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Qualcosa di sinistra da…Obama! “Toccare” Wall Street, nei soldi

di Alessandro Avico |7 Febbraio 2013 16:25

ROMA – Semplici opinioni. Su questo alquanto fragile assunto si basa la difesa delle agenzie di rating. I loro giudizi, i loro voti sarebbero soltanto delle opinioni e le decisioni prese sulla base di queste non sarebbero in alcun modo a loro imputabili. Una difesa che dal dibattito dovrà ora, almeno negli Stati Uniti, traslocare in tribunale. L’amministrazione Obama ha infatti chiesto un maxi risarcimento, 5 miliardi di dollari, ad una delle tre sorelle del rating, Standard&Poor’s, per la crisi innescata dalle loro “opinioni” rivelatesi clamorosamente sbagliate. Una decisione bollata come “socialista” dalla destra americana ma una mossa che in Europa nemmeno osiamo sognare. Eppure, come concordano tutti, il mercato, l’universo del rating, ormai imprescindibile in economia e caratterizzato da profondi e inquietanti conflitti d’interesse, necessiterebbe come minimo di una profonda revisione normativa.

La decisione del presidente Barack Obama di portare in tribunale Standard&Poor’s è un atto quasi dovuto dopo che varie inchieste ufficiali avevano messo in evidenza le responsabilità delle agenzie di rating nella grande bolla del credito che ha generato la crisi finanziaria. Eppure la destra a stelle e strisce ha bollato l’iniziativa come socialista e l’Europa, che pure della stessa crisi e dalle stesse responsabilità è vittima, è ben lontana anche solo dal pensare di intraprendere una simile strada. E’ probabile che la cronaca d’oltreoceano avrà i suoi riflessi anche nella vecchia Europa. Se S&P sarà condannata, se dopo di lei anche le altre sorelle Moody’s e Fitch saranno chiamate a rispondere del loro operato davanti ai magistrati, l’onda lunga di questi fatti arriverà anche da noi ma, almeno per il momento, nessuno al di qua dell’Atlantico ha anche solo ipotizzato di chiedere i danni alle agenzie di rating.

Nonostante di rating e agenzie spesso si parli, è forse opportuno tentare di spiegare in parole povere cosa questi termini indichino. Le società in questione forniscono opinioni, secondo il loro modo di vedere, e giudizi vincolanti, nella realtà dei mercati, sull’affidabilità di titoli, obbligazioni e quant’altro. Un giudizio che è nei fatti vincolante perché molte istituzioni, moltissimi soggetti finanziari, sono obbligati per legge o statuto a seconda dei casi ad indirizzare i loro investimenti solo ed esclusivamente sulla base dei voti dati da queste agenzie. Se i voti in questione sono però manipolati o falsati, se il giudizio e il rating non corrisponde cioè alla reale bontà dell’oggetto esaminato, è facile comprendere come molti investimenti possano essere indirizzati verso strade pericolose e sbagliate.

E proprio una situazione simile ha generato l’ultima grande crisi finanziaria che sul mondo si è abbattuta. S&P, Moddy’s e Fitch avevano assegnato la tripla A, il massimo dei voti, ad una serie di titoli che si sono rivelati spazzatura. E tutti coloro che in quei titoli avevano investito si sono ritrovati in mano della carta straccia. Sbagliare è umano, certo. Solo se lo sbaglio è però in buona fede. Il sospetto, e anche qualcosa in più, è che l’errore non sia stato fatto in buona fede. Anzi. Ecco la ratio della richiesta danni dell’amministrazione Usa. All’origine dello sbaglio ci sarebbero i profondi e clamorosi conflitti d’interesse che coinvolgono le agenzie di rating. Spiega il Sole24Ore:

“Gran parte delle argomentazioni contenute nella denuncia fanno riferimento esplicito a problemi generali, come i conflitti di interessi, che sono sempre più gravi nelle banche di oggi. La commissione istituita dal governo (Financial crisis inquiry commission, Fcic) era stata molto severa: aveva affermato testualmente che ‘le criticità delle agenzie di rating sono state un ingranaggio essenziale del meccanismo di distruzione finanziaria’. Nella sua analisi del caso Moody’s aveva ricordato che nel 2008 la valanga dei downgrading a ripetizione aveva portato dallo stato di investment grade a quello di spazzatura il 76% per cento delle emissioni di due anni prima e l’89% di quelle del 2007. Valori che non possono in alcun modo essere giustificati solo da fattori eccezionali e non prevedibili al momento in cui il giudizio era stato dato. Il motivo fondamentale era che nell’ansia di garantirsi commissioni di tutto rispetto e di non perdere quote di mercato, le agenzie erano più che disponibili a compiacere i clienti emettendo giudizi favorevoli e dispensando a piene mani l’agognata tripla A”.

Del rating non si può però fare a meno. Senza questo i fondi, le compagnie di assicurazione, i gestori patrimoniali e i risparmiatori non dotati di un ufficio studi proprio, in grado di analizzare indipendentemente il merito di credito dell’emittente di bond, non potrebbero fare acquisti. Ecco perché Wall Street prevede che le due agenzie quotate in Borsa, Moody e S&P, sfornino bilanci 2012 con un buon utile per via del loro fiorente business: i collocamenti dei bond societari e bancari, i prestiti subordinati, le cartolarizzazioni e i covered bond hanno ripreso quasi a ritmi pre-crisi. D’altronde, senza il corredo di due rating, le banche non possono usare i bond come collaterale per i pronti contro termine con la Bce. A distanza di sei anni dalla crisi dei subprime le tre sorelle e le loro “opinioni” continuano quindi a giocare un ruolo fondamentale nei mercati e nel funzionamento delle regole di base di questi.

