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Come sarebbe un giusto processo penale: intercettazioni e…

di Marco Benedetto |19 Novembre 2015 7:01

Il giurista Simon Pietro Ciottti descrive i punti esenziali di come dovrebbe essere un giusto processo penale… e come non sarà

Riforma del processo penale. Un processo è giusto se l’innocente è rapidamente assolto ed il colpevole altrettanto rapidamente condannato, nel rispetto delle garanzie costituzionali e processuali e del contraddittorio delle parti; nell’accezione più forte, irrealizzabile, lo è se tenuto soltanto nei confronti dei colpevoli. Durata ragionevole e garanzie difensive costituiscono, come abbiamo visto, gli obiettivi del Governo, smentiti, peraltro, oltre che dalle modifiche proposte per il processo penale, dalle norme in materia di delitti dei pubblici ufficiali, in vigore, e di prescrizione, approvate in prima lettura dalla Camera. Questi i principi di una vera riforma:

– l’intervento non deve essere generale – un nuovo codice, come qualcuno vorrebbe, in questo senso preoccupa la delega chiesta, confusamente, dal Governo per intercettazioni ed impugnazioni – ma toccare i punti dolenti; non servono commissioni pletoriche, sempre insediate, e mai con risultati; in Italia non mancano processual penalisti di grande talento; il legislatore si affidi a costoro; al più, avranno bisogno di qualche cancelliere;

– è necessario abrogare le norme inutili introdotte negli ultimi anni, piuttosto che creare nuovi istituti; insomma, si tratta di applicare non tanto il rasoio di Occam – pluralitas non est ponenda sine necessitate – quanto l’accetta;

– la regola principale deve essere quella di evitare dispendio di energie e di tempi per il nulla (è una frase illuminante di Chiavario);

– la tutela del diritto di difesa deve essere rigorosa, eliminando “libere” interpretazioni della Corte di Cassazione.

Veniamo ai colpi di accetta:

a) cancellazione delle proroghe di indagini; atti che viaggiano avanti e indietro fra PM e GIP, del tutto inutilmente; la difesa non ne ricava vantaggio. È il caso più clamoroso di dispendio di energie e tempi per il nulla;

b) rigorosa disciplina dell’informazione di garanzia e dei suoi equipollenti; l’indagato deve essere informato al più presto della pendenza di un procedimento; nell’atto, inoltre, deve essere contenuta la chiara indicazione dell’onere della scelta di un difensore di fiducia ed, inoltre, di informarsi dell’iter procedimentale/dibattimentale; questo profilo riveste fondamentale importanza: oggi, le notifiche all’indagato – imputato sono uno dei punti dolenti; quasi mai riescono al primo tentativo (certe volte, nemmeno al decimo); con l’obbligo della pec e della domiciliazione dell’interessato presso il difensore il problema sarebbe facilmente risolto; esiste già una norma, spesso dimenticata, ma con una “interessante” riscoperta da parte della Cassazione.

Dopo la prima notifica, le successive sono eseguite – è un obbligo – mediante consegna al difensore (è l’art. 157 di procedura penale, introdotto nel 2005); basterebbe eliminare la possibilità, data oggi al difensore di fiducia, di sottrarsi ed estendere il disposto anche nel caso di difesa di ufficio.

A questo proposito, si segnala l’insensatezza delle norme sulla sospensione del processo per assenza dell’imputato, approvate nel 2014. Quando l’imputato non si trovi, o non si voglia far trovare, il processo viene messo in un limbo; il legislatore ha pensato agli extra comunitari, ma facciamo il caso del presunto capo della mafia, latitante anche quando non raggiunto da ordinanze di custodia cautelare; non nominato un difensore di fiducia – se c’è, il processo continua – è discutibile che si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo, un’altra delle condizioni della prosecuzione.

Del tutto dimenticate le vittime, quasi che lo Stato non riconosca il diritto dei cittadini – persone offese a vedere condannati i colpevoli. In conclusione, non serve molto per eliminare tempi morti e risparmiare energia; chi è parte in un procedimento se ne occupi, se gli interessa. L’importante è che sia rigorosa la prima informazione;

