X

No al bavaglio, sì al teleobiettivo indiscreto

di Warsamé Dini Casali |28 Novembre 2011 11:41

Il premier Monti con il "pizzino" di Enrico Letta

ROMA – Per capire perché in Parlamento si è ormai arrivati all’assurdo bavaglio ai teleobiettivi dei fotoreporter è bene ricordare un paio di altri bigliettini, più o meno imbarazzanti, intercettati in aula dai fotografi prima di quello che ha scatenato il casus belli sfociato nel diktat bavaglio al “tele”. Prima cioè del bigliettino dal tono confidenziale, firmato col solo nome, dando del tu e chiamandolo per nome e non per cognome, inviato da Enrico Letta al neo premier Mario Monti anche per conto del segretario del PD Pierluigi Bersani per segnalare il desiderio del partito di appoggiare il governo magari in cambio di qualche sottosegretario.

Il primo “pizzino” è dell’8 maggio 2008, non parlava però di sottosegretari né di politica e partiti, semmai si prestava a letture un po’ piccanti. Il mittente era l’allora capo del governo Silvio Berlusconi. Destinatarie, poco prima del voto di fiducia al governo, Nunzia e Gabri, due belle e giovanissime deputate del cosiddetto Partito delle Libertà. Una è sicuramente Nunzia Di Ge Girolamo, ribattezzata la “Carfagna del Sannio”, mentre Gabri è molto probabilmente il diminutivo di Gabriella Giammanco, ex giornalista del Tg4, cioè di una rete televisiva di proprietà privata dello stesso Berlusconi. Come che sia, Nunzia e Gabri rispondono al volo con un altro bigliettino, anch’esso implacabilmente intercettato dai teleobiettivi dei fotografi.

Ecco il testo, vagamente galante, vergato dall’ormai ex premier: “…Nunzia, state molto bene insieme! Grazie per restare qui, ma non è necessario. Se avete qualche invito galante per colazione, Vi autorizzo [sottolineato] ad andarvene! Molti baci a tutte e due !!! Il “Vostro” presidente”. Inutile sottolineare l’aggettivo possessivo “Vostro”, rimarcato a bella posta dallo stesso mittente. Il testo è scritto su carta da lettere della Camera dei Deputati. Ed ecco l’istruttiva risposta delle due giovani bellone, che rendendosi conto dell’insidia dei fotografi cercano di nasconderne il contenuto: “Caro…[forse c’è scritto “dolce presidente”] gli inviti galanti li accettiamo solo da lei. E poi per noi è un piacere essere….”. Il resto del testo non si legge.

Con questo link si può rileggere l’intera vicenda, e vedere le foto di “Nunzia e Gabri”, oltre al magro curriculum della prima: http://ffz.leonardo.it/lofi/On-Gabriella-Giammanco-PdL-/D7517482.html. Come si vede, il colpo di fortuna che ha portato la “Carfagna del Sannio” è stato avere regalato una bambola di pezza al padrone del suo partito in occasione di un comizio a Napoli nel dicembre 2007.

Prima del “pizzino” di Letta a Monti, che ha pure commesso l’ingenuità di mostrarlo ben bene e quindi di renderlo leggibilissimo, c’è stato il bigliettino sul quale lo scorso 18 novembre sempre Berlusconi, e sempre in occasione di un voto di fiducia, inviperito per un risultato più magro del previsto ha scritto “(308) 8 traditori” sulla prima riga, annotando poi sulle altre:

– “ribaltone” alla seconda riga;

– “Voto” nella terza;

– “prendo atto (rassegni le dimissioni)” nella quarta;

– “presidente Repubblica” nella quinta;

– “una soluzione” nella sesta;

– “Muoviamoci” nella settima ed ultima riga.

Come si vede, non c’è stato nessun attentato alla privacy né al buon funzionamento del Parlamento e nemmeno c’è stata divulgazione di segreti politici o militari o d’altro rilevante stampo. Ha quindi ragione il segretario generale della Federazione della Stampa Italiana (FNSI), Franco Siddi, quando ha stigmatizzato il divieto ai teleobiettivi indiscreti. Queste le parole di Siddi: “E’ incredibile ed inaccettabile la declinazione oscurantista del testo del modulo presentato ai colleghi fotoreporter dalla Camera dei deputati per ottenere l’autorizzazione ad accedere alla tribuna stampa. Diciamolo chiaramente: queste sono delle vere e proprie censure assolutamente improponibili. Il Parlamento è un luogo pubblico per eccellenza e quando la sua attività è in seduta aperta non può certo essere soggetta a forme di controllo come quelle messe nero su bianco sul modulo. I fotoreporter sono cronisti come tutti noi. E’ veramente inquietante la suscettibilità di quei parlamentari che si spingono a voler impedire l’attività professionale di chi fa informazione”.

