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Carcere preventivo: Ladri, scippatori, criminali liberi tutti, Pignatone allarme

di Marco Benedetto |6 Aprile 2014 12:14

 

Giuseppe Pignatone: allarme ordine pubblico. “Poi non vi lamentate”

ROMA – Il Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, lancia l’allarme: la Camera ha approvato una legge che , nelle parole del Corriere della Sera,

“rischia di lasciare liberi rapinatori, scippatori e bancarottieri”.

La legge è stata rivista dal Senato e ora torna alla Camera. Costituisce un ottimo esempio di come il sistema bicamerale che c’è in Italia serva e molto e dei pericoli insiti nella riforma Renzi-Verdini.

La legge sul carcere preventivo è stata presentata a novembre, quando ministro della Giustizia era Annamaria Cancellieri, in piena bufera per le sue telefonate con i Ligresti rimasti a piede libero. La firma è del sottosegretario Donatella Ferranti: il suo minore livello e il fatto che sia del Pd non ha suscitato lo sdegno che sarebbe stato necessario.

Così la stampa di sinistra, sempre pronta a scattare sulla molla di Berlusconi, non ha avuto nemmeno il dubbio che la legge fosse parte del pacchetto noto da anni come salvacondotto, per allontanare da Berlusconi l’ombra del carcere anche se virtuale come i domiciliari. Invece un ripasso del calendario dovrebbe fare riflettere.

Intervistato da Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera, Giuseppe Pignatone è stato lapidario:

“Se quella norma diventerà legge noi l’applicheremo senza problemi, però mi auguro che il Parlamento ci pensi bene, per non trovarsi costretto a tornare sui propri passi al prossimo allarme sulle città insicure, o sulla criminalità diffusa che si fatica a contenere”.

Secondo Pignatone,  la riforma è “contraddittoria” in alcuni aspetti, e

“mescola l’esigenza immediata di salvaguardare l’inchiesta dall’inquinamento delle prove, dal pericolo di fuga dell’inquisito e dalla reiterazione del reato con una difficile prognosi sulla sentenza definitiva che arriverà chissà quando”.

“Capisco le ragioni delle modifiche, e sono d’accordo sulla necessità di ridurre la custodia cautelare al minimo indispensabile, quando proprio non se ne può fare a meno. Però stanno rendendo impossibile l’arresto, anche domiciliare, per delitti che considero di un certo allarme sociale”.

Con gli ultimi emendamenti approvati, spiega Giovanni Bianconi,

“il giudice non potrà disporre il carcere né la detenzione in casa se è prevedibile che l’indagato venga condannato nell’ultima sentenza a pene inferiori a quattro anni di galera”.

Significa trasformare semplici agenti di Polizia, Carabinieri e Guardie di Finanza in avvocati con barba e baffi, perché sul computo delle pene influiscono tante di quelle variabili, attenuanti, esimenti, dolo e non dolo, che anche un giurista provetto ha difficoltà a fare previsioni. Inoltre, come dice Giuseppe Pignatone, non solo

“significa lasciare fuori la corruzione e gli altri reati tipici dei cosiddetti “colletti bianchi”, comprese le bancarotte, le evasioni fiscali anche di grandi dimensioni, malversazioni e altre violazioni di tipo economico”,

ma anche, ai fini della qualità della vita dei cittadini già messa a dura prova dalla scarsità di risorse materiali destinate alla tutela dell’ordine pubblico,

“così non si potrà arrestare nemmeno chi compie delitti di strada come lo scippo, il furto, fino alla rapina, a meno che uno non entri in una banca impugnando il kalashnikov”.

Ci saranno limiti tali che

“potremo applicare la carcerazione preventiva solo a chi ha precedenti condanne definitive, forse, ma agli incensurati no”.

L’appello di Pignatone è accorato:

“Spero che deputati e senatori siano consapevoli di quello che stanno facendo, prima delle prevedibili polemiche in cui ci si chiederà perché un presunto rapinatore si trovava libero di colpire ancora anziché in galera”. Secondo Pignatone la riforma è «contraddittoria» in alcuni aspetti, e indebitamente «mescola l’esigenza immediata di salvaguardare l’inchiesta dall’inquinamento delle prove, dal pericolo di fuga dell’inquisito e dalla reiterazione del reato con una difficile prognosi sulla sentenza definitiva che arriverà chissà quando».

 

 

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