c) al di là della delega in vacuo, chiesta dal Governo, anche il meccanismo dell’acquisizione dei risultati delle intercettazioni richiede qualche aggiustamento; il codice vuole che l’atto finale sia una perizia, preceduta dalla scelta delle parti dei materiali da trascrivere, con il controllo del Giudice. Il sistema dovrebbe funzionare nel corso delle indagini; sennonchè, il lassismo impera; ormai, scelta e trascrizione avvengono nei dibattimenti, con rinvii almeno semestrali. Occorre fissare l’obbligo che i due momenti si compiano durante la fase preliminare; se qualcuno se ne dimentica, peggio per lui; doveva attivarsi. Ulteriori problemi derivano dalla prevista trascrizione del contenuto delle conversazioni nel verbale delle operazioni. La norma va cancellata; delle intercettazioni rilevanti venga fatta informativa, segreta, al pubblico ministero; si evita, così, o almeno si riduce, la pubblicazione di conversazioni del tutto inutili. Un ultimo punto: non sono infrequenti intercettazioni autorizzate all’infinito; qui, forse, basterebbe stabilire che il giudice delle proroghe sia sempre diverso da colui che le ha disposte;

d) conclusione delle indagini, per il lavoro normale, entro nove mesi; dopo l’anno, attribuzione automatica alla Procura Generale, con l’obbligo di definizione entro tre mesi; rimozione dei magistrati che rispettino tali termini in percentuale inferiore al 95%;

e) notifica dell’avviso di conclusione delle indagini al solo difensore e per i soli procedimenti per i quali è obbligatoria la citazione diretta al dibattimento; quando è prevista l’udienza preliminare, è inutile duplicare le occasioni difensive. Piuttosto, l’esperienza dei grandi tribunali (Roma, ad esempio) dimostra come la citazione diretta produca il disastro; procedimenti che sono al dibattimento anni dopo la conclusione delle indagini, notifiche o addirittura fascicoli persi; la macchina gira a vuoto; il risultato quasi certo è la prescrizione. Occorre dunque intervenire sull’istituto; qui si apre un’alternativa: conservata la citazione diretta, bisogna drasticamente ridurre i termini a comparire, fissare i dibattimenti entro al massimo quattro mesi dalla decisione di esercitare l’azione penale, ridare efficienza agli organi notificatori. A parte questo, Procuratori della Repubblica e Presidenti di Tribunali imbelli vanno sostituiti. L’altra soluzione, drastica, è la cancellazione dell’istituto. L’udienza preliminare, con la modifica di cui si è parlato nel precedente articolo – da sentenza di non luogo a procedere ricorribile a decreto non impugnabile – costituirebbe finalmente un serio filtro per il dibattimento. Inoltre, una velocizzazione dei procedimenti spingerebbe ad utilizzare molto di più patteggiamento e giudizio abbreviato;

f) in primo grado, previsione dell’udienza dibattimentale / filtro, di un’unica udienza di trattazione (in più udienze, solo se indispensabile, comunque in giorni successivi) entro tre mesi dalla udienza filtro; rigore nei confronti dei testimoni che non si presentino; eccezionalità dei casi di rinvio del dibattimento;

g) tassatività della presenza del P.M. titolare delle indagini per le udienze collegiali e per quelle di giudice monocratico seguite all’udienza preliminare; responsabilità del P.M. togato, se conservata la citazione  diretta, per la scelta di eventuali sostituti per le altre udienze di monocratico; oggi, compaiono in aula procuratori onorari visibilmente ignari; i PM titolari si disinteressano di quel che avviene; retribuzione dei sostituti adeguata (mensile / annuale), quale prestazione professionale di liberi professionisti; divieto per tali sostituti di svolgere la libera professione;

h) ogni tanto qualcuno propone l’abolizione dell’appello. È concepibile: non esiste un principio costituzionale del doppio grado di giudizio di merito. Non è detto, però, che l’abrogazione sia un beneficio; la perdita di un controllo sul merito ingolferebbe di ricorsi la Corte di Cassazione e, forse, ne snaturerebbe l’essenza; la Corte Suprema diventerebbe un ibrido fra il merito e la legittimità; piuttosto, serve una migliore organizzazione giudiziaria; ad esempio, a Roma esistono tre sezioni (del merito) di Corte d’Appello, che decidono in secondo grado rispetto a centinaia di giudici di primo grado del distretto ossia il Lazio. È ovvio che i tempi siano biblici;

i) previsione che ogni Pubblico Ministero abbia almeno cinque funzionari di segreteria, nonché collaboratori e il potere di disporre della polizia giudiziaria;

j) previsione che ogni giudice (singolo) abbia nella sua cancelleria altrettanto personale.

Sono queste le proposte. Speriamo che altre se ne aggiungano, migliori. In fondo, la frase “invece che difendersi nel processo, gli imputati si difendono dal processo”, inventata qualche anno fa da un dottor sottile, significa solo che lo Stato non ha voluto (o non è stato in grado di) garantire ai cittadini un processo penale rapido ed efficiente.

 

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