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L’Anm: “Giustizia al collasso, peggio del Ruanda. E le riforme vogliono toglierci pure l’indipendenza”

di Maria Elena Perrero |26 Novembre 2010 17:01

Il presidente dell'Anm, Luca Palamara

”Abbiamo assistito, a una serie di interventi episodici dettati dall’esigenza di risolvere situazioni legate a singole vicende processuali e sempre mirati a limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”.

Dal palco del trentesimo congresso dell’Associazione nazionale magistrati il presidente Luca Palamara mette sotto accusa la politica della giustizia del governo. Nel mirino c’è non solo l’annunciata riforma costituzionale ma anche i ”non meno insidiosi progetti di legge ordinaria in materia di intercettazioni, processo breve e polizia giudiziaria svincolata dal pm”.

“Queste riforme, accusa il leader del sindacato delle toghe, non serviranno ”assolutamente” a far durare meno i processi perché la loro finalità è ”ridisegnare i rapporti tra politica e magistratura alterando le attuali divisioni tra poteri dello Stato così come delineate dal Costituente nel 1948”.

Se si separano le carriere e si va verso un doppio Csm, si avrà ”inevitabilmente” un ”ritorno al passato” con l’assogettivazione del pm all’esecutivo. ”Tutto questo – avverte Palamara- rischia di incidere seriamente sull’indipendenza del pubblico ministero e sulla sua capacità di investigare liberamente senza interferenze esterne”. Servono invece ”interventi urgenti” sulle ”reali problematiche della giustizia”.

”Alcuni rappresentanti dell’attuale maggioranza di Governo hanno reso pratica quotidiana l’insulto e il dileggio nei confronti di un’indefettibile istituzione dello Stato”. Al XXX congresso dell’Anm il presidente Luca Palamara descrive un ”pesante clima di aggressione alla magistratura”. Ad ascoltare la sua relazione c’è il capo dello Stato, i cui ripetuti richiami al rispetto dei giudici, dice il leader delle toghe, confortano la magistratura.

Palamara parla di ”un’assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità della magistratura davanti agli occhi dei cittadini” e che fa leva, ”con un gioco evidentemente facile, sulla generale delusione per le mancate risposte alla legittima ansia di giustizia”. E dice che il clima è diventato pesante ”quando, in particolare, indagini e processi che hanno ‘toccato il potere’ sono stati strumentalizzati a fini politici”.

Giustizia al collasso, peggio del Ruanda. Il rappresentante delle toghe lancia poi l’allarme: la giustizia è ”al collasso”. E restano ”gravi” le conseguenze che la situazione di disservizio determina sulla cittadinanza italiana”. Tant’è che l’Italia nella classifica dei Paesi in cui è conveniente investire è all’80° posto e ”Zambia, Mongolia, Ghana, Ruanda continuano a precederci”.

”I ritardi costano alle imprese 2,3 miliardi di euro: una ‘tassa occulta’ di circa 371 euro per azienda che ricade su imprenditori, fornitori, clienti, consumatori”. E la giustizia ritardata – aggiunge Palamara, ricordando tra l’altro i 5,5 milioni di processi pendenti nel civile e il milione e mezzo pendente nel penale – ”è un costo anche per lo Stato”, visto che per le richieste di indennizzo per violazione del termine di ragionevole durata del processo si spendono 250 milioni di euro.

”Non dobbiamo e non possiamo rassegnarci a questo stato di cose”, sostiene ancora il leader dell’Anm, che propone ”il taglio dei tribunali”, accorpando gli uffici giudiziari di piccole dimensioni, e quello delle cause, e delle spese inutili”. E ricorda che oggi lo Stato spende per la giustizia solo lo 0,04% del proprio bilancio, mentre i costi di questo servizio potrebbero essere coperti dalle sue stesse ”entrate”: ”tra spese processuali liquidate e sanzioni pecuniarie inflitte, le ‘entrate potenziali’ dell’amministrazione giudiziaria si aggirano attorno a 1 miliardo di euro per anno, mentre le percentuali di recupero sono particolarmente basse”.

Lobby e appalti. ”E’ inaccettabile che trapeli l’immagine di una magistratura contigua a gruppi lobbistici e impegnata in impropri interventi volti a influire sull’assegnazione di affari e di incarichi prestigiosi. I magistrati si legittimano esclusivamente nello svolgimento dell’attività giurisdizionale esercitata con indipendenza e imparzialità e senza che si insinui il dubbio di illeciti condizionamenti esterni”.

Al Congresso dell’Associazione nazionale magistrati il presidente Luca Palamara sottolinea la ”centralita”’ della questione morale , dopo le ”gravissime vicende” degli ultimi mesi e indica il modello di magistrato nel quale tutta la categoria deve riconoscersi: ”moderno, responsabile, professionalmente attrezzato, che non frequenta o partecipa a squallide consorterie e la cui credibilità non possa essere, dunque, in alcun modo attaccabile”.

