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L’alpino, l’autista, l’albergatore: tre “padani” da Gheddafi. In missione per conto di Bossi

di admin |9 Marzo 2011 15:29

Umberto Bossi

MILANO – “La Lega mi chiese soldi per la secessione”. “Ma vi pare… Abbiamo tantissimi uomini e le armi si fanno in Lombardia. Gheddafi è un gatto che sta affogando e si arrampica. La storia insegna che chi spara sulla sua gente finisce male. Ricordate Umberto I, fu ucciso”. Botta e risposta tra Gheddafi e Bossi con il Colonnello che ha rivelato ad una tv francese che il Carroccio chiese il suo aiuto economico per il progetto secessionista e “l’Umberto” che nega categoricamente. Dimentichiamoci per un secondo che Bossi è un ministro della Repubblica e fingiamo di non aver compreso appieno le sue parole e che ci sia sfuggito che abbia esplicitamente fatto riferimento alle potenzialità secessioniste del Nord armato e concentriamoci solo sul rapporto Lega – Gheddafi.

Bossi ha smentito categoricamente ma, nella dichiarazione del leader libico che spesso, soprattutto ultimamente, tende a spararle un po’ troppo grosse, c’è del vero. E a raccontarlo è proprio un ex esponente delle Lega Nord che è stato protagonista di una missione tragicomica in terra libica per conto del senatur.

Nel suo libro “Umberto Magno”, uscito lo scorso anno e ripreso da La Stampa, Leonardo Facco narra infatti di una delegazione di camicie verdi che negli anni novanta fu spedita in Libia a caccia di finanziamenti. Ha ragione Bossi quando dice di non aver chiesto armi al Colonello quindi, ma non dice tutta la verità. Almeno una richiesta ci fu. Soldi. Nel libro di Facco, a pagina 379, Roberto Bernardelli, all’epoca dei fatti parlamentare leghista e consigliere comunale a Milano, racconta da protagonista la nascita e lo svolgimento di una missione in terra d’Africa partita con grandi speranze e ambizioni e che più passa il tempo più tende ad assomigliare ad un film di Totò.

Già la composizione della delegazione ha in se del comico. Per la missione africana viene costituito un trio degno della migliore commedia all’italiana. Insieme a Bernardelli, albergatore milanese che negli Anni 80 s’era inventato il Partito dei Pensionati, anche Pino Babbini, il primo autista di Bossi e pure lui consigliere comunale. Ai due si aggiungerà, in terra d’Africa, “una specie di alpino, un valligiano del Bergamasco che doveva farci da interprete, dato che aveva lavorato per anni in quel Paese”. “Babbini riuscì ad ottenere le credenziali per andare in Libia – racconta Bernardelli -. Partimmo da Linate e atterrammo… Motivo della nostra missione? Dovevamo farci dare i soldi da Gheddafi per acquistare Il Giorno, l’ex quotidiano dell’Eni che in quegli anni era stato messo in vendita. Due Mercedes nere che ci aspettavano sotto l’aereo. Ci portarono a Tripoli, dove probabilmente pensavano che fossimo due ministri. A Babbini diedero una suite, a me un’altra, roba di gran lusso”. Non è dato sapere dove alloggiasse l’alpino interprete.

Muammar Gheddafi

L’obiettivo della missione era incontrare il Colonnello. “Ma ci fecero incontrare il ministro degli Esteri, persona colta che parlava perfettamente italiano. Babbini, che si rivolgeva a me in milanese, – perfetto per il prossimo cinepanettone – iniziò una specie di comizio finché lo obbligai a calare gli assi. Avanzò al ministro la richiesta di acquistare Il Giorno in cambio dell’appoggio leghista contro l’embargo della Libia. Mi lasciò sbigottito la cifra abnorme che venne richiesta, roba tipo 300 miliardi delle vecchie lire. Il ministro non fece una piega e iniziò lo scambio di doni. Pezzo forte due spillette di Alberto da Giussano in oro, una per Gheddafi”. Il ministro però non ottiene la fiducia dell’astuto trio che subodora odor di  inganno, tanto che, continua Bernardelli: “Babbini, mentre stava per consegnare al ministro il gingillo da donare al Colonnello, mi guarda e in milanese mi disse: Ma queschì ghe ‘l dà a Gheddafi”. Quando si dice un gentlemen agreement.

I tre non seppero mai se Gheddafi ricevette la spilla o l’altro regalo che gli avevano fatto: il libro “Quattro Gatti sul Po”, pubblicato nel 1996 dall’Editoriale Nord, ma subodorarono immediatamente che la loro proposta non incontrava il favore del leader libico. “Ovviamente arrivò la ferale notizia che non ci avrebbero dato i soldi – aggiunge Bernardelli-. Babbini ci restò male. Non sapendo come chiudere il colloquio, tirò fuori il progetto di un albergo costruito a Sesto San Giovanni e propose ai libici l’acquisto dell’edificio. Anche lì il ministro storse il naso. Preso dallo sconforto, tentò poi di instaurare un rapporto di tipo commerciale, citando la zona della Sirte…”. Niente, il libico non ci sente, mancava solo che tentassero di vendergli la fontana di Trevi e il copione sarebbe stato perfetto. Bernardelli la ricorda così: “Siam partiti per cercare di avere i soldi per acquistare un giornale e siamo tornati in Italia con una campionatura d’aglio”.

Così l’armata Brancaleone bergamasca tornò in Padania con le pive nel sacco e non se ne fece più nulla. Rimane però il ricordo di questa missione africana, la ricorda Gheddafi e, probabilmente, la ricorderà anche Bossi, nonostante neghi di aver mai chiesto aiuto a quegli stessi libici che voleva cannoneggiare in mare. Chissà, se accordo ci fosse stato…

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