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Banda Magliana, sbarchi di clandestini, mani di mafia a sud di Roma: ombre sul delitto Ceccarelli

di Marco Benedetto |13 Aprile 2011 0:02

L’unica cosa certa è che venerdì, 8 aprile, l’imprenditore Roberto Ceccarelli, di 46 anni è stato ucciso, con due revolverate. E che a sparargli, in via Col di Lana, davanti al teatro Delle Vittorie e al ristorante “Zio Ciro” nell’elegante quartiere Prati, sono stati Attilio Pascarella, 70 anni, senza fissa dimora ridotto a dormire in auto, e il suo nipote Daniele, 35 anni, che la dimora invece ce l’ha, per giunta alla Magliana: vale a dire, nell’ormai mitico quartiere gioia delle cronache nere e giudiziarie per via della cosiddetta banda della Magliana, eletta a furor di “Romanzo criminale” e annesse serie televisive madre di tutte le bande di Roma e a loro sinonimo onnicomprensivo. Anche se in realtà quello che a detta di alcuni pentiti era il suo quartier generale, il bar Chiabrera di via Chiabrera, non è alla Magliana, bensì alla Garbatella. Potenza delle suggestioni… Un po’ come la Padania di Umberto Bossi, di cui tutti parlano, ma nessuno sa cosa sia.

Ceccarelli era un uomo dai mille traffici e Attilio Pascarella era un suo prestanome. Ridotto in miseria, per campare alla bell’e meglio si era adattato a figurare come titolare di società facenti capo in realtà al Ceccarelli, che lo ricompensava con una manciata di euro di tanto in tanto, diventati però negli ultimi tempi troppo rari e ogni volta troppo pochi. Ormai in preda alla disperazione e col sangue agli occhi il prestanome era andato a trovare il suo “datore di lavoro” nel suo studio di via Oslavia, nei pressi del luogo del delitto, per battere cassa. Invano. Tornato in strada, Pascarella non ha trovato di meglio che aspettare Ceccarelli e freddarlo con l’aiuto del nipote. Uno dei due, più probabilmente il nipote anziché lo zio nonostante si sia addossato subito tutte le colpe, gli ha sparato con una pistola calibro 22, arma a dire il vero più da tiro sportivo che da killer, il 22 infatti è un calibro piccolo, inadatto a uccidere a colpo sicuro.

Come che sia, Roberto Ceccarelli è un nome che può portare lontano. Molto lontano. Tanto per cominciare un Roberto Ceccarelli figura, insieme con altre due persone dallo stesso suo cognome, nella vicenda della megatruffa da 170 milioni di euro da parte di Gianfranco Lande dei Parioli ai danni di 500 bei nomi, risparmiatori attirati dall’ingordigia di investimenti facili con guadagni elevati. Luca Tescaroli, il magistrato titolare dell’indagine pariolina, vuole vederci chiaro, perciò ha ordinato alla Guardia di Finanza di controllare se il Roberto Ceccarelli del “botto” del Lande sia lo stesso ucciso venerdì 8 o solo un omonimo e se gli altri due Ceccarelli abbiano avuto un qualche legame con quella che ormai viene indicata come la banda dei Parioli.

In ogni caso, il Ceccarelli finito ammazzato ha un bel curriculum di truffe, inchieste sul riciclaggio, reati finanziari e implicazioni nel caso Lady Asl, al secolo Anna Giuseppina Iannuzzi, protagonista di una megatruffa ai danni del servizio sanitario del Lazio, per l’esattezza ai danni della ASL di Roma B, dal cui bilancio sparirono 50 milioni di euro. Dieci di quei milioni finirono in mano a Ceccarelli, che li riciclò tramite una giro di import export di auto di grossa cilndrata tra la Germania e l’Italia.

Come se non bastasse, nel 2003 la vittima di via Col di Lana venne coinvolta nell’inchiesta “Capricorno Connection”, nome dato a una banda che aveva messo a segno ben 33 rapine ai danni di banche e gioiellerie di Roma, Bologna, Milano, Parla e Latina. Parte dei 55 indagati per quella “connection” erano tifosi ultrà della Roma e della Lazio oltre che estremisti di destra ex militanti del Movimento Politico Occidentale, sciolto in seguito d’autorità grazie alla legge Mancino. E che il giro degli estremisti di destra, nella fattispecie personaggi come Claudio Bracci e dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) come Massimo Carminati, abbiano manovrato soldi della Lazio e della A.S. Roma insieme con “maglianesi” come Manlio Vitale, detto Gnappa, e Angelo Angelotti, è cosa messa a verbale dal pentito ex NAR Roberto Stolfa.

