X

Lorenzo Bozano, il biondino esibizionista che nega…Gustavo Gamalero ricorda

di Alberto Francavilla |20 Novembre 2013 10:49

Lorenzo Bozano, il biondino esibizionista che nega…anche 42 anni dopo

GENOVA – Quarantadue anni dopo il “mostro” sbuca su uno schermo televisivo e per la prima volta con la sua voce profonda, la sua faccia larga, la sua calvizie grigia, altro che biondino o falso biondino della spyder rossa del suo maledetto “giallo”, targato 1971, la sua mimica minima nello schermo stretto della Tv, “sputa” una sua verità.

Non lo si era mai visto in faccia a tentare di discolparsi Lorenzo Bozano, oggi sessantonovenne, ieri ventisettenne sospettato, accusato assolto con dubbio, scappato, latitante e alla fine catturato estradato e definitivamente condannato all’ergastolo, tra il 1971 e il 1977, per l’omicidio di Milena Sutter, 13 anni, figlia di una famiglia di industriali svizzeri con stabilimento a Genova. Non guarda mai la telecamera di “Linea Gialla” la trasmissione de La 7, condotta da Salvo Sottile, Lorenzo Bozano, allora noto appunto come il “biondino della spyder rossa”, né guarda la sua intervistatrice cui risponde “di traverso”, elusivo anche un po’ arrogante, come sempre in questa storia infinita di un delitto che non si dimentica.

Parla di Milena, la sua vittima, citandola così: “la sventurata Milena”, parla del suo processo come di un lungo atto giudiziario nel quale non si è mai cercata la verità per condannare lui, cita un altro colpevole, il vero “biondino” della spyder rossa, che ronzava intorno alla “sventurata” Milena, un certo Claudio, lui sì che era biondo. Parla di Isabelle, l’amica del cuore di Milena, che non ha mai raccontatola sua verità su quel giallo che monopolizzò Genova e l’Italia di inizio anni Settanta, che la inchiodò alla tragedia di quella bambina, inghiottita da una spyder rossa, all’uscita della Scuola Svizzera, in un quartiere tranquillo di Genova, il 7 maggio del 1971, riemersa nelle acque del mare genovese davanti alla spiaggia di Priaruggia il 20 maggio, orrendamente sfigurata dall’acqua, dai pesci con una scolorita cintura da sub improbabile zavotta ai fianchi.

La cintura del sub Lorenzo Bozano. Inequivocabilmente. Bozano non guarda l’obiettivo e fa solo una piccola, impercettibile smorfia con la bocca quando gli chiedono se lui quella Milena di 13 anni la conosceva. “Erano bambine, forse le avrò viste da lontano…….” . Dice proprio così, “bambine”, quest’uomo grande e grosso, seppellito in carcere a Porto Azzurro dalla fine degli anni Settanta, cui i giudici di sorveglianza concessero la semilibertà nel 2003 e che se la giocò perchè scoperto a molestare una ragazza in un supermercato dell’isola d’Elba.

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio, ma Bozano non perde neppure il vizio di mentire, anche se ha aspettato quarant’anni per parlare, per “dire” la sua verità intorno a questo processo, che oramai fa parte della storia giudiziaria, dalla quale lui sbuca come uno di quei pupazzi a molla, dallo schermo, dallo scoop del La 7, che pochi identificano, perchè oggi, nel terzo millennio, le storie come quella della povera Milena, 13 anni, strangolata, soffocata, affondata nel mare di maggio di una primavera genovese dolcissima e tinta di nero da lui, sono sepolte non solo nel tempo ma da infinite altre storie di “mostri”, di killer, di giovani vittime che costellano questi quarant ‘anni.

“Era un assassino, ma anche un esibizionista e quando si sentì scoperto, allora si inventò un personaggio e solo oggi parla, perchè fino a oggi è rimasto nei panni di quel personaggio “- ti dice, davanti a quelle immagini recenti di Bozano, l’avvocato Gustavo Gamalero, vecchio leone del foro genovese che rappresentò la famiglia Sutter in quel processo di quaranta anni fa e che ricorda ancora ogni secondo di quella vicenda, dalla scomparsa di Milena, alla condanna definitiva di Bozano, alla sua estradizione in Italia dalla Francia.

