Fini si taglia l’indennità? Panico tra i parlamentari “graduati”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 26 Gennaio 2012 - 16:10 OLTRE 6 MESI FA

Gianfranco Fini (Lapresse)

ROMA – Pare, sembra, si mormora… che il presidente della Camera Gianfranco Fini abbia deciso di dare un taglio al suo stipendio, una diminuzione di circa il 15%. Nulla di ufficiale per carità, ma è bastato che la voce circolasse per scatenare il panico in Parlamento. Tutti preoccupati, onorevoli e senatori, su come Fini potrà tirare avanti con il 15% in meno in busta paga? Niente affatto, la verità è che un taglio allo stipendio del presidente della Camera darebbe il via ad una serie di tagli a cascata a tutti gli stipendi dei parlamentari “graduati”, quelli cioè che per ruolo aggiungono all’indennità base altre voci aggiuntive.

La questione degli stipendi dei parlamentari e dei politici in generale agita gli animi ormai da tempo. Tra adeguamenti a quanto percepito dai colleghi europei, solo quelli dei paesi più ricchi, revisione dei vitalizi e proposte varie, poco è stato fatto sinora. Il governo ha lasciato il tema in mano ai parlamentari, in quanto sono loro competenti nella determinazione dei loro emolumenti, ma il premier Mario Monti ha in qualche modo indicato una via rinunciando a quanto gli sarebbe spettato come premier e come ministro: i vertici devono dare il buon esempio. Su questa strada Fini avrebbe deciso di seguire Monti, tagliando il suo stipendio, e in particolare la sua “indennità di carica”, pari a circa 4mila euro.

Decisione che, se presa, farebbe scattare un effetto domino. Varie “indennità di carica” sono infatti percepite da molti parlamentari, primo fra tutti il presidente del Senato. E se Schifani potrebbe condividere una simile scelta, non è detto che altrettanto farebbero i circa 140 onorevoli e circa 100 senatori che percepiscono “indennità di carica” a vario titolo. Tra loro i vicepresidenti delle Camere, 8, e i 6 questori che sotto questa voce intascano circa 2800 euro. E poi i presidenti delle 14 commissioni permanenti, quelli delle varie giunte e delle bicamerali che prendono circa 2mila euro d’indennità aggiuntiva. E ancora i vicepresidenti e i segretari di commissione, 1000 euro in più. Tutte figure che se Fini decidesse di limarsi l’indennità di carica vedrebbero anche la loro limarsi nella stessa percentuale.

E i parlamentari, in attesa di una decisione calata dall’alto, cosa hanno fatto in tema di riduzione dei loro costi, visto che sono loro gli unici che possono decidere in materia? Sergio Rizzo, sul Corriere, ha provato a fare i conti, e non è giunto a conclusioni esaltanti.

Per gli stipendi dei parlamentari si avvicina la fine di un’epoca, racconta Rizzo, la loro retribuzione non sarà più legata infatti alla retribuzione dei magistrati. Sarà invece di 6.200 euro netti al mese. Ma con la possibilità di beneficiare di un aumento, al 31 dicembre di ogni anno, “in rapporto alla media degli incrementi delle indennità parlamentari dei sei principali stati membri dell’Unione europea” (gli stati ricchi appunto) nonché del Parlamento europeo. Queste sarebbero le novità contenute nella bozza di documento preparata dal presidente della commissione lavoro Silvano Moffa. Il deputato ex Pdl, ex Fli e ora Responsabile aveva infatti avuto l’incarico di redigere lo “Statuto dei Componenti del Parlamento”.

L’avvicinamento ai colleghi continentali non sembra essere andato così male. Con questa “europeizzazione” l’indennità dei parlamentari aumenterà di circa 1200 euro al mese rispetto alle retribuzioni di oggi e non solo, mentre oggi gli stipendi sono bloccati, domani beneficeranno di un aumento automatico annuale. Altro che cura dimagrante. Va detto però che in compenso la proposta prevede un taglio consistente agli altri emolumenti. La retribuzione dei parlamentari è infatti composta da più voci e attualmente ogni deputato porta a casa in media 5.092 euro al mese fra diaria, rimborsi per i trasporti e spese telefoniche. Tutte voci per cui, da domani, non si potrà erogare una somma superiore al 30% dell’indennità netta, cioè 1.860 euro. In più va calcolata la sorte dei circa 4.000euro percepiti per pagare i cosiddetti “portaborse”, cioè i collaboratori.

Alla fine la  busta paga netta del parlamentare non graduato dovrebbe ammontare a 8.060 euro mensili. Duemila circa meno di quanto intascano oggi, soldi per i collaboratori esclusi, ma non certo una miseria. E somma che, almeno i più volenterosi, potranno comunque mettere assieme con altri lavori, non c’è nella bozza infatti nessuna novità per la questione del doppio lavoro. Oggi è consentito ai parlamentari di continuare a esercitare senza limitazioni un’attività professionale privata parallela, e domani sarà lo stesso. Gli 8mila euro netti al mese non giustificano evidentemente un’esclusiva.