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Benjamin Giorgio Galli, una morte che imbarazza: uno scandalo per il “prima io”

di Lucio Fero |22 Settembre 2022 11:18

Benjamin Giorgio Galli, una morte che imbarazza: uno scandalo per il "prima io" FOTO ANSA

Benjamin Giorgi Galli è morto a 27 anni combattendo con gli ucraini contro i russi. E fin qui la coscienza e l’attenzione standard del cittadini standard si acquietano e saziano tra “affari suoi” e “pace all’anima sua”. In fretta e veloci però, perché a soffermarsi troppo sulla vita e sulla morte di questo giovane si rischia di provare sotto pelle e sotto anima imprecisato imbarazzo, qualcosa da respingere, anzi grattar via. Imbarazzo, come si manifesta questo imbarazzo? In una prima forma come incredulità stupita. Giorgio Galli ha scelto, voluto, deciso. Di combattere, rischiare la vita, forse morire. E questa scelta, ragionata e coerente, appare incomprensibile, marziana, aliena ad una antropologia umana, la nostra, che ha escluso e bandito dalle possibilità e doveri umani di morire per qualcuno o qualcosa, tranne che per se stessi o al massimo (ma non sempre) la famiglia. Secondo il metro di un vivere che è il nostro quotidiano (non la nostra storia) la scelta di combattere e spendere la vita per una causa è più o meno letteralmente roba da matti. L’imbarazzo è pensarlo d’istinto (questo esaltato e coltivato) come un matto Giorgio Galli e saper insieme d’istinto (questo represso) che matto non era.

Lo “scandalo”

L’imbarazzo cresce poi a sentir la famiglia di Giorgio Galli. La madre che dice: “Si sentiva al posto giusto”. Al posto giusto dove si spara e piovono bombe e missili? Per noi ligi al comandamento assioma per cui giusto è il posto sicuro la frase della madre è incomprensibilmente imbarazzante. Allude e rimanda infatti ad un concetto di giusto che abbiamo bandito come per lo meno poco utile, quando non pericoloso. Il giusto non secondo convenienza, il giusto col metro dell’eticità. Il giusto non secondo nostro bisogno ma secondo nostro dovere. Siamo qui e oggi a tutto titolo e sempre cittadini solo e soltanto come entità richiedenti, questo giovane che dà letteralmente la vita ci confonde. Il padre dice di Giorgio “un eroe”. Va bene, siamo tentati di archiviare l’elogio paterno come appunto commozione paterna. Ma ci imbarazza sentire, sentire e dover soffocare, l’importuno sospetto che così non sia, che quella parola “eroe” di cui speso facciamo abuso sia invece appropriata per Giorgio Galli.

Eticamente ed epicamente appropriata. Il che è “scandalo”, evangelico scandalo per noi solo pensarlo. Che ci sia qualcosa per cui non solo vale la pena ma ci sia il dovere di combattere, che questa sia frase e condotta da applicare ad altro che non sia il proprio io, carriera, successo, aspirazioni, reddito, amori, affetti, libertà ci confonde e imbarazza. Meglio non soffermarsi troppo, meglio volare via in fretta dalla vita e dalla morte di Giorgio Galli morto combattendo in Ucraina contro l’Armata degli invasori russi. Ci potrebbe perfino assalire l’impensabile pensiero che Giorgio Galli fosse davvero al “posto giusto” e che abbia dato davvero la sua vita per la giusta causa. Meglio pensarlo un po’ matto che altrimenti dovremmo ammettere di essere in debito con Giorgio caduto in Ucraina, in debito con lui di una vita.

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