Il problema però è che la Capricorno Connection, citata come vedremo più avanti dal Coordinamento Antimafia guidato da Edoardo Levantini, faceva capo al clan catanese dei Tomasello, che era in odor di mafia ed era attivo attivo tra Roma ed Anzio. Ed è la presenza della mafia siciliana, anzi della mafie al plurale, nonché della ‘ndrangheta calabrese e della camorra campana, la pista da seguire per capire cosa succede a Roma e dintorni.

Se la banda della Magliana è stata in realtà una banda a “geometria variabile”, che cioè in certi periodi riusciva a unificare le varie bande di Roma e dei dintorni, come Anzio, Acilia, Ostia, Centocelle, Tor Pignattara, ecc., mentre in altri periodi si frantumava con gli ammazzamenti reciproci dei vari boss, la responsabilità è infatti delle mafie, camorra e ndrangheta che se ne servivano per i loro commerci.

Prima di tutto quello della droga, grazie al quale soprattutto la “neve”, cioè la cocaina, ma senza trascurare l’eroina, l’hascish, la marijuana, l’oppio, il crak, ecc., era diventata la moneta corrente che non si svaluta mai, anzi, era – ed è – una zecca che genera in continuazione guadagni strepitosi. Tanto strepitosi da innescare ingordigie e appetiti crescenti. Crescenti al punto da diventare infine ingovernabili, tant’è che la banda della Magliana è finita in una marea di ammazzamenti e vendette incrociate e reciproche.

L’ultima fiamma della banda della Magliana è stata la banda della Marranella, che prende il nome della via dove abitava, a Tor Pignattara, un certo Salvatore Sibio, detto “er Tartaruga”, ma durò poco. Poi Roma è tornata ad essere quello che a partire dagli anni ’70 è sempre stata. Vale a dire? Lo ha spiegato bene il magistrato Lucia Lotti, che di inchieste come pubblico ministero ne ha condotte non poche: “Roma è l’epicentro dove si tessono le relazioni. A Roma ci sono le rappresentanze criminali”, come fossero le ambasciate o i consolati delle vere grandi bande criminali italiane che se la fanno da padrone in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, ma anche in Lombardia e in una fetta della Costa Azzurra.

Non dimentichiamo che la stessa banda della Magliana quando venne concepita, da Nicolino Selis nel carcere di Regina Coeli a Roma, venne concepita per imitare la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Selis era un malavitoso nato in Sardegna, ma cresciuto con altri ad Acilia, paesone della provincia romana da sempre ambita dalle grandi bande del Sud. Selis durante una licenza dal carcere venne ucciso all’uscita da un ippodromo romano, e il mondo delle corse dei cavalli era già il regno della camorra napoletana. Era il periodo in cui a Roma viveva sotto falso nome Frank Coppola, vero e proprio snodo della mafia, soprattutto quella del mandamento di Caccamo, e dei malavitosi romani, compresi i “cravattari”, cioè gli strozzini, di Campo dei Fiori, come per esempio Mimmo Balducci, morto ammazzato, e i killer di professione come Danilo Abbruciati, fulminato a Milano dalle revolverate di una guardia giurata a conclusione di un attentato fallito a un banchiere del calibro di Roberto Rosone.

A Roma è entrata alla grande anche la ‘ndrangheta, soprattutto quella dei Parrello, il cui “rappresentante” in zona, oltre a Candeloro Parrello fuggito a Roma da una faida della natia Calabria, era Salvatore Nigro, fornitore di “neve”, spesso 50 chili alla volta, alla banda della Marranella. Di Nigro s’è trovata solo l’auto, carbonizzata, nei pressi di Palestrina, lui invece è sparito, preda della lupara bianca. Fare il doppio gioco con la camorra del clan Messina, del famoso paese Casal di Principe, che prometteva “forniture” all’ingrosso più grandi e a prezzi minori, gli è costato caro.

