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Lavoro, il Canto del Cigno di Monti. Scenario delle elezioni 2013

di Mino Fuccillo |22 Marzo 2012 14:32

ROMA – Si legge spesso di un “esprit de finesse” politico che inaspettatamente Mario Monti avrebbe rivelato in corso d’opera. Un po’ è adulazione ad personam, molto è la congenita tendenza delle cronache all’ossequio, tendenza e attitudine perfino inconsapevoli. Fanno parte del carattere, del bagaglio dell’informazione e della vita pubblica italiane e Monti ne è solo l’ultimo beneficiario. Monti un “fine” politico? Un “fine” politico o meglio un politico a tutto tondo, capace di elaborare strategie politiche, costruire blocchi sociali di consenso, agire sul sociale e sul politico appunto come si gioca a scacchi e cioè prevedendo l’effetto dell seconda e terza mossa e non solo della prossima sulla scacchiera oggi al posto di Monti avrebbe tolto qualche accisa sui carburanti, abbassato il prezzo della benzina e presentato la riforma del lavoro in forma di decreto legge. Cioè avrebbe scompaginato e diviso il dissenso sociale che monta e posto il Parlamento e i partiti di fronte al prendere o lasciare. Dicendo ad entrambi: se “lasciate” poi che fate? Le elezioni anticipate a giugno? Ma Monti non abbassa il prezzo della benzina e quasi sicuramente affiderà le sorti della riforma del lavoro ad una legge delega, cioè cercherà di convincere rinunciando probabilmente a vincere. Perché Monti e la Fornero sono e restano soprattutto “professori”.

E la “lezione” dei professori è alle sue ultime battute: Mario Monti sta partendo per l’Asia dove illustrerà a quei mercati e a quegli investitori una riforma del mercato del lavoro italiano che c’è, e neanche tutta, solo sulla carta. Se e quando diventerà legge approvata dal Parlamento, sarà la metà della metà di quel che oggi si legge. Se e quando…perché con la legge delega si arriva a fine anno e perché con le modifiche che si annunciano come necessarie per farla “passare” le aziende sembrano avviate ad ottenere sconti sul costo aggravato dei contratti a termine e i sindacati e il Pd sembrano avviati ad ottenere che anche in casi di licenziamenti per motivi economici sia data al giudice l’ultima parola per decidere se sarà reintegro o indennità per il lavoratore. Se così dovesse andare a finire, allora tutto sarà molto diverso da prima, tanto diverso da sembrare, anzi essere, più o meno uguale a prima. La “lezione” che il professor Monti terrà a mercati e investitori asiatici sarà un po’ il suo canto del cigno: una “lectio magistralis” sul mondo come doveva essere e non sarà.

Di fronte alle due questioni di fondo, di fronte al vero spartiacque, buona parte, anzi la maggior parte del paese resta al di qua e là non ha intenzione di andare. Questione numero uno: un’azienda italiana o straniera che sia, può, se investe in Italia, se investe anche in forza lavoro, conoscere in anticipo i costi certi e i tempi sicuri di una riduzione della forza lavoro assunta e impiegata se l’azienda va male o se decide di modificare la produzione e i processi produttivi? In altri termini quell’azienda può essere sicura di poter licenziare pagando un prezzo, alto o basso che sia, solo di natura economica? La risposta maggioritaria che il paese fornisce alla domanda è un sostanziale No. Nella “lezione” dei professori c’è invece scritto Sì. Tutto il resto, articolo 18 più o meno ritoccato, ambito del ricorso al giudice e via spulciando il testo della riforma e le fasi della trattativa, è importante ma pur sempre contorno.

Questione numero due: l’imprenditoria, il sistema delle imprese italiane è disposto ad investimento oneroso sulle “risorse umane”, cioè sulla forza lavoro qualificata rinunciando al sotto costo del lavoro precario? La risposta maggioritaria che fornisce il paese alla domanda è un sostanziale No. E ancora una volta nella “lezione” dei professori c’è invece scritto Sì. Accade così che la “lezione” nel momento del suo acme, al punto più alto della sua parabola, comincia a finire.

