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Boldrini e Grasso: il suicidio di Bersani, ora solo elezioni

di Marco Benedetto |16 Marzo 2013 20:15

Laura Boldrini, eletta presidente della Camera

Con la suicida operazione di acquisizione delle presidenze di Camera (Laura Boldrini) e Senato (Piero Grasso), Pierluigi Bersani ha posto una pietra tombale sulle già remote possibilità di costituire un governo.

Il sentiero, già stretto, è stato ostruito dall’ostinazione del segretario del Pd nel trascinare il suo partito verso una prova di forza che in realtà rivela tutta la sua debolezza.

Imponendo due figure della sua stessa parte ai vertici delle istituzioni rappresentative, Bersani si è politicamente suicidato, come aveva previsto Blitzquotidiano qualche giorno fa. Da domani non ci sarà nessuna possibilità di “governissimo” o “governo istituzionale” o “esecutivo del presidente” semplicemente perché il centrodestra non offrirà giammai i suoi voti ad una coalizione che sostenga una compagine ministeriale della quale faccia parte il Pd.

Escluso che i “grillini” possano dare una mano, salvo fare un irragionevole favore a coloro su cui hanno prevalso nelle elezioni, a Bersani non resta altro che prendere atto delle conseguenze politiche della sua sciagurata prova di forza e lasciare ad altri la gestione del partito, oltre le velleità di guidare il Paese addirittura verso il “cambiamento”, come hanno ripetuto fin troppo, i neo-presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso.

Fallita la sua missione, si apre una sola strada davanti alle forze politiche: la costituzione di un governo di minoranza, in attesa che scada il mandato di Giorgio Napolitano, che non può sciogliere subito il Parlamento, ed andare immediatamente alle elezioni indette dal suo successore. Sia chiaro: perfino Mario Monti potrebbe restare in carica fino al voto, in maniera assolutamente inedita, ma non credo sia una buona idea, avendo il Professore dimostrato nelle ultime ore una insospettabile dose di cinismo politico, disponendosi ad abbandonare (non si sa a chi) Palazzo Chigi per concorrere alla presidenza di Palazzo Madama. Un luminoso esempio di “disinteresse”, come è stato notato, che smentisce coloro che lo hanno ritenuto, ancora nelle recenti circostanze, come una “riserva della Repubblica”.

Dunque, non restano che le elezioni, a meno di un “miracolo” al quale non crede nessuno. Elezioni subito. Anche con la vigente legge elettorale, nella speranza che i cittadini comprendano che il “cambiamento” non passa attraverso una sconsiderata forma di protesta contro tutto e tutti, ma dalla consapevolezza che soltanto munendosi di pazienza e di civico coraggio si battono i demagoghi e si sceglie chi può dare al Paese ben più di un governo: si eleggano, cioè, rappresentanti in grado di varare una necessaria Assemblea costituente che riformi, in uno spirito di fattiva collaborazione tra tutte le forze politiche, la Carta fondamentale, che per quanto nobile nei principi che contiene, è oggettivamente invecchiata a fronte delle mutate condizioni sociali, economiche e culturali.

Si dirà che il rischio è grande. Ma grande è anche la confusione che condiziona le nostre esistenze, sempre più precarie perché irresponsabili populisti o presuntuosi alchimisti partoriti dalla più oscena partitocrazia si sono arrogati il potere di determinare i nostri destini senza trarre dalla sconfitta le doverose conclusioni.

Bersani sa, come tutti, che la vita della legislatura è segnata. Diversamente avrebbe issato sugli scranni più alti di Montecitorio Enrico Franceschini e Anna Finocchiaro: lo ha evitato convinto non c’era motivo per bruciarli nel volgere di una stagione breve e convulsa.

 

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