Il Candeloro piazzato a Roma era figlio di don Gaetano Candeloro, un boss che insieme con Giuseppe Piromalli e Savrio Mammoliti aveva messo in piedi il triumvirato che gestiva i traffici criminali dell’intera piana di Gioia Tauro, sede del porto meno sorvegliato d’Italia e per questo il più interessato ai tranquilli traffici di armi. Ma a Roma di camorra c’era è c’è anche quella napoletana della Nuova Famiglia. Il loro “rappresentante” è stato – almeno fino all’ultimo suo arresto avvenuto nel 2009 – Michele Senese, inviato speciale nell’Urbe per dare la caccia agli odiati “soldati” di Raffaele Cutolo e della sua Nuova Camorra.

Tra i traffici dei vari “rappresentanti” romani delle camorre, mafie e ‘ndranghete non manca neppure quello degli immigrati clandestini. Oggi tutti parlano di Lampedusa e dei barconi di dannati della terra che vi sbarcano, ma gli sbarchi ci sono – senza clamore – anche ad Anzio e dintorni. Dell”‘infiltrazione delle organizzazioni criminali nel basso Lazio”, in particolare ad Aprilia, dedite non solo al crimine ma anche a ” tentativi di condizionare le consultazioni elettorali” nonché a “infiltrazioni in settori della pubblica amministrazione”, se n’è accorta anche la Commissione Parlamentare Antimafia, le cui conclusioni sono state citate per esempio in una interrogazione del novembre 2008 al ministro dell’Interno dai deputati del PD Sesa Amici e Olga D’Antoni.

Nell’interrogazione sono citati con pignoleria tutta una serie di fatti criminosi:

” – nel dicembre 2002 veniva arrestato, nella zona di Aprilia, Giovanni Pizzata, collegato alle cosche di San Luca, attivo nel traffico degli stupefacenti nella zona di Aprilia;

– Pizzata di San Luca veniva arrestato in compagnia di un certo Strangio di San Luca, che trascorreva la sua latitanza ad Aprilia ed era stato trovato in possesso anche di una certa quantità di eroina e cocaina, secondo quanto riferito dal dott. Vincenzo Macrì, sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia durante l’audizione del 6 maggio del 2002 innanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia;

– il 27 gennaio del 2007 veniva arrestato ad Aprilia Giuseppe Pavone, su ordine di carcerazione emesso dalla procura generale per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pavone risulta già coinvolto in passato in inchieste della procura distrettuale antimafia contro il clan Tomasello di Catania;

– il 23 aprile del 2007 veniva emessa dal tribunale di Latina la sentenza a carico di una banda di narcotrafficanti attivi tra Aprilia e Cisterna. Nell’ambito del suddetto processo denominato «Pitbull» veniva condannato Nino Montenero, esponente della medesima famiglia, alla pena di otto anni di reclusione per traffico di droga;

– nel 2007 venivano messi a segno numerosi attentati ed intimidazioni ai danni di politici e commercianti;

– il 27 marzo del 2007 un grave incendio doloso distruggeva l’autovettura della figlia dell’allora capo gabinetto del sindaco di Aprilia Catozzi;

– il 6 aprile 2007 veniva incendiata la gioielleria «Oro 2000» in via degli Aranci, gestita dal nipote di Catozzi;

– il 27 maggio del 2007 ignoti esplodevano 5 colpi di pistola contro la serranda del bar delle Palme;

– il 26 settembre del 2007 venivano sparati colpi di arma da fuoco contro l’abitazione dell’assessore agli affari sociali Bafundi;

– il 13 ottobre dello stesso anno venivano incendiate due agenzie immobiliari (agenzie Grimaldi);

– nel mese di gennaio del 2008 ignoti bruciavano l’autovettura della moglie del consigliere di opposizione dello SDI, Antonio Terra;

– nel mese di febbraio del 2008 veniva danneggiata l’autovettura del consigliere di AN Mario Berna;

