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Olanda al voto: no all’Europa, sinistra insegue destra. Come Grillo e Lega

di Warsamé Dini Casali |3 Settembre 2012 17:42

AMSTERDAM – Quasi un imprenditore su due non ha dubbi e vuole il ritorno al fiorino. E’ un dato che emerge da un sondaggio pubblicato dai media olandesi in vista delle elezioni politiche del 12 settembre. Così in Olanda, a meno di una settimana dalle elezioni politiche, sono la paura dell’Europa dei burocrati, lo scetticismo sull’euro e la retorica anti-Bruxelles i programmi vincenti, quelli che fanno presa su un elettorato segnato dalla recessione. A destra, dove i sentimenti anti-immigrati sono presto stati soppiantati dallo spettro della disoccupazione, della crescita zero, dal fisiologico terrore del ceto medio di proletarizzarsi. A sinistra, dove ha trovato terreno fertile la critica alla politica tecno-finanziaria, al dominio dei mercati, alle colpe delle banche.

Il populismo di destra e di sinistra ha occupato la scena politica: il sistema rigidamente proporzionale olandese rischia di restare paralizzato prima che un primo ministro incaricato riuscirà a formare un nuovo governo. Ma i due soli partiti responsabili rispetto alla fedeltà all’Unione Europea, laburisti e liberali, sono assediati dalle forze emergenti che mettono in forse una politica di stabilità già ampiamente compromessa.

6,5% di disoccupazione, tagli allo stato sociale per rientrare nei parametri stretti del fiscal compact, insofferenza verso i generosi aiuti ai paesi del sud Europa, il bubbone immobiliare a un passo dal boom: il paesaggio politico olandese riflette e anticipa una tendenza che, guardando ai programmi e alle dichiarazioni intenti, ci ricordano da vicino l’abbraccio trasversale che accomuna, anche in Italia, il no esplicito all’Europa delle banche inalberato della Lega, da Grillo e Di Pietro, gli oppositori dichiarati del governo Monti. Ma correnti nemmeno troppo sotterranee agitano anche il Pdl e il Pd. Per convinzione, qualche volta, per opportunismo elettorale, spesso.

Gli ultimi sondaggi segnalano un testa a testa tra Vvd (liberali) e il Socialistische Partij (Sp), la sinistra radicale che mai ha espresso un ministro in Olanda. L’astro nascente è il cinquantenne Emile Roemer: il leader del Sp, ex maestro di scuola descritto come “eternamente sorridente”, ha il volto normale e rassicurante di un Hollande, ma sta pescando a piene mani dagli elettori delusi dal populista di destra Geert Wilders, il candidato del Partij voor de Vrijheid (PVV), quello della martellante campagna anti-islam. I sondaggi gli attribuiscono addirittura 38 dei 150 seggi della Camera Bassa olandese.

Il 12 settembre l’Europa guarderà a Amsterdam con un occhio, l’altro distratto da ciò che avverrà a Karlsruhe, dove l’alta Corte tedesca si pronuncerà sulla legittimità dell’approvazione del fiscal compact. Un’affermazione di Sp avrebbe lo stesso significato di quella di Syriza nei giorni drammatici delle elezioni greche. “Non vogliamo più fare il lavoro sporco per la Merkel” racconta il responsabile esteri di Sp. Pur non mettendo in discussione direttamente la moneta unica, come fa Wilders che sogna il ritorno del fiorino, Sp chiederà un referendum contro il fiscal compact, tasse ai ricchi e misure per la crescita.

E zero euro per arrestare la dittatura dello spread. Significa sforare l’obiettivo del rientro al 3% del rapporto deficit/Pil, significa perdere la tripla A vanto dell’affidabilità del bond olandese. Quel 3% è un tetto imposto a tutte le economie del continente e l’Olanda guidata dal liberale Rutte era fra i falchi nel garantirne l’inviolabilità. All’interno è costata una manovra da 16 miliardi di euro, manovra che gli ha fatto perdere la poltrona di primo ministro. No alle manovre, no all’euro, no alle banche: l’ultima volta per formare il governo ci vollero 4 mesi, stavolta la paralisi rischia di essere ancora più lunga. Dopo aver consegnato all’Europa un altro schiaffo ai suoi sogni di unità politica, bocciata dalla crisi l’integrazione economica.

 

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