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Guerre in Libia e in Iraq: stessa macchina delle menzogne

di Marco Benedetto |3 Maggio 2011 10:17

E meno male che è il “partito dell’amore”! Chissà che carneficina avrebbe scatenato se fosse stato il “partito dell’odio” o un partito qualunque, che bada al sodo e non all'”amore”. Come è noto, senza temere il ridicolo il Berlusconi del bunga bunga a pagamento ci tiene a definire il suo PdL il “partito dell’amore”. E senza temere il ridicolo il sindaco di Milano Lerizia Moratti nei giorni scorsi gli ha fatto eco dichiarando che alle ormai prossime elezioni “a Milano vincerà l’amore”. Di che amore parlino non è però molto chiaro. Appare infatti quanto meno contradditorio e atipico che un “partito dell’amore” collabori a bombardamenti e ammazzamenti vari, compreso il più giovane dei figli di Gheddafi e tre suoi nipoti.

Si tratta del poco amorevole bis, ma in versione più massiccia, del bombardamento Usa del ’94, che ammazzò una figlia adottiva di soli quattro anni del leader libico. Amore o no, se davvero la guerra in Libia dovesse arrivare in Italia, sia pure “solo” con attentati anziché con bombardamenti e truppe, sarebbe non solo il colmo dei colmi, ma una tragedia doppia: al tragico di una guerra si aggiungerebbe infatti il tragico, ingigantito dal ridicolo, che ci troveremmo a doverla combattere sotto la guida di uno come Berlusconi. Morire per Berlusconi? Roba da matti. Neppure da “Isola dei famosi” o da “Amici” di Maria de Filippi o da bunga bunga, ma proprio e solo roba da matti. Può succedere solo in Italia.

E se non succederà sarà, a quanto pare, solo merito di Umberto Bossi, il che è un’altra roba da matti. E’ però ragionevole pensare che Bossi si sia messo di traverso alla guerra libico berluscona solo per acchiappare quanti più voti alle prossime amministrative, portandoli via anche alla sinistra decisamente impazzita, o rimbecillita, che da “NO!” alle guerre all’Iraq è passata al “Sììììììì!!!!!” alla guerra alla Libia. Il risultato è un gioco delle parti, tra il Cavaliere e il Carrocciere, che farà guadagnare loro voti e rassoderà il governo anche se il Carrocciere senatùr ora minaccia di farlo cadere se non si pongono una serie di paletti e una data limite alla nostra partecipazione alla strana guerra libica, voluta da Sarkozy in nome della Total.

Ovvio che Berlusconi accetterà i paletti e una data limite: così non solo avrà una giustificazione impeccabile con Obama e Napolitano per sfilarsi dalla trappola libica, tesaci dalla Francia, ma incasserà voti facendo fare alla sinistra la figura dei guerrafondai. Del resto, se ci si lascia ancora guidare dai D’Alema e Veltroni… Ovvio che lo stesso Bossi che oggi minaccia il governo Berlusconi si guarderà bene, come sempre, dal creargli veri problemi, sicuramente troveranno “la quadra” all’ultimo o al penultimo momento. Naturalmente saremmo felici di sbagliare. Ma Bossi non ha mai mostrato di avere istinti suicidi e Berlusconi è un maestro nel tenere a libro paga non solo le bonazze del bunga bunga e dell’Olgettina.

Purtroppo i nostri leader di sinistra leggono poco e male, e studiano peggio. D’Alema si vanta di avere letto gli scritti del grande stratega militare cinese Sun Tzu. Ma è evidente che non ha capito un’acca, deve avere scambiato Sun Tzu per Topolino o l’Intrepido o Tex Willer. Se studiassero, e capissero, saprebbero che – è un classico – le guerre servono a compattare il fronte interno soprattutto di chi le inizia, riducendo di molto lo spazio per le opposizioni o trovando la scusa buona per ridurle in vario modo al silenzio. La nostra guerricciola alla Libia non fa eccezione. Berlusconi mandando i nostri aerei a bombardare si è politicamente rafforzato. E non di poco.

