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Bell’Italia: Salerno i fischi al vescovo, Roma gli applausi all’omicida

di Alberto Francavilla |22 Settembre 2014 15:29

L’omicidio a Tor Pignattara (foto Ansa)

ROMA – Servirebbe forse, per descrivere lo strano Paese in cui viviamo, la penna di uno come Gianni Rodari. Dalla sua fantasia è nato infatti quello strano e divertente mondo che lo scrittore piemontese racchiuse nel nome di “mondo alla rovescia”, dove tutto accadeva al contrario. E ricorda l’Italia di oggi proprio quel mondo, seppur in modo decisamente meno divertente.

Sono cronache di questi gironi i fischi al vescovo e gli applausi all’omicida, i primi a Salerno ed i secondi a Roma. I fischi il vescovo se li è beccati perché ha invano tentato una processione per il santo protettore di salerno, Matteo, senza soste e inchini molto terreni. Ha provato il vescovo a far rispettare le indicazioni della Chiesa. E’ rimasto più o meno solo, attraverso quei fischi ha scoperto l’acqua tiepida e pur ustionante di una religiosità soprattutto al sud d’Italia molto più pagana che cristiana, molto più terrena e terrigna, legata alla terra e ai suoi interessi. Interessi più forti di ogni indicazione pastorale. Ha scoperto che la liturgia la fanno quelli delle paranze e non i preti. Si sapeva, è così da secoli, il vescovo a salerno ci ha sbattuto la faccia.

 

“È l’ammutinamento delle paranze. Ignorano gli ordini del vescovo, della Chiesa, e fanno di testa loro. Tra statue di santi che cambiano percorso o che vengono adagiate a terra per protesta. Tra fischi al vescovo e cori da stadio. Scene che costringono il prefetto, indignata, ad abbandonare la processione del Santo patrono”.

E’ questo l’incipit della cronaca che il Mattino fa dei fatti di Salerno. Dove il vescovo, adeguandosi a quelle che sono le indicazioni della Chiesa varate per cercare di mettere la parola fine all’indecente spettacolo delle processioni religiose che rendono omaggio a capimafia e personaggi di dubbio valore, ha, anzi aveva imposto un percorso “lineare” alle statue dei santi e, ovviamente, dei loro portatori. Non l’avesse mai fatto. A Salerno è andata in scena una sorta di rivolta popolare. Con i portatori che prima non volevano proprio far partire la processione e, solo dopo una lunga e dura trattativa, hanno accettato di muoversi. Ma a modo loro. Le statue si sono infatti fermate e hanno reso i loro vari omaggi, disobbedendo agli ordini del vescovo che, mentre le statue indugiavano, proseguiva nella sua processione divenuta solitaria, tra i fischi dei presenti. Fischi proseguiti anche durante la messa finale.

Contemporaneamente, appena qualche centinaio di chilometri più a nord, a Roma, zona Tor Pignattara, andava in scena la solidarietà all’assassino. E non a colui che avesse ucciso il “mostro” che rapiva, torturava, violentava ed uccideva poveri innocenti. Ma al ragazzo di 17 anni che ha ucciso, poniamo anche non volendo, un clochard extracomuitario ubriaco reo di avergli sputato. “Gli ho dato un pugno solo”, si è giustificato il ragazzo con i carabinieri. Una giustificazione più che sposata dalla sua comunità di quartiere che ha tappezzato la zona con manifesti in sua difesa e solidarietà.

“Il luogo in cui Khan Muhamad Shanzad si è accasciato a terra – scrive il Messaggero -, morendo sotto gli occhi del suo aggressore, dista due dozzine di passi. ‘Era ubriaco e molestava i passanti. Mi ha sputato e io gli ho dato un pugno, solo uno’, ha raccontato il ragazzino ai carabinieri’. A chi sta dalla sua parte basta questo. Siamo nella periferia di Roma con il più alto tasso di extracomunitari, dove la convivenza pacifica e quotidiane storie di integrazione (è qui che un gruppo di mamme arrabbiate ha impedito un comizio anti-immigrati del leghista Borghezio) si intrecciano con diffidenze, razzismo e fatti di cronaca nera che si susseguono con regolare cadenza. Noi e loro, Daniel e quel pakistano su di giri che infastidiva i passanti. La dicotomia è radicale. E così, parlando con alcuni residenti, si scopre che la sera dell’omicidio, in via Lodovico Pavoni, erano in tanti affacciati alle finestre, richiamati dal trambusto della rissa. Il tempo di capire che ‘il pakistano c’era rimasto secco’ ed è calato il silenzio. Chi ha chiamato i carabinieri si è sentito urlare contro di farsi i fatti suoi, si è beccato dell’infame per aver avvertito ”e guardie’. Perché nella mentalità del noi e loro lo straniero si è preso solo un po’ di botte e il fatto che sia morto altro non è che un incidente di percorso. ‘Quello’ avrebbe dovuto risvegliarsi nel letto suo, con un occhio gonfio, qualche dolore e festa finita. Invece le cose sono andate diversamente”.

E non distante nel tempo è la storia del carabiniere che ha sparato, involontariamente a suo dire, uccidendo un ragazzino napoletano che, in tre su un motorino, secondo i militari in compagnia di un latitante, non si era fermato ad un posto di blocco. Lui, il carabiniere, a prescindere da come si siano svolti i fatti, è per una buona fetta di questo Paese peggio che un assassino: un infame. Eppure, buona parte di questo stesso Paese, incensa come eroi i marò. Altri due militari, evidentemente vittime di un’ingiustizia, è infatti intollerabile che siano da circa due anni trattenuti in India senza processo, ma protagonisti di una storia non molto diversa da quella napoletana. Anche loro infatti hanno ucciso, e loro sparando volontariamente, due innocenti scambiati per pirati. Loro eroi, l’altro infame.

Qualche volta le favole / succedono all’incontrario / e allora è un disastro: / Biancaneve bastona sulla testa / i nani della foresta, / la Bella Addormentata non si addormenta, / il principe sposa / una brutta sorellastra, / la matrigna tutta contenta, / e la povera Cenerentola / resta zitella e fa / la guardia alla pentola.

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