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Di Pietro contro Bossi, guerra dei figli. Barbara in pace: sta con Pato

di Emiliano Condò |19 Settembre 2011 18:37

L'investitura di Renzo Bossi

ROMA –  Antonio Di Pietro contro Umberto Bossi. In mezzo ci sono due figli, Cristiano e Renzo: uno che muove i primi passi in politica, l’altro con già in mano lo scettro della successione.

Da un lato c’è il leader Idv sfida il suo stesso elettorato pur di candidare il “suo” Cristiano raccontando che è uno che fa gavetta, a differenza del “Trota”. Dall’altro c’è il leader leghista che la successione, ai suoi elettori, l’ha già fatta metabolizzare e non ha neppure bisogno di difendere il figlio: ci pensa il partito, in modo rapido e preciso.

La miccia si accende il 18 settembre quando da Roma a Termoli arriva la notizia della candidatura di Cristiano Di Pietro per il Consiglio Regionale del Molise. Candidatura benedetta dal papà di Cristiano, Antonio Di Pietro leader e fondatore quasi mai discusso dell’Italia dei Valori.

Stavolta, però, le discussioni ci sono: il circolo Idv di Termoli va su tutte le furie e lascia il partito e anche tra i simpatizzanti Idv che affollano il web il mal di pancia è palese al punto che Di Pietro senior è costretto a un videomessaggio e a un post sul blog in cui motiva la sua scelta.

Nel frattempo stampa di tutti i colori, fatalmente, punge e ironizza. Perfino l’Unità del Partito Democratico non risparmia la stilettata: “Di Pietro come Bossi, candida il figlio”. Il Giornale, invece, opta per lo sfottò ittico: se Renzo Bossi è “il Trota” allora Cristiano diventa “la Carpa”.

Il videomessaggio di Di Pietro, però, non funziona esattamente come “riparatore”. Anche perché il leader Idv spiega che suo figlio ha fatto la gavetta, “non come Renzo Bossi (il Trota) candidato nel listino bloccato” per avere un posto sicuro. Cristiano, spiega il papà, è uno che “quando abbiamo creato il partito, dieci anni fa, si è rimboccato le maniche anche lui e ha contribuito a costruirlo”.

Passano pochi minuti e insorge la Lega. Un comunicato dell’ufficio stampa puntualmente informa che Bossi Jr, non solo “non è mai stato candidato nel listino bloccato” ma che “è stato eletto con 12.899 preferenze a Brescia. Il più votato in assoluto. A soli 22 anni, ha conquistato un numero di preferenze pari a tre volte rispetto a quelle totalizzate dal secondo in classifica”.

Listini o listoni, trote o carpe che siano rimane il fatto evidente della concezione sempre più personalistica dei partiti. Di Pietro finge di ignorare che per quanta gavetta abbia fatto Cristiano, il legame padre-figlio non può non essere percepito, specialmente dal suo elettorato, come un canale preferenziale. Quanto a Renzo Bossi è vera certamente la campagna elettorale porta a porta ma è altrettanto vera l’investitura solenne e ufficiale fatta dal padre.

All’ultima cerimonia del Po, durante il rito dell’ampolla, di fianco a Bossi senior c’era il Trota: un passaggio di consegne dinastico, ufficiale e evidente. Consumato davanti agli occhi dei dirigenti del partito e di tutto l’elettorato leghista. Basta ricordare le parole del Senatur: “Io verrò qui tutti gli anni e dopo di me verrà mio figlio che oggi ho portato qui con me”.

Partiti personali che diventano partiti-dinastia, con passaggio di consegne voluto dal leader seguendo una linea di sangue. Non a caso, mesi fa, un qualcosa di simile era stato pensato anche nel versante Pdl con Marina Berlusconi in pole per ereditare la “premiership” del papà Silvio. L’idea la lanciò il quotidiano Il Giornale in tempi critici (anche se non come oggi) per il presidente del Consiglio. Se ne parlò per un po’ di giorni poi la cosa perse interesse e spazio sui giornali forse anche perché con la Mondadori da tenere a galla dopo la sentenza Cir, Marina ha già abbastanza da fare.

Rimarrebbe Barbara Berlusconi, ma lei almeno per ora è in altre faccende affaccendata: c’è da seguire il Milan e da coltivare la love story con l’attaccante brasiliano Pato.

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