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Lo psicodramma di Sarkozy: rielezione difficile, lo sa anche lui

di Alberto Francavilla |16 Aprile 2012 14:21

Nicolas Sarkozy

ROMA – All’Eliseo si vive una sorta di psicodramma. Nicolas Sarkozy, nonostante il bagno di folla di domenica a place de la Concorde, ha realizzato, secondo i bene informati, che difficilmente riuscirà a risalire la china. Il primo turno non dovrebbe essere così devastante come si prevedeva qualche mese fa: pochi punti lo separano da François Hollande. Ma il secondo posto che pur faticosamente conquisterà sarà l’amaro antipasto di ciò che quasi certamente, secondo i sondaggi di opinione, i giornali e la comune percezione dei cittadini, accadrà domenica 6 maggio al ballottaggio. Il candidato socialista è accreditato del 57% dei suffragi, mentre il presidente uscente dovrebbe fermarsi al 43%. Uno smacco con un solo precedente nella storia della Quinta Repubblica: la vittoria clamorosa per le dimensioni che assunse nel 1981 di François Mitterrand su Valery Giscard d’Estaing inciampato, nel corso del suo settennato, su poco nobili ed edificanti vicende politico-affaristiche.

Sarkozy, che soltanto cinque anni fa sembrava destinato a segnare con la sua presidenza un tempo nuovo della politica francese, sembra non aver dato il meglio di se stesso avendo combinato poco o nulla di quanto aveva promesso in campagna elettorale e segnalandosi ai suoi connazionali per una sfrenata voglia di protagonismo mediatico, condito con familismo, nepotismo, frequentazioni non sempre coerenti con il suo alto ufficio. Quando si è visto alle strette ne ha combinate di peggiori. La stretta alleanza in nome del rigorismo con la Merkel che i francesi non hanno gradito; l’elevato numero di tasse introdotte in cinque anni: ben quarantuno; l’improvvida e dissennata guerra di Libia di cui il suo Paese e l’Europa non sentivano affatto il bisogno; il repentino ritorno alle origini quando ha capito che le cose si mettevano male, fino al punto di rispolverare il patriottismo gollista contro i banchieri ed i tecnocrati di Francoforte; perfino la recente esaltazione degli harkis, i pied noir dell’Algeria francese, con tanti saluti alla liberazione di quel Paese e ad un certo Ben Bella da poco defunto. Cinico e contraddittorio: così Sarkozy viene visto dagli avversari, ma anche da numerosi ex amici che non gli perdonano di aver creato un partito nuovissimo, l’Ump sulle ceneri del vecchio Rpr, non per rinnovare i fasti del Generale, ma per farlo dimenticare.

La sinistra lo detesta; la destra non lo ama. Sarkozy ha realizzato di essere un uomo solo, come faceva notare durante la campagna elettorale che lo portò alla presidenza, la scrittrice e drammaturga Yasmine Reza che ne seguì tutte le tappe e gli dedicò un libro che a rileggerlo oggi getta nuova luce su quello che all’epoca veniva definito il “presidenziabile”. E si ha pure la sensazione, sfogliando le sue memorie, i suoi discorsi raccolti e annotati e prefati da anche da autorevoli (o sedicenti tali) politici europei che esistito un Sarkozy di prima e un Sarkozy di dopo. A Tours il 12 aprile 2008 pronunciò un discorso nel quale disse: “Sono un francese di sangue misto, convinto che si sia francesi in proporzione dell’amore che si prova per la Francia, all’attaccamento che si prova per i suoi valori di universalità…La Francia non è una razza, non è un’etnia… Non si è francesi solo per le proprie radici, per i propri avi… Si è francesi perché si vuole esserlo… perché la Francia è un motivo di orgoglio. Perché ci si sente in obbligo nei suoi confronti, perché nei suoi confronti si prova gratitudine, riconoscenza”. Ben detto. Cinque anni dopo, rendendosi conto che stava affondando elettoralmente, ha promesso la revisione del Trattato di Schengen, la chiusura delle frontiere, la restrizione della concessione dei visti, se l’è presa con l’Italia di manica larga da dove passerebbero gli immigrati che vogliono ricongiungersi con i loro parenti ormai francesi…

