Formazione obbligatoria giornalisti, una legge assurda e imbarazzante

di Bruno Tucci
Pubblicato il 1 Dicembre 2014 - 13:54 OLTRE 6 MESI FA
Formazione obbligatoria giornalisti, una legge assurda e imbarazzante

Il presidente Bruno Tucci

ROMA – Ormai è guerra aperta, come era facile prevedere. Questi corsi di aggiornamento professionale per i giornalisti stanno creando e creano una confusione indescrivibile. Andiamo con ordine, però. Cerchiamo di spiegare che cosa sono e quali scopi dovrebbero raggiungere. E’ chiaro: quello di far si che il giornalista sia sempre più aggiornato. Come lo dovrebbe fare secondo coloro che sostengono questa iniziativa? Con lezioni teoriche e simposi a cui i colleghi debbono partecipare per raggiungere un certo numero di crediti.

Allora, attenzione. Probabilmente, chi ha varato questa legge (l’ex ministro della Giustizia, Severino) non ha tenuto conto, ahimè, che la differenza fra professionisti è enorme. Prendiamo i medici, ad esempio: è giusto che ogni tanto si incontrino e dibattano, perché qualcuno, con ricerche continue, sia riuscito ad individuare o a scoprire una terapia valida per debellare un male. Bene. Gli altri colleghi ascolteranno e seguiranno l’esempio di colui il quale è riuscito a trovare il bandolo di una intricata matassa. Ottimo. E per i giornalisti? Che cosa ci scambiamo il giorno in cui ci si incontra? Le notizie? Uno scoop? Il modo di scrivere e di condurre un articolo? Ridicolo. Il giornalista fa esperienza sul campo: ogni giorno che passa un tassello al suo bagaglio professionale.

Poi, ancora: chi dovrebbero essere gli insegnanti? Non c’è un embargo, basta che si sia iscritti all’Ordine come professionista o pubblicista. Così, potrebbe darsi il caso che il direttore del Corriere della Sera o di Repubblica debba obbligatoriamente sentire una lezione tenuta da un pubblicista (per carità, bravissimo) che non ha mai visto la redazione di un quotidiano in vita sua o da un giovane che, magari, sia stato il redattore semplice di un giornale guidato dalla persona a cui lui deve far lezione.

Questo senza contare la difficoltà che molti giornalisti hanno di frequentare i corsi. Molti sono inviati e vivono la maggior parte dei loro giorni lontani da casa; molti altri sono impegnati al desk come capi servizi o capi redattore e sono “agli arresti domiciliari” in ufficio per dodici, quattordici ore al giorno. Come fare? Chi può giustificarli? In che modo possono svincolarsi?

Attenzione, perché chi non raggiunge determinati crediti entro la fine di quest’anno può andare incontro ad un provvedimento disciplinare, sino alla cancellazione dall’Ordine. Pazzesco. Proprio per tutta questa serie di ragioni, già da quando ero presidente dell’Ordine del Lazio (diciotto anni) e poi adesso da consigliere, mi sto battendo contro questa legge che trovo assurda e imbarazzante. Lo dico perché molti colleghi con i quali parlo spesso e volentieri, sarebbero dell’avviso di farsi cancellare (addirittura) per poi aprire un contenzioso generale (class action) per dimostrare come una simile norma sia anticostituzionale.

Si deve arrivare a questo punto? Mi auguro proprio di no. C’è una strada assai più semplice e, mi azzarderei a dire, democratica: chiedere un incontro al nuovo ministro della Giustizia, Orlando, di modo che si possa trovare la maniera di tornare indietro e di cancellare il tutto. In Parlamento, siede un onorevole del partito democratico, Michele Anzaldi, che sta facendo una guerra spietata per ottenere dal Guardasigilli una specifica attenzione su quel che sta accadendo. Speriamo lo seguano altri a Montecitorio ed a Palazzo Madama.

Altrimenti, se dovesse continuare questa situazione, ci si troverebbe dinanzi a problemi che potrebbero lacerare la nostra professione e gettarla in una crisi di cui non sente proprio il bisogno, vista la precarietà che il settore sta attraversando da tempo. Chiudono i giornali, ci sono migliaia di disoccupati, i giovani scrivono per una manciata di euro. E di che cosa ci si preoccupa? Di un assurdo ed inutile aggiornamento professionale. Suvvia!