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Fiducia a Letta: tutti votano sì, tutto come prima, abbiamo scherzato

di admin |2 Ottobre 2013 21:39

Enrico Letta stringe la mano al suo vice Angelino Alfano (LaPresse)

ROMA – Il governo Letta ha la fiducia del Senato, con 235 voti a favore, 70 contrari e zero astenuti. Dieci senatori non erano in aula al momento del voto. Anche alla Camera dei deputati il governo ha ottenuto la fiducia, con 435 sì e 162 no.

Tutti o quasi tutti hanno votato sì: quindi tutto come prima per il governo di larghe intese, che restano larghe (anche se un pelino più strette). Una commedia durata una settimana, con i protagonisti che sembrano girarsi verso gli spettatori e dire: abbiamo scherzato.

Hanno scherzato, ma intanto l’Iva è aumentata al 22%, l’Italia ha sforato il tetto del 3% del rapporto deficit-Pil, la disoccupazione è arrivata al 12,2%, con quella giovanile al 40,1% (mai così dal 1977). Ancora: l’Imu 2013 incombe, perché se entro il 31 ottobre non viene convertito in legge il decreto con cui è stata abolita, toccherà pagare anche la prima rata, mentre per eliminare la seconda servono 2,4 miliardi di euro che il governo è ancora ben lontano dal trovare. Non è finita: la pressione fiscale è altissima, come le tasse sul lavoro; i tempi della giustizia civile fanno scappare le aziende dall’Italia, le carceri scoppiano per i troppi detenuti, la legge elettorale è sempre il Porcellum e non si vedono all’orizzonte alternative che mettano d’accordo il 50% più uno dei parlamentari.

Hanno iniziato a scherzare mercoledì 25, quando i parlamentari del Pdl hanno firmato le dimissioni di massa, su “invito” di Berlusconi. Il governo così è entrato ufficialmente in crisi proprio mentre Letta cercava di “vendere” il brand Italia agli investitori di Wall Street.

Hanno continuato sabato 28, quando Berlusconi ha fatto dimettere i suoi cinque ministri dal governo, decisione motivata perché “Letta ha rinviato il decreto per posticipare ancora l’aumento dell’Iva”. Il giorno dopo Letta è ritornato per l’ennesima volta al Quirinale a parlare con Napolitano. Lunedì 30, la mattina, le dimissioni ufficiali dei cinque ministri pdl sono arrivate sul tavolo di Letta. In serata la trasmissione Piazzapulita ha riportato l’audio di una telefonata in cui Berlusconi, parlando con un parlamentare pdl, accusa Napolitano di aver complottato contro di lui per pilotare la sentenza della Cassazione sul risarcimento di Fininvest a Cir per il Lodo Mondadori.

Una telefonata “carpita” o fatta carpire alla quale Berlusconi ha dato seguito bollando Napolitano e Letta come inaffidabili per tutto martedì 2 ottobre. Concetto espresso per esteso in un’intervista al settimanale Tempi (uscita il 2 pomeriggio) e a Panorama (anticipata stamattina dal sito panorama.it).

Ma nel frattempo Gaetano Quagliariello e Fabrizio Cicchitto hanno guidato una fronda interna che ha poi trovato un leader proprio nel delfino di Berlusconi, Angelino Alfano. Una fronda che ha iniziato coi “distinguo” ed è sfociata nell’annuncio, dato il pomeriggio del 2 dall’ex Udc Carlo Giovanardi, di una quarantina di senatori pronti a votare sì alla fiducia al governo Letta. Un annuncio arrivato neanche 24 ore dopo le parole di Berlusconi fatte trapelare da una riunione coi suoi parlamentari: “L’esperienza di questo governo è finita”. Invece stava per finire il Pdl. Berlusconi lo ha capito e ha cercato di ricucire, di far rientrare all’ovile i dissidenti.

Nel farlo ha cambiato idea sul voto di fiducia. Ha sempre fatto capire, nelle ultime ore, che andava dritto verso il “no”. Ma ha anche dato l’impressione che avrebbe potuto sterzare verso il “sì” se non ce l’avesse fatta a convincere la fazione Alfano, o almeno un numero sufficiente per impedire a Letta di raggiungere quota 161 al Senato (ovvero il 50% +1).

Dopo uno spettacolare litigio fra il direttore del Giornale Alessandro Sallusti e Cicchitto in diretta a Ballarò, ci sono state convulse riunioni notturne, e il Pdl si è svegliato con due fazioni, delle quali quella del no sembrava ancora stragrande maggioranza. Poi Berlusconi è uscito di casa (da Palazzo Grazioli) andando al Senato alle 9.30 per sentire il discorso di Letta. Lì si è capito che a Denis Verdini stavolta non era riuscita la paziente opera di persuasione dei bei tempi. Berlusconi non è più l’invincibile facitore e disfacitore di maggioranze in Parlamento.

Nel frattempo i “governisti” del Pdl hanno presentato un foglio con 23 firme di altrettanti senatori pronti a votare sì. Mentre appariva inevitabile la formazione di un gruppo autonomo tipo “Ppe sezione Italia” che aggreghi le componenti cattoliche e moderate del Pdl. Cosa che, per reazione, deve aver convinto il resto del Pdl a decidere – dopo riunione – di votare no alla fiducia. Erano quasi le 12. Un’ora e mezzo più tardi, al posto di Renato Schifani, si è presentato a parlare a nome del gruppo del Popolo delle Libertà il senatore Silvio Berlusconi.

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