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Zingari: nel Giorno della Memoria si ricordi il milione sterminato da Hitler

di Pino Nicotri |7 Maggio 2018 13:32

Zingari: nel Giorno della Memoria si ricordi il milione sterminato da Hitler (Foto Ansa)

Zingari: nel Giorno della Memoria si ricordi il milione sterminato da Hitler (Foto Ansa)

In Germania è stato inaugurato solennemente a Berlino sei anni fa, il 24 ottobre 2012, dal capo dello Stato, dal cancelliere Angela Merkel e dal musicista rom abruzzese Alexian Santino Spinelli, autore della poesia intitolata Aushwitz scolpita su una parete.

Quest’anno  anche l’Italia avrà finalmente il suo monumento per ricordare dopo 70 anni il genocidio nazista dei rom e sinti, chiamati ancora oggi sbrigativamente “zingari”. Verrà inaugurato il 5 ottobre, dopodiché verrà poi chiesto al presidente della Repubblica di modificare il Giorno della Memoria, istituito per ricordare ogni 27 aprile solo ed esclusivamente la Shoà, il genocidio nazista degli ebrei: verrà cioè chiesto di inserirvi anche quello subìto dagli “zingari” con un numero di vittime forse superiore a un milione: secondo la Chiesa, nelle camere a gas ci sono finiti  in 400-600 mila, ma secondo il poliedrico intellettuale ebreo Salomone “Moni” Ovadia si tratta probabilmente del doppio.
A spiegare il perché di tale diversità delle cifre provvede l’attrice teatrale Dijana Pavlovic, rom di origine serba, scelta come portavoce di tutte le associazioni aderenti all’iniziativa per il monumento e come madrina dell’inaugurazione:
“Molto spesso non solo in Serbia i rom e i sinti erano uccisi a mitragliate per strada, solitamente a gruppi di 10, oppure a bastonate o con altri atti di violenza, delitti non rilevati, registrati e conteggiati quindi da nessuna parte all’epoca e in seguito difficili o impossibili da ricostruire”.
Dijana Pavlovic aggiunge: “Dovremmo contare, tra le altre, le vittime fatte dalla “civilissima Svizzera”, che nel 1926 sulla pelle di bambini sottratti alle famiglie ha inaugurato l’elettroshock per “estirpare il gene del nomadismo”. Una pratica abominevole che è andata avanti per mezzo secolo, la Svizzera infatti l’ha smessa solo nel 1976. Emblematico il caso della nomade ienish Mariella Mehr, torturata con l’elettroshock fin dall’età di nove anni, oltre che violentata nelle “cliniche” dove gli svizzeri praticavano quella cura. Mariella ha scritto un libro su quel suo calvario. Che io ho voluto ricordare con una lettura spettacolo”.
Riferendosi alla lunga pratica svizzera qualche anno fa lo storico Adriano Prosperi mi ha detto:
“Calunniamo gli “zingari” anche inventando che rubano i bambini per usarli nel chiedere l’elemosina, quando invece siamo noi che rubiamo i loro sottraendoli d’autorità alle famiglie, come ha fatto per decenni la Svizzera”.
Eppure di questo olocausto ignoriamo tutto, perfino il nome: nella loro lingua,  il romanì, i rom e i sinti lo chiamano Samudaripen, che significa Tutti Morti,  o anche Porrajmos, che significa Devastazione, Grande Divoramento. Ma andiamo per ordine.
Il comitato organizzatore, fondato dal citato musicista, musicologo, docente e direttore d’orchestra Alexian Santino Spinelli,  ha iniziato la raccolta dei fondi un mese fa e domenica 29 aprile ha firmato il contratto con lo scultore Tonino Santeunasio, allievo di Pietro Cascella e nel suo studio milanese per 15 anni, per un monumento in marmo alto quattro metri compreso il basamento: rappresenterà  una dolente donna “zingara” con in braccio un bambino e con a fianco la ruota da carro simbolo della sua gente. L’inaugurazione è prevista per le ore 11 del 5 ottobre a Lanciano, in Abruzzo, nel Parco delle Memorie: il monumento verrà innalzato proprio di fronte a Villa Sorge, dove i nazifascisti avevano allestito il campo di internamento di ebrei e “zingari”, non pochi dei quali sono stati poi massacrati nei campi di sterminio in Germania.  In omaggio ai partigiani della Brigata della Maiella, che agivano nella regione, il monumento verrà scolpito nel marmo omonimo.
