinarmi, ma le ruote sprofondavano. Sono tornato all’Anas e questa volta mi hanno minacciato dicendomi che mi avrebbero spaccato la faccia”.

“Mi sono fermato – continua Mariano – al primo bar che ho trovato, chiedendo aiuto ai ragazzi che erano lì. Ma nessuno ha mosso un dito. Ho provato anche a fermare delle auto che passavano. Sarebbe bastato un trattore, un furgoncino per salvare quel padre e il suo bambino. Sono stati nell’acqua un’ora, e nessuno ha fatto nulla. Nessuno ha mosso un dito per un bambino di 3 anni che chiedeva aiuto”.

All’indomani della tragedia, finita, forse, la conta delle vittime, veloci sono iniziate le polemiche: nessuno ci ha avvertito, la colpa è della cementificazione indiscriminata, un evento simile non si poteva prevedere… Polemiche, le solite, stantie per quanto vere, che si ripetono ad ogni tragedia. Allarmi forse intempestivi e spesso praticamente ignorati. Gestione del territorio dissennata e fondi che costantemente non ci sono per la manutenzione del territorio.

Tutte cose vere, e note. Così note che ci siamo ormai abituati. Quello a cui non siamo però abituati, o almeno a cui fatichiamo di più ad abituarci, è l’indifferenza che pervade la nostra società. La storia di Enrico e Francesco, lasciati morire in mezzo all’acqua, viene oggi dalla Sardegna. E lì, prendendo per buona la ricostruzione fornita da Mariano, e non si vede perché buona non dovrebbe essere, ci sono persone che hanno sulla coscienza quelle due vite.

Gli addetti dell’Anas in primis che avrebbero anche un briciolo di dovere nel prestare soccorso, ma anche i ragazzi del bar e gli automobilisti di passaggio. Viene dalla Sardegna ma non è detto che domani non possa ripetersi altrove. Prestare soccorso ad una persona in difficoltà, aiutare un bambino di 3 anni spaventato, che con le lacrime invoca aiuto da dentro il giaccone del padre che tenta di proteggerlo, non è infatti compito di polizia e vigili del fuoco.

Non è un lavoro ma è un obbligo morale e civile. Non è una società quella fatta di persone che non aiutano nemmeno un bambino in mezzo all’acqua. Oggi pomeriggio (20 novembre) ci saranno i funerali di Enrico e Francesco. La mamma, Carolina, li ha voluti tenere vicini, mettendoli nella stessa bara. Alle esequie ci sarà anche Paolo, il nonno, che ieri notte non è riuscito a salvare figlio e nipote. Come ci saranno anche alcuni di quelli che ieri avrebbero potuto fare qualcosa, avrebbero potuto tentare e che invece non hanno alzato un dito, forse per paura, probabilmente per indifferenza.

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