Lui, Gamalero, oggi ha 87 anni, ma la sua voce, la sua memoria sono come di ferro nella rievocazione di quella storia e nella certezza della colpevolezza di Lorenzo Bozano. “Non si era mai difeso altrimenti che negando e basta, senza inventarsi uno straccio di alibi, non aveva tentennato neppure quando gli avevano mostrato quel foglietto con la sua calligrafia nel quale c’era il piano del sequesto: affondare, sepellire, murare. Aveva solo un po’ vacillato, quando il giudice istruttore Noli gli aveva mostrato il numero di telefono della Scuola Svizzera, pescato nella sua tana da barbone di una famiglia borghese un po’ decaduta” – elenca l’avvocato Gamalero, riassumendo una delle indagini più corpose e più folgoranti mai compiute dalla polizia giudiziaria, che raccolse contro Bozano decine di indizi, di testimonianze, di vere e proprio prove e che lo aveva inchiodato in una morsa stretta da un giovane e acuto pubblico ministero Nicola Marvulli, poi diventato, al culmine della carriera addirittura primo presidente della Corte di Cassazione e da un capo della Squadra Mobile, Angiulin Costa, una specie di Maigret genovese.

Gamalero sorride amaro, come quaranta anni fa, quando rievoca come la sentenza della Corte d’Assise di Genova assolse in primo grado clamorosamente Bozano con la formula dubitativa, dopo una memorabile arringa dell’avvocato Giuseppe Sotgiu, un penalista di grido capace di insinuare in una giuria fragile nei due magistrati togati, Giuseppe Napolitano e Guido Zavanone e nei rappresntanti popolari, l’ombra del dubbio. Un vedetto che fece uno scalpore immenso e provocò perfino marce di protesta di cittadini e ci vollero quasi due anni per capovolgerla in appello e altri due per confermarla in Cassazione, mentre Bozano era scappato via, latitante in Francia, barba lunga, una giovane moglie bresciana di Chiari, invaghita dal suo mefistofelico personaggio.

“ Quando il corpo della povera Milena emerse dall’acqua del mare con quella cintura, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto sepellirla in mare per sempre, Bozano cambiò personaggio. – spiega Gamalero – Fino all’esplosione dell’inchiesta contro di lui era vissuto come un barbone, quasi ripudiato come era dalla famiglia, uno sbandato che girava da perditempo per la città, frequentava i grandi magazzini con gli specchietti sulle scarpe per sbirciare sotto le gonne delle ragazze.

“Dopo” indossò i panni della vittima, sulla quale i poliziotti e i magistrati si erano buttati per placare un’opinione pubblica choccata dalla efferatezza di quel crimine. Una ragazzina con quel viso pulito, quella famiglia perfetta, portata via da un bruto , mentre correva con la sua cartella a una ripetizione dopo la scuola”. Insomma Bozano contrappone a quella valanga di indizi questo atteggiamento quasi di sfida e si trasforma in un perseguitato, cercando probabilmente senza saperlo di sfruttare il sistema mediatico che costruisce intorno a lui una figura oscillante tra la incertezza, l’ingiustizia e la macroscopica responsabilità di avere effettivamente rapito, ucciso, affondato.

“ Un altro sospettato, un altro biondino di nome Claudio su cui potevamo sospettare, che potevamo cercare? – si interroga Gamalero – Bozano era stato visto da tanti testimoni intorno alla Scuola Svizzera, in viale Mosto, dove abitava la famiglia Sutter, nelle perquisizioni avevano trovato i biglietti del sequestro programmato, poi il numero telefonico della scuola, poi erano saltate fuori la tuta da sub, il ripostiglio nel quale aveva celato il corpo, lui negava il sole, non c’era nessun altro “biondino”, nessun nome che spuntasse dalla meticolosa inchiesta della squadra Mobile che aveva setacciato tutto nella “piccola” vita di Milena.”