Il capo dello Stato gli ha infatti offerto una sponda inaspettata, che oltretutto spiazza quella che dovrebbe essere la sinistra o almeno il centrosinistra. Finché “i nostri ragazzi” sono al fronte, sia pure per ora solo aereo, di mettere in difficoltà vera Berlusconi non se ne parla. Difficile che la Lega lo molli davvero se perderanno le elezioni a Milano. Con una guerra in corso o incombente anche con la “data limite” voluta da Bossi chi oserà a quel punto tentare di far cadere dalla sella di palazzo Chigi il Cavaliere, con Giorgio Napolitano che dall’alto del Colle gli copre le spalle? I magistrati? Verrebbero travolti dal “patriottismo”, se non dall’accusa di tradimento, senza neppure dover fare la fatica di aizzargli contro un Ferrara o uno Sgarbi, un Minzolini o un Sallusti…

Napolitano in ogni caso si frega le mani. A occhio e croce pare evidente che punta a un nuovo settennato al Quirinale. Ora che ha messo sotto tutela anche il Cavaliere e il suo governo, superando così gli attriti precedenti, chi più di Giorgio Napolitano può dare garanzia di essere super partes e rappresentare tutti gli italiani anche nel caso che Bossi faccia davvero cadere Berlusconi? Gianni Letta, ufficialmente il candidato di Berlusconi? Giuliano Amato, l’eterna “riserva della Repubblica” ormai finita nel dimenticatoio? Suvvia, siamo seri: con la manna insperata della guerra in Libia l’attuale capo dello Stato in fatto di garanzie surclassa tutti. Perfino l’età, ancor più avanzata alla scadenza del settennato, diventerebbe in tal caso un punto a favore del Grande Vecchio quirinalizio.

Ma a proposito di Libia: è possibile immaginare come andrà a finire, con la cosiddetta “rivoluzione” dopo due mesi ancora ferma più o meno ai nastri di partenza? Gheddafi, per quanto detestabile, è ancora in sella con tutta la sua famiglia e annesso grande clan tribale. Sì, uno scenario è possibile immaginarlo: ed è quello – già rodato con successo sull’altra sponda dell’Adriatico – della balcanizzazione, che non è detto debba essere solo della Libia. Ma è bene cominciare il discorso parlando, in apparenza, d’altro.

Strano. L’egiziano Mohamed El Baradei, premio Nobel per la pace nel 2005 ed ex-direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), che vigila per impedire la proliferazione di armi nucleari, pubblica un libro contemporaneamente in Italia e nel mondo dal titolo maledettamente interessante, ”L’Età dell’Inganno. Le minacce nucleari e l’ipocrisia delle nazioni”, ma a parte Blitzquotidiano.it non ne ha parlato quasi nessuno. Perché? Perché nelle 372 pagine El Baradei ha scritto troppe frasi che in piena guerra “umanitaria” contro la Libia suonano scomode, frasi come questa: ”La guerra irachena ha insegnato che l’inganno deliberato non è solo praticato da piccoli Paesi governati da spietati dittatori”.

O come questa: ”la Corte Internazionale Criminale non dovrebbe indagare se l’invasione dell’Iraq è stata un crimine di guerra e accertare chi sono i responsabili?”. Il silenzio sul libro di El Baradei è ancora più strano alla luce del fatto che anche Hans Blix, lo svedese a suo tempo pure lui direttore dell’IAEA, ha pubblicato un libro, “Disarmare l’Iraq. La verità su tutte le menzogne”, che anticipa già nel 2004 le fresche accuse di El Baradei agli Usa di avere voluto la guerra a tutti i costi. Blix ha raccontato la vasta campagna di menzogne messa in piedi dagli Usa e dall’Inghilterra per fare accettare all’opinione pubblica la guerra all’Iraq, a partire dalle frottole sulle “bombe atomiche irachene”, che a Washington e a Londra sapevano bene non esistevano neppure come semplice ipotesi.

