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Vendere le spiagge: idea oscena, ma in Italia è necessario

di Alberto Francavilla |11 Novembre 2013 12:50

Vendere le spiagge: idea oscena, ma in Italia è necessario

ROMA – Vendere le spiagge per fare cassa è un’idea oscena e positiva allo stesso tempo. Mi spiego: in un Paese civile sarebbe oscena e il proponente verrebbe rincorso con i forconi. In Italia può essere una soluzione pessima, ma una soluzione a una situazione di fatto ormai irreversibile. In un Paese civile, infatti, la spiaggia sarebbe di tutti, un bene pubblico a disposizione dei cittadini, essendo luogo di formazione naturale, non infrastruttura costruita dall’uomo. L’accesso al mare dovrebbe essere garantito, senza ostacoli e senza gabelle. Ma le nostre spiagge, purtroppo, sono accessibili sì e no di inverno, quando l’occupazione dei “padroncini” non è redditizia in termini di fatturato. Quando gli ombrelloni sono smantellati, le docce serrate, i bar chiusi. Ma d’estate, nella stagione più redditizia, le spiagge sono da anni “privatizzate” a costi ridicoli per i balneatori, che incassano in tre mesi redditi bastevoli per tutto l’anno.

Lo Stato, attraverso le Regioni, che cosa ci guadagna? Per un trentennio la tax sull’occupazione è stata di poche lire. E quando le Regioni hanno tentato di adeguarla, sono state sommerse da proteste, cortei, ricatti elettorali. Le città che vivono di mare, infatti, sono in mano a vere e proprie lobby che sfruttano a gratis il mare e spostano il consenso sui partiti “amici”. Niente di nuovo.

In qualsiasi altro Paese del mondo, dunque, vendere le spiagge sarebbe osceno. Da noi, vista la situazione, potrebbe essere una soluzione, almeno per le casse vuote dello Stato. Occupate per occupate, tanto vale che gli occupatori paghino il giusto prezzo e abbiano obblighi stabiliti per legge. Per esempio che sia loro interdetto il diritto alla cementificazione, allo stupro degli arenili, all’occultamento della vista del mare ai disgraziati che volessero ancora goderne, alla cacciata di qualche maniaco che ancora pianta la canna da pesca in attesa che qualche pesciolino abbocchi.

Credo che riempirsi gli occhi di mare senza chiedere il permesso a nessuno sia uno dei pochi diritti che ci sono rimasti. Cederlo è una offesa alla nostra vita. Ora vendiamoci pure gli arenili per questi maledetti cinque miliardi, ma conserviamoci almeno l’usufrutto su mare di inverno, quando il popolo di pizza e bikini sta alla larga se ne torna ad abbronzarsi nell’unto del solarium.

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