Cina alla conquista del mondo. Imprese italiane con le mani legate

di Giorgio Oldoini
Pubblicato il 8 Maggio 2020 - 13:42 OLTRE 6 MESI FA
Economia. Cina alla conquista del mondo. Imprese italiane con le mani legate

Cina alla conquista del mondo. Imprese italiane con le mani legate (Foto d’archivio Ansa)

ROMA – Cina, il colosso e la libera concorrenza internazionale. Minaccia per le imprese italiane.

Secondo statistiche Ocse, negli ultimi anni si è rilevata una crescente attività delle imprese di costruzioni cinesi in Africa, America Latina e in Asia: un raddoppio. 

Queste imprese della Cina ottengono finanziamenti pubblici agevolati o a fondo perduto. Hanno un costo della manodopera specializzata e manageriale molto basso anche rispetto ai Paesi in cui vanno ad operare. Utilizzano equipaggiamenti prodotti in casa che pagano un terzo delle imprese europee. Fanno conto su interventi “politici” che consentono di evitare le gare internazionali. Accettano di essere pagate con materie prime dei paesi ospitanti.

Un’impressionante macchina “aziendale”, destinata a vincere tutte le guerre con le “fragili” imprese occidentali, impegnate sul fronte delle regole e delle burocrazie.

Povere imprese italiane contro la Cina

Consideriamo la situazione delle grandi opere in Italia. I pochi gruppi rimasti, cercano risorse sul mercato finanziario, di rischio e di prestito.

Ogni volta che un manager è indagato, la quotazione di borsa crolla e le banche revocano i finanziamenti. La situazione è ricorrente per le leggi poco chiare. E un indice di flop giudiziario superiore al 50%.

I competitori europei o americani utilizzano ampi stralci dei nostri giornali che (doverosamente) riportano quegli eventi. E così possono compromettere la credibilità delle nostre aziende sui mercati mondiali.

I costi fissi della burocrazia amministrativo-legale delle nostre imprese, superano il 5% del fatturato (a fronte di una media Ocse del 2%). Per non parlare della fiscalità allargata, che non ha uguali per aliquote e tecniche aggressive d’accertamento.

Insomma, le gare che i nostri imprenditori si sono aggiudicate nel mondo, rappresentano un miracolo della loro intelligenza e professionalità.

Le regole del gioco le fa la Cina

A fronte di tale scenario, che non riguarda solo le grandi opere, si assiste in Italia ad un dibattito “ideologico” tra i fautori del libero mercato e i cosiddetti protezionisti.

Mi domando cosa c’entri il protezionismo economico con la giusta pretesa degli imprenditori, di essere messi nelle stesse condizioni di partenza dei loro competitori.

Se l’occidente non avrà la forza di imporre regole comuni, la nostra stessa civiltà può entrare in crisi irreversibile. E non si tratta solamente di stabilire delle regole, ma di pretendere la loro effettiva applicazione.

Ma queste pretese possono valere per il mercato interno; come si fa ad imporre a paesi come il Camerum o il Gabon, al mondo arabo o all’Uruguay, di adottare le nostre leggi!

Quando si parla di sommerso economico (riferito cioè alle imprese produttive), gli italiani dovrebbero rispondere al seguente referendum:

“L’impresa tessile italiana, che deve sopportare la concorrenza di quella indiana o cinese, può chiudere l’azienda e trasferirla all’estero; oppure può evadere almeno in parte una fiscalità per essa insostenibile: qual è la scelta più utile al paese”?

Referendum: come si fa a sopravvivere?  

Nessun referendum è mai stato fatto e la risposta l’hanno data i governi:

“Molto meglio licenziare qualche milione di lavoratori anziché consentire il sommerso”.

D’altra parte, le nostre teste pensanti avevano assicurato che l’Italia sarebbe stata in grado di chiudere la metà delle proprie industrie considerate “mature” con altre ad alta tecnologia.

Una scelta che si è dimostrata letale, che ha creato una disoccupazione endemica irreversibile, come è accaduto persino negli Usa.

Infatti, la Cina può acquisire la tecnologia dall’occidente, magari migliorandola, senza sostenere i costi delle democrazie occidentali.

Niente paura. L’Occidente riuscirà “con ogni mezzo” nell’impresa di imporre al più grande Paese al mondo, guidato da militari che stanno realizzando una titanica rivoluzione economica “liberale”, le riforme seguenti:

introdurre i partiti e i sindacati.

diritto di sciopero.

le regole della concorrenza interna e internazionale.

i salari minimi.

il nostro diritto del lavoro e lo statuto dei lavoratori.

i tre gradi di giudizio.

una magistratura indipendente dal partito unico.

Il che, se fossi in Cina, mi terrorizzerebbe molto più del protezionismo economico.