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La paga dell’operaio e i compensi dei manager, come attenuare lo stress da perdita del lavoro

di Giorgio Oldoini |28 Aprile 2024 17:30

Carlos Tavares

La paga dell’operaio e i compensi dei manager, alcuni rimedi per attenuare lo stress da perdita del lavoro e contenere la chiusura delle aziende.

Secondo fonti non verificabili, in Russia qualsiasi transazione economica deve essere autorizzata dal nuovo Zar. Putin è diventato l’uomo più ricco del paese e forse del pianeta. Molti ritengono che si tratti delle solite leggende urbane come quella relativa all’“oro di Dongo”, finito nelle mani dei partigiani, le cui espressioni politiche hanno fatto credere agli italiani che la Liberazione dalla piaga fascista sia dovuta alla loro militanza anziché alle armate americane. Grazie a questo “mito”, gli eredi della Resistenza sono riusciti ad imporre un loro concetto di libertà e ad occupare, per oltre settant’anni, i centri decisionali del nostro paese, la cultura, l’arte, l’economia. Tutto ciò dimostra che i “guadagni” sono spesso conseguiti attraverso il “potere” e la “suggestione”, anziché per meriti individuali. 

Una società è giusta quando premia i più capaci. Ad esempio, la gente riconosce che esistono figure professionali “meritevoli” di elevati compensi, come un famoso direttore d’orchestra, un chirurgo o uno scienziato, i quali hanno dedicato tanti anni allo studio e al sacrificio. Questi personaggi godono di un’elevata approvazione sociale, nonostante le battaglie sommerse per la carriera, spesso propiziata dai partiti.

Esistono poi i “manager” che non godono di consenso diffuso, perché i loro guadagni, centinaia di volte superiori a quelli di un operaio, sono giudicati spropositati. E’ un fatto che gli emolumenti dei vecchi “boiardi di Stato”, riferiti ad analogo valore dei complessi amministrati, erano meno di un terzo rispetto a quelli dei manager attuali. Ed è altresì un fatto che le aziende italiane a livello europeo, negli anni della Prima repubblica erano nove, dopo trent’anni di cura mercatista, si sono ridotte a due o tre.

Il manager si distingue dall’imprenditore, perché non rischia del suo, è chiamato a massimizzare i profitti destinati a remunerare il “capitale”, è pronto a licenziare in blocco centinaia di lavoratori senza preoccuparsi troppo del loro destino. Molto spesso, i licenziamenti avvengono per ragioni di finanza speculativa e non per la inadeguata professionalità dei lavoratori. Se un’azienda va male e l’operaio è messo sulla strada, il manager non diminuisce e qualche volta aumenta i propri compensi. Se chiedi quanto dovrebbe guadagnare un operaio e quanto un capo azienda, ti senti rispondere: è il mercato che decide. Non è così e cercherò di spiegarne le ragioni.

Le tecniche di conquista del potere nelle imprese societarie

La caratteristica che accomuna i grandi enti economici quotati è che il quorum necessario per controllare la società, corrisponde a poche decine di punti, mentre la maggioranza effettiva del capitale è diffusa tra migliaia di soci che non partecipano alle assemblee. La tendenza dei proprietari ad occuparsi sempre meno degli affari delle loro aziende si è talmente accentuata che sono stati fatti sforzi per ottenere un loro maggior interessamento. Negli Usa sono indette riunioni di azionisti, a base di intrattenimenti e rinfreschi; situazione ben strana che i “dirigenti” debbano ricorrere ad espedienti per interessare i propri padroni legali. Lo stesso si verifica per le elezioni politiche.

E’ il disimpegno delle maggioranze che consente a piccoli gruppi di guidare le istituzioni e i grandi complessi economici. Si verifica così che le nomine dei capi azienda avvengono sulla base di elenchi ristretti o di accordi trasversali. Carlo Tavares alla Stellantis è il risultato di patti parasociali transnazionali. Ve lo immaginate un amministratore che deve la sua nomina ad una vasta associazione di finanzieri, il quale possa permettersi di proporre e fare approvare un Piano industriale che favorisca il “fattore lavoro”? Parlo di amministratori veri, non di quelli designati da un Ente consortile o da un’azienda comunale dei trasporti, messi in carica per via di spoil system.