Ecco, il problema è (anche) che i fotografi sono dei fotoreporter, cioè dei reporter, vale a dire dei giornalisti, che “riportano” con singole immagini anziché con le parole. E quindi prendere a pedate o intimidire un fotografo accreditato alla Camera o al Senato equivale a prendere a pedate o intimidire un giornalista professionista parimenti accreditato. Anzi, peggio. I giornalisti accreditati in Parlamento sono infatti di solito stipendiati, e ben stipendiati, con regolare contratto, mentre i fotografi di norma sono pagati a singolo fotogramma venduto ai giornali.

Se vogliamo dirla tutta, non ce lo vediamo il governo che imbavaglia giornalisti e operatori della Rai o delle reti Mediaset anche se le loro telecamere fossero dotate, come è giusto che sia, di teleobiettivi formidabili, da 007. Perché gli stipendiati della Rai e di Mediaset no e i fotografi, precari pagati a pezzo, invece sì? Il problema temo sia in realtà un altro. Non sono pochi i parlamentari che soprattutto da quando esistono gli iPad, detti anche tablet, passano il tempo tra i banchi guardando siti porno. Lo facevano anche quando esistevano solo i computer portatili, più ingombranti e pesanti degli iPad.

E’ evidente che chi si diletta di questi passatempi ha tutto l’interesse a non essere “spiato” dai fotografi. Ma che c’entra tutto ciò con l’attività parlamentare e con la discrezione della quale è bene che gli onorevoli diano prova prima di pretenderla, per giunta in modo autoritario, dal pubblico e dai giornalisti? Il pubblico e i giornalisti devono cioè essere “non vedenti” o almeno miopi? Ma allora che razza di pubblico e giornalisti e fotoreporter sarebbero? Meri propagandisti e pubblicitari dei riti interni all’aula?

E poi francamente c’è un altro problema, del quale si parla troppo poco: tra gli eletti al Senato e alla Camera ci sono decine di giornalisti, per l’esattezza 61. Dopo gli 87 avvocati, 82 “dirigenti” non meglio specificati e i 76 imprenditori, noi giornalisti siamo la categoria che ha più eletti in Parlamento. E qui le considerazioni da fare sono due. La prima è che per ognuno di essi, se contrattualizzato, l’Istituto Previdenziale dei Giornalisti (INPGI) versa di tasca propria due anni di contributi per ogni anno passato in Parlamento, come del resto la legge prevede per ogni lavoratore diventato senatore o deputato. Motivo per cui questi colleghi potrebbero dare il buon esempio, in quest’epoca di crisi tronca, rinunciando per esempio alla regalia Inpgi anche se prevista dalla legge.

Seconda considerazione da fare: è senza dubbio scandaloso che questi magnifici 61 – tra i quali figurano nomi di spicco come Walter Veltroni e Massimo D’Alema, non abbiano protestato, neppure inarcando le sopracciglia, di fronte all’attacco contro “l’invadenza” dei fotoreporter e soprattutto di fronte alla inaudita pretesa di azzoppare i teleobbiettivi. Infine: perché prendersela con i fotografi quando spesso sono gli stessi parlamentari che con i telefonini scattano foto compromettenti per avversari e nemici per poi passarle ai giornalisti né più o né meno come per i gossip e le notizie?

Mi vengono in mente gli “agguati dei fotografi” in mari esotici a personaggi famosi in situazioni matrimoniali formalmente irregolari. Alle scandalizzate proteste dei benpensanti un famoso fotografo rispose con interviste nelle quali, pur senza fare nomi, spiegava che spesso sono gli stessi personaggi famosi a voler essere “colti in flagrante”, per trarne pubblicità o per provocare finalmente rotture con consorti o altri amanti. In effetti, è pensabile che uno o più fotografi si prendano la costosa briga di raggiungere – informati da nessuno – una lontana isola esotica con la speranza di trovarci un personaggio famoso in atteggiamento compromettente?

Gli onorevoli hanno qualcosa poco onorevole da nascondere? E’ un loro diritto, ma fuori del Tempio. Se non vogliono essere colti sul fatto stiano più accorti o evitino certe cose in aula, sotto gli occhi del pubblico, fotoreporter compresi. Quello di Mario Monti sarà anche un governo di tecnici, sotto l’ottima ala del presidente della Repubblica, ma il Parlamento è e rimane un luogo pubblico. Anzi: “il” luogo pubblico per eccellenza.

Scelti per te