Primarie Pd. Renzi rottama, speranze per i giovani

di Pino Nicotri
Pubblicato il 27 Ottobre 2012 - 09:01 OLTRE 6 MESI FA

Il tormentone Matteo Renzi impazza. “Rottamiamoli!” è diventata una parola d’ordine molto diffusa, e al suo seguito va forte anche il termine “rottamatore”, ormai quasi sinonimo del “mattatore” dei tempi di Vittorio Gassman.

Avanti di questo passo la famosa frase di Catone il Censore “Carthago delenda est!” verrà riciclata in “Carthago rottamanda est!”, dove per Carthago non si intenderà più Cartagine, ma qualunque avversario si voglia colpire, a partire dai politici.

Mi ha molto sorpreso negli ultimi giorni sentirmi chiedere da non pochi giovani “Ma perché mai alle primarie del Pd non dovrei votare Renzi e dovrei invece preferirgli Bersani?”. Giovani, si noti bene, digiuni di esperienza partitica e politica, ma anche lontani dai teleschermi e dalla lettura assidua dei giornali. Come se Renzi e i suoi tormentoni sortiscano l’effetto di avvicinare i giovani ala politica. Non vorrei fare paragoni fuori luogo, ma ciò mi ricorda la figura di Sandro Pertini, che una volta eletto presidente della Repubblica diventò “il nonno degli italiani”, ridando loro fiducia nelle istituzioni troppo colpite, tanto per cambiare, da scandali.

Renzi sta diventando il fratellone degli italiani giovani?

Come che sia, il debole se non il male della politica di oggi, Renzi o non Renzi, è la mancanza in tutti di quella che una volta si chiamava “analisi delle classi”, o se preferite analisi della struttura produttiva e della composizione sociale italiana.

Parlare ormai sempre e solo di giovani, vecchi, donne, con annesse quote rosa, extracomunitari, onesti, ladri, et similia, sta riducendo la politica a una questione anagrafica e moralista, diffondendo la strana e pericolosa illusione che chi è onesto, chi è giovane e chi magari è anche donna sappia fare politica meglio degli altri. Il che equivale a dire che per vincere una guerra o una battaglia basta dare il comando a un generale onesto e giovane anziché a uno che ha dimostrato di saper fare il suo mestiere tanto da poter essere comunque capace di vincere.

Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Nicole Minetti, Renzo Bossi detto Il Trota, Roberto Speroni e i leghisti in generale sono tutti giovani e giovanissimi, le prime tre sono anche donne e anche belle: ma hanno saputo e sanno fare politica, ove per politica si intende l’interesse generale non dipende né dalla loro età né dal sesso.

Quando “scese in campo”, Silvio Berlusconi aveva 57 anni: dati i tempi, lo si poteva considerare sia ancora giovane sia abbastanza maturo, inoltre aveva anche una molto robusta storia imprenditoriale alle spalle, per giunta di tipo innovativo visto che era il creatore della tv privata in Italia e di una intera città satellite come Milano 2.

Ma è stato capace di fare politica, nel senso di curare gli interessi generali, o anche solo di una classe, della società italiana e di risolverne i problemi anche di struttura?

Li ha invece aggravati privilegiando i propri personali interessi.

Per carità, non dico certo che i politici debbano essere disonesti o che non ha importanza se lo sono. Dico però che fissarci pressoché esclusivamente su questo aspetto è pericoloso. Alla lunga si alimenta il livore populista e il giustizialismo, quando il vero problema è la mancanza di programmi degni di questo nome.

Se esistessero, la corruzione non sarebbe ai livelli cui è arrivata, non sarebbe cioè patologica, ma fisiologica. Del tipo, vale a dire, che “chi va al molino si infarina”, ma non del tipo che ci si porta a casa intere vagonate di sacchi di farina altrui e magari anche una pala del molino, come troppo spesso accade oggi.

Quando andiamo dal dentista o dal cardiologo o portiamo un figlio dal pediatra o – toccando ferro – ci dobbiamo affidare a un chirurgo: l’importante è che ci risolvano i problemi di salute, se poi nella vita privata sono criticabili la cosa non ci interessa di sicuro. Gli attori, i cantanti e le star in genere sono spesso esempio, se non sinonimo, di vite private molto ma molto criticabili, ma ciò che chiediamo loro non è certo il certificato di buona condotta.

Il fatto che invece si badi ormai – di fatto – più alla simpatia che alla capacità di un politico, più al suo modo di saper stare in pubblico e intrattenerci che alla sostanza di ciò che dice e propone, significa che una certa idea idealizzata della politica è finita.

Che per un politico l’immagine sia importante è cosa teorizzata e praticata fin dagli anni ’80, quando la politica e i politici cominciarono ad essere pubblicizzati come un dentifricio. Ma c’erano anche i programmi, tra loro magari molto diversi e antagonisti, ma più o meno tutti basati su una discreta conoscenza della realtà: vale a dire, della struttura produttiva e della composizione sociale italiana. Cose che oggi invece pare interessino solo l’Istat e il sociologo Giuseppe De Rita.

Anche negli Usa le elezioni presidenziali si giocano molto sull’appeal personale, però i candidati presidenziali devono affrontarsi in tre confronti televisivi diretti che non sono né BallaròPorta a porta, ma una lotta serrata necessaria per far capire agli elettori e a tutti i cittadini non solo i caratteri personali dei candidati e se hanno o no sufficiente appeal, ma anche e soprattutto quali sono i loro programmi e in cosa questi si differenziano.

 

Che sia un caso o no, che ci sia o no lo zampino del Cavalier Silvio, sta di fatto che Matteo Renzi ha ottimi curatori della sua immagine, incluso quel Giorgio Gori della scuola del Berlusconi dei tempi, per lui, d’oro. Quando tutti, a sinistra, compreso Eugenio Scalfari, erano convinti che Achille Occhetto avrebbe portato la sinistra al governo bastò un confronto televisivo con Berlusconi per ribaltare il tavolo.

Renzi ha ottimi creatori di immagine, ma sta anche di fatto che Pierluigi Bersani ha non solo l’immagine piuttosto datata e un po’ frustra, ma – anche lui – programmi che non brillano per chiarezza e robustezza conservativa o innovativa. Idem i vari Veltroni, D’Alema, Fini, e compagnia bella, la cui credibilità ha fatto un po’ di muffa. Squadra che vince non si cambia, ma qui siamo in presenza di interi squadroni, a destra come a sinistra e al centro, che oltre a lucrare in proprio perdono o meglio ci fanno perdere da un bel pezzo.

Ecco perché vanno cambiati. Che poi andranno cambiati in meglio o no è tutto da vedere.

La Storia dimostra che nei casi come il nostro, cioè per uscire dall’eterno guado, diventato ormai la palude dell’incapacità e della corruzione dilaganti, e per tirarsi fuori dalla crisi motivazionale dilagata, spesso c’è bisogno più di eroi che di Renzi e rottamatori vari. In epoche di sbandamenti dovuti a grande mancanza di valori comuni si tende a recuperare il senso della vita tuffandosi in azioni che suscitano ammirazione e desiderio di imitazione. Eroi, appunto.