Contribuiscono alle scelte di investimento e disinvestimento di operatori finanziari e risparmiatori in tutto il mondo, perché è difficile se non impossibile sostituirle. Determinano poi i requisiti di ammissibilità e le valutazioni degli haircuts relativi agli asset utilizzati come garanzia collaterale dalle banche per prendere denaro in prestito nelle operazioni di rifinanziamento della Bce. Una situazione apparentemente di stallo. Del rating non si può fare a meno ma le agenzie che lo forniscono sono troppo invischiate nei mercati per fornire giudizi imparziali oltre ogni ragionevole dubbio. E’ come se in una partita di calcio un giocatore fosse allo stesso tempo membro di una squadra e arbitro. Potrà certo essere in buona fede, ma il sospetto e il rischio che le sue decisioni non siano imparziali rimarrà sempre.

Tutti non a caso, al di qua e al di là dell’Atlantico, concordano con la necessità di normare in maniera diversa il settore. Scrive ancora il quotidiano di Confindustria:

“Il dibattito sulla riforma del sistema finanziario aveva indicato fin dalle prime battute l’opportunità di separare l’attività bancaria al servizio dell’economia produttiva (la raccolta di depositi e la concessione di prestiti) da quella di natura finanziaria. Era stato Paul Volcker ad indicare per primo questa soluzione, poi ripresa da rapporti ufficiali nel Regno Unito (Vickers) e della Commissione europea (Liikanen). Si badi che lo scopo della separazione non è di eliminare i conflitti di interesse, ma di impedire che l’attività di carattere più strettamente speculativo possa generare perdite tali da compromettere l’attività bancaria tradizionale, interrompendo un servizio essenziale per l’economia e spesso costringendo a scaricare il costo sul contribuente. Si tratterebbe comunque di un passo avanti significativo per fare maggiore chiarezza fra due linee di business affatto diverse fra loro e anche per rendere più visibili i conflitti di interesse. (…)

Ma questa idea apparentemente semplice viene declinata in modo diverso nelle tre proposte prima ricordate e, visto che in fatto di babele regolatoria non vogliamo farci mancare nulla, viene tradotta nelle varie legislazioni in modo ancora più variegato. Negli Usa, la ‘regola Volcker’ è ancora in gran parte un contenitore vuoto che attende i regolamenti delle autorità di vigilanza. In rapida successione, in questi giorni i governi di Francia, Regno Unito e Germania hanno presentato disegni di legge che prevedono forme di separazione dell’attività di investment banking più blande di quelle previste dai rapporti ufficiali e, guarda caso, più aderenti alle richieste delle banche nazionali. (…) Al pari delle agenzie di rating, le banche hanno dimostrato di non essere spesso in grado di perseguire al meglio gli interessi dei clienti. La separazione dell’attività al servizio dell’economia, che pure ha finalità diverse e più generali, sarebbe comunque un segnale importante e potrebbe dare un contributo di chiarezza. Ma se le riforme si realizzano nel nome dei campioni nazionali, si rischia che nel conflitto di interessi fra banche e clienti sia deciso a priori chi deve prevalere. Persino un editoriale del Financial Times ha riconosciuto che il ‘recinto’ fra le due forme di attività non solo è opportuno, ma dovrebbe anche essere elettrificato, come quelli per i cavalli”.

Nulla di semplice e di automatico, tanto meno di ovvio e immediato nel mettere le briglie alle agenzie di rating e alla logica speculativa e non soltanto finanziaria con cui sono accusate e sospettate di operare. Nulla di semplice perché se smonti la finanza, anche quella malata,   rischi di danneggiare nell’urto anche la gente comune, il ceto medio, il risparmiatore. Però laggiù dell’Oceano qualcuno si è mosso. Sarà perché ormai rieletto al secondo mandato (il terzo negli Usa non esiste) e quindi non più preoccupato della eventuale rabbiosa reazione. Oppure sarà perché li aveva sul gozzo da tempo, oppure…Sarà per quel sarà ma Obama ha fatto “qualcosa di sinistra”. Certo una sinistra non proprio europea, da queste parti avremmo invocato una Grande Riforma della finanza oppure la nazionalizzazione di una banca a seconda se la sinistra è appunto riformista o alternativa. Obama invece è stato più pratico: cerca di smontare, a suon di miliardi di dollari di “punizione”, il nesso, l’aggancio, la “copula” tra la finanza speculativa e le tre sorelle del rating. Incassavate tante più provvigioni quante più Triple A conferivate? Eravate e siete pagati dagli stessi che dovete giudicare? Bene, ora sborsate miliardi di dollari di multa e vediamo se restate abbracciati oppure no. Non sarà la rivoluzione contro Wall Street, di certo è un bastone su Wall Street. La differenza è che la prima che sfila in corteo a Wall Street fa un baffo, il secondo agitato in tribunale fa invece male.

 

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