– nel corso di una riunione sulla sicurezza e l’ordine pubblico, tenutasi il 13 dicembre del 2007 innanzi al consiglio comunale di Aprilia con la partecipazione della presidente della commissione speciale per la lotta alla criminalità del consiglio regionale del Lazio, onorevole Luisa Laurelli, il prefetto di Latina dottor Bruno Frattasi ha richiamato la necessità dell’istituzione di un commissariato di polizia in tale località;

– il 28 marzo del 2008 quattro persone (Agostino Ravese, Francesco Gara, Vincenzo Buono assieme ad un quarto uomo) compivano un agguato a colpi di kalashnikov ferendo gravemente due persone;

– secondo quanto emerso dalle indagini della procura distrettuale antimafia, il commando era composto da pericolosi soggetti della criminalità organizzata di Anzio e Nettuno collegati con il clan dei casalesi;

– l’otto aprile del 2008 venivano arrestatati nove esponenti della malavita di Aprilia e l’assistente capo della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Velletri Salvatore Raimo nell’ambito dell’operazione FORBICE per i delitti di commercio di droga, detenzione di esplosivi ed estorsione;

– tra gli arrestati spiccavano Luca Palli, Ivan Casentini e Daniele Bianchi (già arrestato per gravi delitti e che nel luglio del 2007 risultava in possesso di una ferrari Modena 360 intestata a Vittorio Casamonica dell’omonimo clan);

– secondo quanto emerso da articoli della stampa locale, i componenti della banda progettavano attentati contro la locale compagnia dell’Arma dei Carabinieri;

– il 6 luglio 2008 i militari della Guardia di Finanza notificavano ad Agostino Ravese (già detenuto per i gravi fatti poc’anzi citati) un provvedimento restrittivo emesso dall’autorità giudiziaria di Aprilia con l’accusa di usura ed estorsione compiuto ai danni di commercianti di Aprilia, Anzio e Nettuno;

– il 12 agosto di quest’anno veniva tratto in arresto dalla polizia di stato ad Aprilia Gianfranco Antonioli, ricercato per aver gestito un traffico di armi tra Aprilia e San Luca e ritenuto uno dei fornitori di armi da guerra alle cosche della `ndrangheta;

– il 9 ottobre scorso i carabinieri di Aprilia eseguivano dieci arresti nell’ambito dell’operazione «Lazzaro» per i reati di associazione a delinquere, estorsione, commercio di droga;

– secondo i Carabinieri, la consorteria criminale risultava attiva anche nei comuni di Anzio e Nettuno dove svolgeva il ruolo di «agenzia di recupero crediti».

Per parte sua, il 7° Rapporto sulla situazione della criminalità organizzata nel comprensorio di Anzio-Nettuno, redatto dal Coordinamento Antimafia guidato da Edoardo Levantini, elencava un’altra serie di fatti nella zona di Anzio e Nettuno, citando tra l’altro proprio la Capricorn Connection nella quale è stato coinvolto Roberto Ceccarelli:

“Agiscono nelle città di Anzio e Nettuno i Clan Gallace, Anastasio ed importanti aggregazioni criminali di origine locale che si ispirano al modello mafioso. Recenti indagini coordinate dalla DDA della capitale, come l’inchiesta Capricorn Connection, hanno confermato anche la presenza di Cosa Nostra catanese.

Giova ricordare che il 29 agosto del 1996 veniva arrestato in Anzio il boss Giuseppe Ferone con cinque “soldati” del suo clan. Giuseppe Ferone era un elemento di spicco della Cosa Nostra catanese. Per quanto attiene al clan Fallace la suddetta struttura criminale fa parte delle maggiori famiglie della ndrangheta. ” le consorterie criminose di origine calabrese attive in tutta la provincia romana,ma in particolare sul litorale di Anzio e Nettuno, sono quelle dei Gallace; (…) nel comprensorio di Pomezia le ndrine degli Albanese, Raso e Gallace” (Giorgio Napolitano ministro Interno, in Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata anno 1996, doc. XXXVIII – bis n. 2, pag. 85).

“Nel comprensorio tra il basso versante jonico catanzarese (Guardavalle – Badolato) e la provincia di Reggio Calabria è influente la cosca Gallace. Il sodalizio risulta avere proiezioni nel Lazio, dove opererebbe d’intesa con i Bonomi e i Coppola” (Rosa Russo Jervolino ministro dell’interno, in Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata anno 1998 doc. XXXVIII – bis n. 4, pag. 185) Il clan calabrese risulta altresì citato nella recente relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia volume II, anno 2002 secondo semestre, pag. 106:

“Nelle aree meridionali della Regione Lazio sono presenti proiezioni delle famiglie reggine Mollica e dei Morabito e dei Gallace Novella”.