Il giorno prima dell’inaugurazione Santino Spinelli all’Università di Pescara terrà un dibattito con cinque intellettuali italiani e cinque docenti universitari rom e sinti europei per porre la basi di quella che provvisoriamente chiama Carta sul Samudaripen e che consisterà di fatto nel raccoglierne in modo organico, scientifico e definitivo l’intera storia. Santino Spinelli ha le idee chiare:
“Con in mano la Carta sul Samudaripen chiederò di essere ricevuto dal presidente della Repubblica, Mattarella, l’unico tra le autorità istituzionali di rilievo che ha avuto il coraggio e la civiltà di citare con una apposita dichiarazione il nostro genocidio. Lui ha usato la parola Porrajmos”.
Quando lo ha fatto?
“Lo scorso 8 aprile, in occasione della Giornata Internazionale dei Rom, Sinti e Camminanti, che sono una diramazione siciliana. L’8 aprile ricorre l’anniversario del primo Congresso Mondiale del Popolo Rom, tenuto a Londra nel 1971. In quel’occasione nacque la Romani Union, prima associazione mondiale dei rom, riconosciuta dall’ONU nel 1979”.
Cosa dirà a Mattarella al Quirinale?
“Gli chiederò di emendare la Giornata della Memoria dalla grave dimenticanza del genocidio patito dal mio popolo. La Giornata è stata istituita in base alla risoluzione 60/7 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005. La data del 27 febbraio è stata scelta dall’Onu perché è il giorno in cui i russi liberarono i campi di concentramento nazisti ponendo così fine ai genocidi, compreso il nostro. Chiederò al presidente della Repubblica di completare intanto in Italia il documento che ha istituito la Giornata aggiungendo alla Shoà il Samudaripen-Porrajmos.  Insomma, una Memoria più completa, non mutilata”.
Il Memoriale di Berlino si trova proprio dietro al palazzo del Parlamento incendiato da Hitler nel 1933, al centro della città, vicino al Memoriale della Shoà degli ebrei. Ricordando con commozione e orgoglio quell’inaugurazione, Spinelli aggiunge con foga:
“A cosa serve oggi la Giornata della Memoria se la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica non sa cos’è il Samudaripen o Porrajomos e se si accetta oggi contro di noi la stessa discriminazione dei nazifascisti? A cosa serve se si accettano i Campi Nomadi,  retaggio della cultura concentrazionaria nazifascista? Bisogna forse aspettare i russi e gli americani per liberarli? La gente non sa neppure che partigiani rom e sinti hanno partecipato alla guerra di Liberazione, eroi anche loro totalmente dimenticati. Li cito tutti, e a loro ho dedicato una poesia, nel mio ultimo libro “Rom, questi sconosciuti”, edito nel 2016 da Mimesis”.
Altra cosa poco nota è che in Italia esistevano campi di ”raccolta” di rom e sinti. Spinelli, che ha avuto 26 familiari deportati, compreso il padre che aveva 5 anni,  ne cita qualcuno:
“Il campo di concentramento di Agnone nel Molise,  i campi di internamento come Vinchiaturo, Casacalenda, Boiano in Molise o Tossicia in Abruzzo, ma anche in Sardegna, alle Isole Tremiti e in Emilia Romagna, Bolzano, Ferramonti di Tarsia (Cosenza), Colfiorito (Perugia), Castel Tesino (Trento), Novi Ligure (Alessandria), Gonars, Visco (Udine). Dopo il 1942 iniziarono ad essere deportati in Germania e Polonia nei campi di sterminio con convogli che partivano da Bolzano e da Venezia. I deportati erano contraddistini da un triangolo di stoffa cucito sul petto della divisa di prigionieri”.