Ancora dallo schermo dello scoop di La 7 Bozano tira fuori una sua versione sul famoso bigliettino, “affondare nel canale della Fiera, murare, sepellire”, e racconta nell’intervista in esclusiva che quello era una specie di scherzo scritto ragionando con qualche giornalista nelle prime serate dell’inchiesta, quando la città era in sommovimento e tutti si almanaccavano sulla ipotesi di un sequestro, un crimine che Genova aveva vissuto un anno prima, quando era scomparso Sergio Gadolla figlio di un imprenditore edile, rapito dalla banda della XXII Ottobre, i “nonni” delle Br genovesi, che poi, invece, liberarono il ragazzo dopo il pagamento di un riscatto.

E Gamalero commenta: “Era ed è ancora un bidonista, recitava, sicuro che il corpo della ragazzina era effettivamente scomparso per sempre, sicuro di se stesso, del suo piano perfetto, si permetteva perfino di teorizzare. E dall’altra parte pefezionava il colpo: fece solo una telefonata per chiedere i 50 milioni di riscatto, indicando come prova del sequestro il luogo dove aveva piazzato la cartella di Milena, la prima aiuola di Corso Italia.”

Quella cartella fu trovata dalla polizia con difficoltà, perchè Corso Italia è la lunga promenade sul mare di Genova e la polizia l’aveva percorsa per il verso sbagliato, trovando alla fine la cartella all’altra estremità, quasi davanti a Boccadasse. Ma, intanto, Bozano oramai sicuro del fatto suo era già andato ordinarsi in un autosalone di Piazza Rossetti una supermacchina, altro che la sua spyder ammaccata e perfino un motoscafo. Altro che alibi, altro che dubbi. La voce di Gamalero vibra un po’ di più, mentre rievoca quei dieci giorni, prima del 20 maggio terribile del corpo di Milena che galleggia davanti alla spiaggia.

“ Sono state giornate terribili perchè io correvo con la polizia dietro agli sciacalli che telefonavano a ripetizione, sostenendo di essere loro i sequestratori e di avere nelle mani Milena. Non scorderò mai la violenza di quelle telefonate, una volta ci fecero perfino sentire la voce di una bambola che chiamava: mamma, mamma…….Non si può immaginare dove arriva la cattiveria degli uomini. Ci furono perfino due bande di calabresi che si contendevano il bottino del riscatto dall’estremo Ponente ligure. E noi che dovevamo fare…..correvamo a smascherare questi terribili bluff……”

Il mistero di Isabelle Delsaux, figlia di un alto dirigente dell’Eternit in servizio a Genova e dopo la tragedia trasferita fulmineamente e mai interrogata nelle inchieste e nei processi, l’amichetta di Milena, che Bozano “sforna” in Tv per la prima volta, sostenendo che “non l’hanno mai voluta coinvolgere…..perchè tanto ero io il predestinato” Gamalero lo chiarisce subito.

“ Quale mistero? Io l’ho interrogata Isabelle, subito dopo la scomparsa di Milena, della quale poi non era così amica; era una ragazzina timida e anche bruttina che non sapeva nulla di Bozano e non scappò da Genova. Suo padre era stato trasferito e nell’estate tutta la famiglia lo seguì a Bruxelles.” Ma perchè difendersi solo ora, accettare una intervista in tv, svelarsi con la sua faccia, perchè oggi che di fatto la sua pena è scontata, che la sua vita è bruciata? L’avvocato Gamalero non si stupisce, come non si è mai stupito del fatto che Bozano abbia sempre strombazzato di voler chiedere la revisione del processo e poi non lo abbia mai fatto.

“Anche questa scelta rientra nel personaggio che si è ritagliato dopo l’arresto e le condanne e la detenzione. Ha venduto per anni esclusive rivelazioni a giornali scandalistici, è riuscito a sposarsi due volte e a farsi mandare al diavolo dalle mogli, nonostante la detenzione, è riuscito a mettere in piedi anche un commercio di uova, quando era in semilibertà, sempre spacciandosi per vittima.” – racconta Gamalero per il quale alla fine Lorenzo Bozano su quella condanna, su quell’ergastolo ha costruito un personaggio, che altrimenti non sarebbe esistito. “C’è stato un momento nell’inchiesta iniziale – rievoca l’avvocato – nel quale tutto poteva capovolgersi. Quando mostrammo a Bozano il numero della Scuola Svizzera e lui vacillò un poco, il suo avvocato di allora, Marcellini, un penalista molto valente, chiese la sospensione dell’interrogatorio e annunciò che il giorno dopo avrebbero avuto dichiarazioni importanti da fare.