La distruzione del patrimonio professionale e la legge Sunak sull’immigrazione.

L’altro giorno ho sentito alla televisione un “tecnico” informatico, secondo cui l’introduzione dell’intelligenza artificiale non creerà disoccupazione, anzi. L’unico problema sarebbe quello di “riconvertire” il lavoratore al nuovo che avanza. Osservazione in astratto condivisibile da chiunque, salvo da chi si trovi improvvisamente disoccupato in quanto nessuno ha più bisogno di lui. Mentre un tempo la tecnologia creava spazi di professionalità e quindi aree di remunerazione più elevate, ai nostri giorni riduce al rango di manovali gli stessi tecnici specializzati. La specializzazione del lavoro è un grande patrimonio nazionale, al pari degli stabilimenti industriali, dei macchinari, delle scorte, di marchi e brevetti. In Italia, è in corso la distruzione sistematica di questo patrimonio.

Il progresso tecnologico ha come conseguenza la continua modifica della professionalità del lavoratore. Quando una fabbrica elimina i vecchi macchinari e li sostituisce con altri più “avanzati”, il lavoratore deve apprendere le nuove tecniche di produzione. Poiché i ricambi tecnologici sono molto frequenti, ne deriva che il lavoratore deve “riconvertirsi” numerose volte nel corso della sua vita professionale. Il problema della “riconversione” del lavoratore si avverte in modo particolare nell’ambito dell’immigrazione.

Il piano del governo britannico per deportare in Ruanda i migranti illegali è diventato una legge considerata contraria ai principi costituzionali di uguaglianza e libertà dei popoli. Questa norma è stata voluta da Sunak, un economista di origini indiane, che si è distinto per avere erogato ingenti fondi pubblici a favore di aziende durante la pandemia ed oltre. La sua proposta di legge è stata accolta con favore dai sindacati.

Prima di dare un giudizio etico, bisogna seguire bene la discussione parlamentare. Sunak afferma che l’Inghilterra non può permettersi di dare asilo a masse di profughi che aspirano a diventare “lavoratori” senza possedere alcuna qualifica professionale. La fase di “riconversione” richiede corsi di aggiornamento di persone che non hanno alcuna “competenza tecnica” alle spalle, in un periodo di vacche magre e di disoccupazione.

Meglio scoraggiare questi esodi anche nell’interesse degli immigrati che sarebbero in gran parte destinati alla carità pubblica, alla delinquenza comune o a bande armate a sfondo etnico-religioso. Sunak non vuole creare un lager in Ruanda, ma un centro di “formazione” che fornisca le basi minime di professionalità per un avviamento al lavoro (anzitutto la lingua), tenuto conto delle esigenze effettive delle imprese inglesi.

Un’operazione del genere viene raccomandata in Libia e negli altri paesi del nord Africa, magari ad iniziativa della Comunità europea o dell’Onu. Se di questo si dovesse trattare, credo che la legge (analoga, per certi versi, al centro di raccolta in Albania voluto dalla Meloni) debba essere valutata in modo pragmatico.

Possibili rimedi.

Mi permetto di proporre alcuni rimedi per attenuare lo stress da perdita del lavoro e contenere la chiusura delle aziende. 

Il Governo francese ha organizzato un fondo di investimento insieme con Alstom, Bombardier, SNCF, RATP che può rilevare quote di minoranza delle PMI con potenzialità di sviluppo, per supportarle nella crescita internazionale. Perchè non si muovono la Cassa Depositi e Prestiti, l’Eni e la Leonardo? 

Se è vero che i manager devono retribuire anzitutto gli azionisti, nulla vieterebbe che una parte degli utili conseguiti siano destinati ad un fondo speciale a favore dei lavoratori licenziati dalle aziende che si ristrutturano. Ed è possibile pensare che le aziende beneficiarie di fondi pubblici, le quali chiudono lo stabilimento, debbano pagare indennità una tantum ai licenziati per integrare i sussidi già previsti a carico dello Stato.

Infine, in sintonia a quanto aveva proposto l’americano Butler, si potrebbe consentire ai lavoratori rimasti disoccupati di pagare imposte a carattere forfettario per l’attività di lavoro autonomo da essi svolta, al fine di sopperire ai mancati guadagni da lavoro dipendente.

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