La suggestione è snobistica e letteraria ma Elsa Fornero e per traslazione Mario Monti appaiono a chi scrive più Eleonora Fonseca Pimentel e i suoi amici illuministi nella Napoli del 1789/99 più che Cancellieri alla Bismark o rivoluzionari autocrati alla Napoleone. Gli illuministi napoletani di due secoli e passa fa finirono in galera o al patibolo tra gli applausi della plebe “lazzarona” guidata dal Cardinal Ruffo. Oggi i cardinali si occupano d’altro, la plebe è diventata popolo e non più “lazzarona” e per i professori non c’è alcuna pena o rischio in vista. Al massimo il passaggio dagli altari alla polvere nella democratica vicenda politica. Però quella canzoncina: “La signora Leonora che cantava sul teatro ora balla in mezzo al mercato. Viva il Papa santo che ha mandato i cannoncini per cacciare i giacobini . Viva la forca di Mastro Donato, Sant’Antonio sia pregato” è un motivetto che con opportuni adattamenti alla mutatissima realtà odierna qualche assonanza tra passato e presente ce l’ha. Nessuna forca ovviamente in nessun mercato ma, per dirla alla napoletana, “il teatro sta venendo giù” e non per gli applausi. Alla “lezione” dei professori per inerzia, calcolo, opportunismo, miopia, stanchezza, diffidenza, istinto, prudenza, abitudine, convinzione, indignazione, scetticismo, paura e riflessione il paese profondo sta dicendo No.

Quindi, coerente o sbilenca che sia, efficace o velleitaria che possa risultare, la riforma del lavoro Monti-Fornero, se non sarà decreto legge e decreto legge quasi sicuramente non sarà, arriverà ad essere vera tardi e sbocconcellata. Come accade al grande pesce del racconto Il Vecchio e il mare di Hemingway: una lunga navigazione attaccato alla barca del governo, barca che non affonda, ma una volta in porto il pesce che era enorme non c’è più: se lo sono mangiato quelli che in acqua nuotavano intorno alla barca. Quindi, mirabile o miserabile che sia, la riforma del lavoro Monti-Fornero è il canto del cigno. Dopo non ci saranno più riforme: non quella del fisco, non quella della spesa pubblica. Se ad aprile-maggio 2012 non passa quella del lavoro, figurarsi a ottobre/novembre le altre due con le elezioni politiche fissate a primavera 2013.

E qui si può fare “scenario” di quelle elezioni, di quelle che verranno con un Monti che ha sostanzialmente finito con la riforma del lavoro anche se resta in carica per altri dodici mesi. Vi sarà nella primavera prossima un blocco elettorale e sociale forte di una dote di partenza del quasi quaranta per cento: Pd, Sel e Idv. Vi sarà un blocco elettorale e sociale di destra divisa: 10 per cento alla Lega, 20 per cento al Pdl. E un blocco del 10/15 per cento oggi chiamato Terzo Polo. Non c’è, non dovrebbe esserci “gara”: il blocco di sinistra candidato e favorito per la vittoria. Più o meno come lo era nel 1993 alla vigilia delle elezioni del 1994. Più o meno come allora perché il 40, il 10, il 20, il 15 per cento di cui sopra si riferiscono allo scarso 60 per cento di italiani che già oggi sanno per chi voteranno il prossimo anno. E l’altro 40 per cento, quello che oggi dichiara di non sapere e di non voler sapere per chi votare? Se allora ci fosse una “narrazione” di destra moderata, qualcosa che insieme dice: non diamo il paese a Di Pietro e ai No Tav, alla Fiom e a Vendola e aggiunge il mito del risanamento mancato? Se alla “narrazione” si accoppierà allora un “contenitore” capace a torto no a ragione di intestarsi la moderazione elettorale e il “montismo” bloccato a metà? Questa narrazione e questo contenitore potrebbero raccogliere il 15 per cento del Terzo Polo, la quasi totalità del Pdl, intendiamo elettorati e non necessariamente partiti e personale politico. Ancora troppo poco per competere con il blocco di sinistra. Ma di quel 40 per cento che oggi si astiene o non vuol decidere quanti alla fine andranno ad ingrossare il voto a sinistra e quanti invece potrebbero scoprire la destra moderata e non berlusconiana?

Tanti, troppi dicono che Monti e i suoi proseguiranno in politica. Pronostico azzardato e semplicistico. Quel che oggi si vede è che la sinistra sta espellendo il “montismo” dal suo orizzonte e dal suo patrimonio. Se ci sarà ricaduta del “montismo” in politica sarà ricaduta a destra. E le elezioni in Italia si vincono facendo il pieno dei “nostri” quando gli altri non fanno il pieno dei “loro”. Con il sostanziale No alla riforma del lavoro oggi la sinistra fa il pieno dei “suoi” e si mette in sintonia con il No di maggioranza nel paese. Ma si mette in una condizione di “tutto esaurito” sul suo pullman, altri non saliranno di qui ad un anno. Se gli “altri”, gli altri il cui pullman oggi non esiste, gli altri che viaggiano su diversi e più piccoli veicoli si fanno un loro “pullman” su cui salgono tutti i potenziali passeggeri di una destra moderata, allora lo “scenario” può essere una replica del 93/94. E senza Berlusconi, il che darebbe al pullman della destra quella credibilità che oggi non ha.

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