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Chi è Pier Carlo Padoan, nuovo ministro dell’Economia: Italianieuropei, Fmi, Ocse

di admin |6 Marzo 2015 11:56

Pier Carlo Padoan, nuovo ministro dell’Economia (LaPresse)

ROMA – Chi è Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia che Matteo Renzi ha designato al posto di Fabrizio Saccomanni?

I retroscenisti dicono che Padoan sia stato fortemente “sponsorizzato” da Giorgio Napolitano, che in passato aveva pensato di affidare a lui l’incarico di presidente del Consiglio.

Padoan, nato a Roma nel 1949, è un economista e docente universitario. Fra le altre università, ha insegnato alla Sapienza di Roma. Padoan ha diretto la fondazione Italianieuropei, presieduta da Massimo d’Alema. Poi, dal 1998 al 2001 è stato consigliere economico della Presidenza del Consiglio con Massimo d’Alema e Giuliano Amato, per i quali si è occupato di politiche economiche internazionali. Dal 2001 al 2005 è stato direttore esecutivo per l’Italia al Fondo Monetario Internazionale.

Nel 2007 è stato nominato vicesegretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), di cui due anni dopo è diventato capo del settore Economia.

Il 22 gennaio 2014, la commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato la sua nomina a presidente dell’Istat, l’istituto nazionale di statistica. Ha insegnato in molte università italiane ed estere – fra le quali quelle di Bruxelles, Urbino e Tokyo – ed è stato consulente per la Banca Centrale Europea e la Banca Mondiale.

Nelle ultime ore, dopo l’anticipazione della nomina di Padoan all’Economia, è stato ripescato un articolo del Corriere del 2010, in cui Padoan, insieme ad altri economisti, non si mostra contrario all’idea di una patrimoniale. Le sue parole testuali:

“Abbiamo cercato di dimostrare, con una analisi empirica, il rapporto tra la struttura della tassazione e la crescita, nel senso che ci sono tasse più dannose allo sviluppo (sulle imprese e sul lavoro) e altre meno dannose, come quelle sui consumi e sui patrimoni”

Concetti più o meno ribaditi da Padoan nel rapporto, pubblicato da Pagina99, “Economic Policy Reforms 2014 – Going for Growth” (scarica il pdf del documento “Avoiding the low growth trap”), redatto in occasione del G20 di Sidney:

“La decelerazione nella produttività dall’inizio della crisi potrebbe presagire l’inizio di una nuova era a bassa crescita. La crescita nell’economia globale rimane debole, e questo crea preoccupazioni sulla possibilità di un abbassamento strutturale dei tassi di crescita per gli anni futuri, comparati a quelli registrati prima della crisi.”

“Alcuni dei fattori sottesi al rallentamento della produttività non sono ancora stati completamente compresi, tantomeno il ruolo e la natura del progresso tecnologico. Ma uno sviluppo preoccupante è il marcato rallentamento nell’attività di commercio internazionale relativamente alla produzione globale. Oltre al suo fondamentale ruolo come vettore di diffusione di tecnologia e conoscenza, il commercio internazionale favorisce la produttività attraverso maggiori pressioni competitive sui mercati domestici.”

“In effetti, gli attuali tassi di investimento delle imprese nelle economie più avanzate sono sotto il livello che servirebbe per sostenere un tasso più elevato di crescita. Inoltre, molti paesi avanzati sono colpiti da un livello persistente di alta disoccupazione e, quel che è peggio, da un’alta incidenza della disoccupazione di lungo periodo. Il rischio è che, col tempo, un’alta disoccupazione di lungo periodo renda difficile il ritorno al lavoro. Questo rischio è particolarmente pressante per i paesi dell’Europa mediterranea.” 
 

“Chiaramente, affrontare i fallimenti dei mercati finanziari e rimettere in sesto i bilanci nel settore bancario è la priorità principale – particolarmente nell’area euro. Questo farebbe molto per rafforzare l’impatto delle riforme strutturali negli altri settori, riforme che sono assolutamente necessarie.”

“Queste riforme potrebbero aiutare la creazione di nuovi posti di lavoro se accompagnate da misure per facilitare gli aggiustamenti dei salari e ridurre il costo del lavoro, incluso un ulteriore spostamento della tassazione dal lavoro verso il consumo e – ancora meglio da un punto di vista di equità – verso le proprietà immobiliari e l’eredità.”

“In ogni caso una creazione più veloce di lavoro è improbabile che sia sufficiente per portare l’occupazione ai livelli pre-crisi, per non parlare dei livelli che occorrerebbero per equilibrare l’impatto dell’invecchiamento nelle popolazioni avanzate. Un aumento dell’occupazione richiederebbe che più attenzione fosse data alla crescente discrepanza tra competenze e offerte di lavoro e alla bassa partecipazione alla forza lavoro.”

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