Il clan in questione risulta federato con i sodalizi Ruga, Novella e Metastasio.Lo stesso capo bastone della famiglia Fallace, fino al marzo 2002, risultava residente, agli arresti domiciliari a Nettuno. Si trattava di Agazio Fallace condannato a sedici anni di carcere per reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’omicidio. Il boss in questione, già inserito nell’elenco dei trenta latitanti di massima pericolosità, veniva arrestato nel marzo 2002 per aver evaso gli arresti domiciliari. La presenza del clan Gallace è stata ribadita dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia riferita al secondo semestre 2002 e al primo semestre 2003.

Il Gip distrettuale di Catanzaro su richiesta della locale procura distrettuale emetteva, il 6 ottobre 2003, 62 ordinanze di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari nei confronti della potente ndrina dei Mancuso attiva nell’area di Vibo Valentia e con proiezioni nel Lazio e in particolare nella città di Nettuno. L’operazione denominata “Dinasty Affari di famiglia”, portava a colpire una delle più agguerrite ndrine della mala calabrese che si “affaccia nel litorale romano accanto al clan Gallace”.

Per quanto concerne la presenza di famiglie criminali campane, nelle città di Anzio e Nettuno risulta attivo il clan Anastasio – Veneruso – Castaldo struttura criminale che nella regione Campania vive una vera e propria fase espansiva. “Nel mese di Aprile un’inchiesta (condotta da il R.O.S. e coordinata dalla D.D.A. della capitale) ha evidenziato l’ascesa imprenditoriale del capo del clan Anastasio Aniello che in soggiorno obbligato a Roma, aveva investito in supermercati, negozi e boutique (anche in Anzio) il ricavato del traffico internazionale di cocaina”.

La presenza di cosa nostra catanese è particolarmente significativa come testimoniano le operazioni capricorn connection, Clara II, e Traforo.

La prima inchiesta coordinata dal sostituto procuratore della procura distrettuale dott. Giancarlo Capaldo ha portato ad individuare una pericolosa consorteria criminale dedita al compimento di rapine e al traffico di droga.

Si tratta di una pericolosa organizzazione criminale (per cui il p.m. ha ipotizzato l’ipotesi di reato di cui all’art. 416 bis del codice penale) ascrivibile al clan Tomasello che ha portato in carcere diversi pregiudicati attivi anche ad Anzio ed Aprilia mentre altri risultano, a tutt’oggi, indagati. Giova ricordare che tale consorteria criminale disponeva di un ampio numero di armi da fuoco ed esplosivo.

Nell’operazione Clara sono state emesse 20 ordinanze di custodia cautelare in carcere, dal G.i.p. di Latina dottor Aldo Morgigni, su richiesta del p.m. dottor Giancarlo Siani. Tale procedimento scaturito, in parte, dalle indagini sul delitto Cassandra ha dimostrato l’importanza, ancora una volta, il ruolo della malavita organizzata attiva ad Anzio e Nettuno per il traffico di droga nello scacchiere compreso tra le città di Anzio, Aprilia, Nettuno e Latina. Il provvedimento restrittivo, sul punto confermato anche dal tribunale del riesame, ha delineato il ruolo “chiave” di personaggi legati a cosa nostra catanese già colpiti da ordinanze restrittive nell’ambito del già citato procedimento Capricorn Connection ed attivi nel comprensorio di Anzio, Nettuno e Aprilia. In particolare alcuni di questi soggetti risultano colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.i.p. distrettuale di Catania nell’ambito del procedimento denominato Traforo che ha portato all’emissione di 51 provvedimenti restrittivi (il 6 novembre 2003) contro il clan legato al boss Santo Mazzei. Secondo gli inquirenti i referenti presenti in Anzio (9) e Aprilia facevano capo al boss Orazio Coppola responsabile del clan Mazzei anche per il circondario di MisterBianco e Lineri”.

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