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La giustizia che vuole il governo: i giudici facciano ciò che vuole il governo

di Mino Fuccillo |9 Marzo 2011 15:21

ROMA – La “grande, grande, grande” riforma della giustizia si riassume in una piccola e semplice frase: quando sarà legge i magistrati che indagano sui reati, cioè i pubblici ministeri, faranno quel che dice il governo e solo quello. E’ questa la verità, tutta la verità, niente altro che la verità della tre volte “grande riforma” come da copyright berlusconiano. Sarà il ministro della giustizia, cioè il governo che ogni anno indicherà al Parlamento e ai pubblici ministeri su quali reati indagare. Questo e non altro vuol dire che “l’azione penale” resta “obbligatoria” ma nelle “forme indicate dalla legge”. Oggi un pubblico ministero è obbligato ad indagare sempre e comunque quando ha una “notizia di reato”, da chiunque gli venga fornita. Domani sarà obbligato ad indagare se la “notizia” riguarda reati che il governo ha deciso di indicare come meritevoli di indagine. I pubblici ministeri diventeranno dunque un’articolazione della volontà di governo.

E, anche volendo, non potrebbero fare altrimenti una volta che la tre volte grande riforma sarà legge: la polizia che oggi infatti si muove su indicazione dei magistrati domani sarà dai magistrati autonoma e svincolata, si muoverà quindi su indicazione e controllo del ministro degli Interni, della Difesa o del Tesoro, a seconda che siano poliziotti, carabinieri o guardia di finanza. Insomma i tutori dell’ordine partiranno per indagare sotto la supervisione del governo a cui eventualmente renderanno conto.

I pubblici ministeri, quelli che indagano, avranno un loro Consiglio Superiore, distinto da quello per la parte della magistratura che giudica e non indaga, in modo che non ci siano “alleanze” e che il giudice che indaga e accusa vada dal giudice che giudica “con il cappello in mano” (anche qui il copyright è ufficialmente berlusconiano). Separate così le carriere, la carriera del pubblico ministero sarà monitorata da questo suo Csm presieduto da un Procuratore Generale. Scelto da chi? Ma è ovvio: dal governo.

Dunque i pubblici ministeri potranno indagare su quel che il governo indica, la polizia per indagare verrà loro “prestata” dal governo e la loro carriera sarà controllata, incentivata o stoppata dal governo. E’ appunto una riforma tre volte grande che si riassume nella piccola frase: i pubblici ministeri faranno quel che vuole il governo. La stanno portando la grandissima riforma “per conoscenza” all’esame di Napolitano, appena 12 ore prima di portarla in Consiglio dei ministri. Una tempistica che non dà tempo e modo al Quirinale di leggere e vagliare in modo serio e che il Quirinale giudica poco meno che istituzionalmente “scortese”. Sono moltissime infatti le pagine del testo da sfogliare, ma in fondo si riassumono in una sola riga, appunto quella del pubblico ministero che fa quel che il governo indica.

Qualcuno non accetta questa semplificazione, vuol mostrare di voler laicamente soppesare le carte. Antonio Polito sul Corriere della Sera ricorre ad una parabola: “Una vecchia storiella inglese che metteva alla berlina il settarismo fanitico della guerra civile nord-irlandese raccontava di un posto di blocco a Belfast dove uomini armati fermavano tutti i passanti e chiedevano: sei cattolico o protestante? Finché non arrivò uno che disse: veramente sono ebreo. E gli dissero: sì, va bene, ma ebreo cattolico o protestante?”. Polito non vuole essere uno di quelle opposte milizie, vuol essere quell’ebreo. Fuor di metafora Polito vuole che la grande, tre volte grande riforma venga esaminata ad ogni passaggio e sfogliata come un carciofo, una foglia buona, una foglia cattiva…Stiamo dunque all’aneddoto e alla metafora “terzista” di Polito, andiamo verso quel posto di blocco. La prima regola imposta è di rallentare. Si può giudicare sbagliato e limitativo della libertà rallentare? No, di certo. E infatti Polito dice: “Perché non discuterne?”. La seconda regola è quella di abbassare la luce dei fari. E’ forse sbagliato o sopruso chiedere di abbassare la luce dei fari? No, di certo. E infatti Polito dice: “Perché non discuterne?”. La terza regola è di scendere dalla macchina e cosa mai ci sarà di male nello scendere dalla macchina? E infatti Polito dice: “Perché non discuterne?”. Alla fine dopo averti fatto rallentare, abbassare i fari e scendere dalla macchina a quel posto di blocco ti prendono a calci e schiaffi. Anche a questo punto il terzismo alla Polito dirà “Discutiamone”? La riforma tre volte grande vuole i pubblici ministeri liberi di fare ciò che il governo indica, è la stazione finale del posto di blocco: sì o no, se ne discuta pure ma ci si risparmi l’alibi del c carciofo laico e non estremista.

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