Il 2 giugno 2012 Spinelli ha cantato il Murdevele (Padre Nostro in lingua romanì) per Papa Benedetto XVI a Bresso, provincia di Milano, in occasione della Giornata Mondiale della Famiglia, davanti a 800 mila persone e in mondovisione. Il 10 maggio 2014 ha eseguito tre sue composizioni per Papa Francesco sul sagrato di San Pietro davanti a 300 mila persone e in diretta su Rai 1.
Instancabile e votato alla causa di una Memoria non monca, l’11 aprile a Mersin in Turchia ha inaugurato l’Eurasian Network of Romanì Scholars, il primo network al mondo formato da intellettuali e professori universitari rom. Ed è su questo network che conta per mettere a punto la Carta sul Samudaripen.
Spinelli vuole anche combattere i pregiudizi citando nomi famosi:
“Come non si può dire che tutti gli italiani sono mafiosi o camorristi, affiliati della mala pugliese o calabrese, così non si può dire che tutti i rom e sinti sono ladri. Era “zingaro”, per l’esattezza un romanichal, il grande Charlie Chaplin, mentre il famoso chitarrista  belga Django Reinhardt era un manouche. Rita Haiworth era una cali spagnola, nipote del grande danzatore Antonio Cansino. Il famoso attore Yul Brynner era rom da parte di madre, Elvis Presley era di origine sinta. Sono innumerevoli le personalità appartenenti alla popolazione romanì, anche un presidente della Repubblica del Brasile e il Premio Nobel per la Medicina del 1920, il danese Schack August Steenberg Krogh. Sono dei nostri anche il calciatore Ibrahimovic  e la stilista Concetta Sarachelli, promessa del made in Italy nota come Sara Cetty
Quanti siete in Italia?
“Circa 170 mila persone. Di questi,  70 mila sono sfruttati e tenuti nei campi nomadi, dei quali ho chiesto la chiusura, che arricchiscono chi li gestisce e chi li ha voluti. Più di metà della nostra comunità è composta da cittadini italiani che vivono in normalissime case e sono di antico insediamento. Il loro arrivo risale al 1400. Da non si sa quanto tempo la nostra comunità della Calabria il 26 settembre festeggia con una processione, musica, danze e canti i santi medici Cosma e Damiano del santuario di Riace ritenendoli i propri santi protettori.
Ci sono rom attori, assicuratori, calciatori, operai, dipendenti comunali, vigili urbani, ragionieri di banca, infermieri, operatori circensi, giostrai, registi, insegnanti, albergatori, ristoratori, commercianti, e tanto altro”.
E in Europa? Risponde la signora Dijana:
“Venti anni fa eravamo più di 12 milioni. Quindi si può stimare che oggi saremo almeno 17-18 milioni. Non proprio una cifra irrilevante. E visto che si cita l’Europa, siamo stati i primi ad avere fatto dell’intera Europa la nostra casa.  Lo ha riconosciuto Papa Ratzinger l’11 giugno 2011 quando nell’auditorium del Vaticano incontrando nostri rappresentanti ha messo in risalto anche un nostro grande merito: “Siete un popolo che nei secoli passati non ha vissuto ideologie nazionaliste, non ha aspirato a possedere una terra o a dominare altre genti””.
Finora nessuno ha non solo posto, ma neppure semplicemente pensato alla questione degli eventuali risarcimenti. La Germania infatti in varie occasioni ha risarcito i familiari di vittime della Shoà, tanto che ci sono anche stati casi clamorosi di truffe. Non si vede quindi per quale motivo non debba farlo anche con quelli delle vittime del Samudaripen-Porrajmos. Non si vede inoltre perché mai la Svizzera non debba a sua volta risarcire i familiari delle sue vittime e i sopravvissuti alle sue “cure mediche” contro il “gene del nomadismo”.
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