La questione morale e le ambiguità. Sulla questione morale, sostiene Palamara, non possono esserci ”ambiguità o atteggiamenti gattopardeschi; non possiamo tollerare distinguo e sofismi”; va recuperata la ”credibilità che le recenti vicende hanno offuscato”. “Il nostro modello di magistrato – dice Palamara – non entra ed esce dal mondo della politica senza seguire percorsi trasparenti, non frequenta lobby e salotti dove garantisce ciò che non può garantire, non fa pressioni per diventare capo di un ufficio, non si ispira a una logica clientelare”.

Il nuovo codice etico e il richiamo alla sobrietà. Rifacendosi poi al nuovo codice etico dei magistrati, che viene presentato proprio in questo congresso, Palamara invita le toghe a mantenere ”equilibrio, dignità e misura” nelle dichiarazioni alla stampa ma anche a ”evitare di partecipare a trasmissioni nelle quali vicende di procedimenti giudiziari in corso saranno oggetto di rappresentazione in forma scenica”. L’intento delle nuove norme , spiega Palamara, è quello di ”richiamare il magistrato ai doveri della sobrietà, della discrezione e della serietà. Fuori da questa cultura, che purtroppo spinte individualiste anche di recente più volte hanno violato, la magistratura verrebbe meno non solo al suo ruolo istituzionale, ma tradirebbe anche le aspettative dei cittadini”.

Il presidente della Repubblica. Agli attacchi l’Anm ha ”reagito con dignità e risolutezza, senza timore, soprattutto quando si è messo in discussione, non il merito dei provvedimenti, ma l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. Ci conforta – aggiunge Palamara – che più volte il Capo dello Stato abbia sottolineato come la rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità, rappresentino un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, richiamando tutti ad avere il massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito.

No ai giudici in politica. ”Bisogna fissare regole rigorose finalizzate a evitare commistioni improprie tra la funzione giudiziaria e l’impegno politico” , compresa ”la possibilità di tornare a fare il magistrato dopo l’esperienza in politica”.Ne è convinto il presidente dell’Anm Luca Palamara, che lancia la proposta e indica nella degenerazione del correntismo un ”male da estirpare”.

Palamara ritiene che ”sarebbe un errore rinunciare” al contributo di magistrati ”nelle istituzioni rappresentative, in particolare nelle assemblee legislative”, ma pensa che occorranno regole ferree: ”è indispensabile evitare – dice – che si determinino indebite commistioni tra magistratura, politica e alta amministrazione e che, anche dopo la cessazione dalla funzione svolta, i magistrati ricevano incarichi che possano apparire collegati al pregresso esercizio delle funzioni giudiziarie”. E in questa direzione va il nuovo codice etico delle toghe che stabilisce che ”nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria il magistrato evita di accettare candidature e di assumere incarichi politico – amministrativi negli enti locali”.

Le correnti della magistratura. Quanto alle correnti della magistratura ”il sistema non ha funzionato -ammette Palamara – quando ha dato l’impressione di voler occupare ogni spazio nella vita dell’Associazione e dell’autogoverno facendo operare le peggiori logiche correntizie, che si sono tradotte in una pressione sul CSM per una gestione clientelare e lottizzatoria degli incarichi direttivi, delle progressioni in carriera, dei fuori ruolo e del sistema disciplinare”.E questa degenerazione” è un male da combattere e da estirpare”, sottolinea Palamara , che esorta la categoria ad avere il ”coraggio di cambiare” e di autoriformarsi.

”In questi anni si è parlato impropriamente di una contrapposizione tra politica e magistratura. Al contrario, l’ANM si riconosce nei principi di leale collaborazione e di reciproco rispetto tra le istituzioni e il terreno di scontro nel quale in molti hanno cercato di trascinarla non le appartiene. Il nostro non è un ruolo di ‘avversari”’, ha detto il presidente dell’Anm.

Palamara si dice ”convinto che il rapporto tra la magistratura e gli altri poteri debba accantonare sterili polemiche e strumentali antagonismi, per individuare validi strumenti di politica giudiziaria che, invece, purtroppo, a tutt’oggi, latitano, come continua a mancare un’organica e razionale riforma della giustizia”. Ed esclude che i magistrati si siano ”sostituiti al Parlamento”, intervenendo con le loro osservazioni durante l’iter di approvazione di riforme. Nessuna invasione di campo: ”Abbiamo segnalato, con la dovuta fermezza e facendo sentire forte la nostra voce,-spiega il leader del sindacato delle toghe- le ricadute che le norme avrebbero avuto sul sistema evitando in questo modo l’approvazione di provvedimenti che avrebbero messo in ginocchio la giustizia”.

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