Così come Blix sapeva invece bene che a cercare verità scomode si rischia: tant’è che per per scrivere il suo libro non ha mai usato il computer, non ne inviava pezzi servendosi delle e-mail o della posta ordinaria e non ha mai spedito nulla neppure all’editore. Man mano che accumulava pagine scritte a mano, Blix le consegnava periodicamente a suo figlio Marten ogni volta che tornava a casa in Svezia, ed era Marten a curare in gran segreto i rapporti con l’editore. Precauzioni niente affatto eccessive: il vecchio capo degli ispettori dell’IAEA, l’australiano Richard Butler, ha rivelato in seguito che i servizi segreti di Stati Uniti, Inghilterra e Francia spiavano Blix e ne intercettavano le informazioni, pronti a diffamarlo per metterlo fuori gioco se avessero sospettato che stava preparando un libro sulla “fabbrica del fango” messa in piedi per giustificare l’invasione dell’Iraq.

Il silenzio sul libro di El Baradei è ancor più grave e imbarazzante alla luce del fatto che il premio Nobel per la pace è il possibile successore di Mubarak, in un Egitto che vorrebbe approdare a una democrazia degna del nome e liberarsi delle pastoie da regime corrotto troppo prono verso l’Occidente in generale. Ed è un silenzio che contrasta vistosamente con il baccano delle notizie che fin dal primo istante hanno accompagnato invece la “rivoluzione libica”. Che ormai, a due mesi dal suo inizio, mostra di essere non una rivolta di masse assetate di democrazia, bensì una ribellione circoscritta, preparata e armata dalla Francia e dall’Inghilterra timorose che dopo i rivolgimenti tunisini ed egiziani il “vento arabo”, arrivato perfino nel Barhein, mettesse a repentaglio i loro rifornimenti petroliferi. La cartina di tornasole di come stiano in realtà le cose in Libia la si può vedere in un particolare: a differenza di quanto accaduto al Cairo e a Tunisi, nelle immagini dei rivoltosi non c’è mai neppure una donna. Per non parlare del fatto che in tutti i video e in tutte le foto i rivoltosi appaiono sempre singoli o in gruppi piccolissimi, per giunta fin dall’inizio dotati di armi pesanti, cosa piuttosto strana per una “rivoluzione” spontanea.

Riguardo il futuro della Libia, e forse non solo della Libia, c’è un precedente che può aiutarci a intuirlo: è il caso dell’ex Jugoslavia. A suo tempo la Jugoslavia è stata fatta saltare ed è stata frantumata per iniziativa e interesse economico della Germania, che tramite l’Austria cominciò ad armare i primi rivoltosi. Una Libia frantumata in almeno due Stati per iniziativa e interesse dei francesi e degli inglesi è al momento l’ipotesi più probabile, specie se Gheddafi e le tribù che lo sostengono dovessero restare dove sono. Gli Usa si aggregano, pur tentennando, cercano di barcamenarsi perché non è affatto chiaro dove andranno a finire le varie rivolte che investono il mondo arabo, dal Marocco allo Yemen, dall’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti: non è affatto certo che gli attuali regimi filo occidentali verranno sostituiti da altri regimi altrettanto filo occidentali, per giunta, si spera, decisamente più democratici.

Gli Usa tentennano anche perché l’appoggio concesso subito alla rivolta egiziana ha indispettito e preoccupato la monarchia retriva al potere in Arabia Saudita, timorosa che la Casa Bianca possa appoggiare il “vento arabo” anche a Riad. Sono vari i motivi per cui gli Usa non possono certo rischiare di perdere l’alleanza con il regno saudita: 1) si tratta del centro della cassaforte petrolifera mediorientale, che è la più ricca del mondo; 2) è il bastione sul quale si appoggia la formidabile presenza militare statunitense in Medio Oriente, bastione con un occhio verso la Cina; 3) permette il controllo marittimo dello stretto di Hormuz, vale a dire del flusso continuo di petroliere che partono dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Iran per alimentare l’Occidente: 4) si tratta, infine, di un alleato da qualche tempo pericolosamente in bilico già di suo.

Questo stallo minaccioso, puzzle di non facile soluzione, spiega lo strano silenzio sul libro di El Baradei. Ma spiega anche perché sulla “rivoluzione libica” è circolata subito – e circola ancora – una informazione giornalistica molto condizionata, vettore più di desideri scambiati per realtà che di notizie.

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