Il 16 maggio, giorno del suo insediamento, come racconta la Reza, leggeva i fogli che aveva davanti zeppi di parole come “moralità… dignità… fratellanza… giustizia… tolleranza….amore…”. Roba da campagna elettorale. Poi fece nominare suo figlio poco più che ventenne alla presidenza della Defence, il più grande centro d’affari d’Europa, ma sotto la pressione delle polemiche giornalistiche e politiche e dell’indignazione popolare lo fece dimettere. Gli amici, la famiglia e l’ambizione sfrenata lo hanno allontanato dal suo popolo, quel popolo che il Generale sapeva blandire e domare, ma anche amare profondamente…

François Hollande, alla vigilia delle presidenziali del 2008, quando per i socialisti correva la sua compagna Ségolène Royal, definì Nicolas Sarkozy “il campione dell’insicurezza e della precarietà sociale”. Una “caricatura”, di “uomo forte” che l’allora “presidenziabile” aveva costruito con l’uso spregiudicato dei media. Il suo detrattore, tuttavia, gli aveva contrapposto un’altrettanta “caricatura” che non ebbe molta fortuna, presentandosi addirittura come “donna d’ordine”. Dopo cinque anni i fatti gli hanno dato ragione.

Se Sarkozy dovesse rovinosamente cadere per il neo-gollismo incarnato abusivamente da lui sarebbe una disfatta irrimediabile anche perché dopo l’uscente che ha fatto terra bruciata intorno a lui non c’è più nessun personaggio di spicco che potrebbe contendere ai socialisti la leadership. Infatti, da Chirac – che ha dichiarato che voterà per Hollande – agli autorevoli gollisti da lui emarginati nella sua ascesa al potere, tutti concordano che l’eventuale sconfitta non sarebbe del gollismo “classico”, ma soltanto di Sarkozy.

In una celeberrima intervista rilasciata a “Le Monde” prima del suo trionfo elettorale, Sarkozy disse: “Nel modello che immagino per la Francia, egualitarismo, livellamento, fumisterie non avranno più posto: la promozione sociale non si reclama facendo la coda allo sportello, ma è la ricompensa del merito e di chi lavora di più”. Non sono molti i francesi che oggi possono dire di aver visto attuato il proposito del presidente. Ma sono ancora tanti coloro che invece si riconoscono in quest’altra “perla”: “La Francia deve smetterla di affermare di avere il miglior modello sociale del mondo, quando invece deve contare un enorme numero di disoccupati, poveri, esclusi”. ù

E’ ancora così. Glielo hanno fatto notare tanto la candidata del Front National, Marine Le Pen, forte del suo 16%, che il candidato della gauche, Jean-Luc Mélenchon, accreditato della stessa percentuale dell’antagonista dell’estrema destra: un vero exploit considerando che ai nastri di partenza veniva dato al 3%. Entrambi, in sintonia con Hollande, sottolineano che negli ultimi anni la Francia si è impoverita, è diventata più insicura, facile preda speculatori voraci che rischiano di addentarla mortalmente.

Nessuno crede al “patriottismo europeo” che Sarkozy ha rispolverato per l’occasione: vuol solo prendere un po’ di voti alla bionda Le Pen alla quale sarebbe bastato un patto per una nuova legge elettorale che le permettesse di far entrare il suo partito all’Assemblea nazionale; partito che in città come Marsiglia raccoglie il 48% dei suffragi. Come si fa a non tenerne conto?

Hollande, intanto, sa di poter incassare l’appoggio al secondo turno di tutta la sinistra. Mélenchon glielo ha promesso. E già si fa calda la discussione sul nuovo organigramma composto da ex-comunisti, ecologisti e populisti che prenotano posti di rilievo anche se sanno che il più importante, quello di primo ministro, toccherà a Martine Aubry, la donna forte del Ps. Quella che, si mormora, governerà la Francia da Matignon oscurando l’Eliseo. Ma Hollande non è certo una mammola e farà ballare l’Europa francofortese.

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