Era l’annuncio di una probabile confessione di Bozano, messo alle strette, ma il giorno dopo l’imputato rievocò il mandato, cambiò avvocato e al suo fianco comparve Silvio Romanelli, un legale molto giovane che poi si fece affiancare dal principe del Foro, Sotgiu. E Bozano non confessò nulla e un anno dopo, a inchiesta conclusa, a rinvio a giudizio culminato nel primo processo con un suo interrogatorio in aula imbarazzante per la pochezza delle domande e la vacuità delle risposte, fu assolto per insufficienza di prove.”

Quale situazione migliore per “costruire” il personaggio? All’inizio del secondo processo, nella primavera del 1975, Bozano, il bidonista, finge una colica renale dopo la prima udienza, si fa ricoverare nell’ospedale di san Martino e scompare. L’Interpol gli da la caccia, ma se per caso la gendarmeria francese non lo avesse beccato in una strada provinciale, vicino a Limoges, a guidare senza cintura di sicurezza, chissà dove sarebbe finito Bozano. Gamalero spiega come anche la sua estradizione in Italia fu una specie di capolavoro strategico della accusa nei suoi confronti. La Francia non aveva nessuna intenzione di estradarlo in Italia, dove pendeva la condanna per omicidio.

Bozano protetto come i brigatisti latitanti a Parigi? “Riuscimmo a ottenere che lo spedissero in Svizzera con una manovra difficile, perchè lui era riuscito a pagarsi avvocati di grande potere e influenza – dice Gamalero – e la Svizzera era il paese della famiglia della povera Milena, che lo mollò subito alla giustizia italiana. “ Non sorride Gamalero, rievocando il passaggio cruciale che “ha fatto giustizia” di quel crimine indimenticabile per molte generazioni di genovesi.

Restano molti dubbi, come le presunte protezioni che quel fasullo biondino della spyder rossa probabilmente ebbe e che gli consentirono di guadagnarsi una clandestinità non certo gratuita, prima della condanna, poi una latitanza tranquilla, poi una chance addirittura di salvarsi anche dopo la cattura casuale dei francesi. L’avvocato allarga le braccia e ripete uno a uno gli indizi e le prove per le quali Bozano alla fine è stato condannato e sta ancora scontando la sua pena: i testimoni che lo videro per giorni fuori dalla scuola della povera Milena, i bigliettini “programmatori” del sequestro, la cintura da sub che affondò la sventurata e che era innegabilmente sua, gli altri testinoni che lo videro sul Monte Fasce, alle spalle di Genova, vicino alla fossa nella quale lui aveva previsto di sepellire il corpo della ragazzina secondo il piano B…..

Bozano cambiava avvocati, perchè decideva lui la linea, non rispondeva alle domande per alimentare il suo personaggio, lui stesso in qualche modo si era fatto ricercare con la storia del piano di sequestro nelle serate con i giornalisti. “ Chi poteva rapire una bambina all’uscita di scuola, chi poteva essere tanto abbietto da portarla via mentre correva a casa?” – si chiede ancora l’avvocato che ha dipanato quella matassa, che ha risolto con la polizia, con i carabinieri quel giallo di quarantadue anni fa. E che oggi davanti a quello schermo, davanti a quella faccia prova il disgusto di allora: Bozano, ancora lui, ancora la sua menzogna, inutile a pena scontata, proterva, con quella faccia senza sentimenti, neppure una smorfia di pentimento o di rabbia o di rivalsa. La maschera, solo la maschera di Bozano, che non scende dal 20 maggio del 1971, quando Genova piangeva una ragazza-bambina di 13 anni, sfigurata dai pesci, affondata, uccisa non si sa neppure come per un dolore che non finisce mai.

Scelti per te